foto di @SmithGreg (via Flickr)

Lavoratori, dove siete?

Marco Valerio Lo Prete
Il declino demografico all’europea, non la crisi, ha depresso la forza lavoro americana. Ad angustiare gli osservatori statunitensi è infatti il dato sul tasso di occupazione che misura l’incidenza degli occupati sul totale della popolazione in età lavorativa. Studio di Krueger.

Roma. Il tasso di disoccupazione americano al 5 per cento, visto dall’Eurozona in cui lo stesso indicatore segna 10,1 per cento, genera perlopiù invidia verso gli effetti della robusta ripresa dell’alleato atlantico. Il medesimo 5 per cento di disoccupazione, negli Stati Uniti, continua invece a far discutere i principali economisti, agitando in profondità il confronto politico tra i due candidati alla presidenza, il repubblicano Donald Trump e la democratica Hillary Clinton. Ad angustiare gli osservatori statunitensi è infatti un dato meno roseo, quello del tasso di occupazione che misura l’incidenza degli occupati sul totale della popolazione in età lavorativa. All’inizio degli anni 2000 il tasso di occupazione era arrivato al 67,3 per cento negli Stati Uniti, nel settembre 2016 è fermo al 62,9 per cento (in Italia è ancora più basso, staziona attorno al 55 per cento).

 

Si parlerà anche di questo, domani, alla Sessantesima conferenza annuale della Boston Federal reserve, una delle 12 Banche centrali in cui è diviso il territorio statunitense e che, tutte assieme, compongono la Federal reserve presieduta da Janet Yellen. In questa occasione Alan Krueger, docente a Princeton e già consigliere economico dei presidenti democratici Bill Clinton e Barack Obama, presenterà le conclusioni un filino inquietanti di uno studio condotto sul mercato del lavoro americano, intitolato “Where have all the workers gone?”. Dove sono andati, dunque, tutti i lavoratori americani? La principale conclusione dello studioso liberal è che molti dei suoi colleghi si sono concentrati troppo sugli effetti della Grande recessione iniziata nel 2007-’08, non accorgendosi che la fuga dal lavoro è dettata da una dinamica di lungo termine che invece ha a che fare con la demografia.

 

Crisi o non crisi, nella storia contemporanea americana “i cambiamenti degli equilibri demografici, soprattutto l’invecchiamento della popolazione, sono responsabili dell’80 per cento del declino del tasso di partecipazione al mercato del lavoro”, scrive Krueger. Considerando i singoli gruppi demografici, l’economista di Princeton osserva dunque che la partecipazione degli uomini adulti al mercato del lavoro ha avuto una tendenza decrescente fin dal 1948, appena più ripida dopo l’ultima recessione. Il tasso di occupazione complessivo, dal Secondo dopoguerra, è aumentato essenzialmente per il maggior numero di donne che entravano nel mercato del lavoro. Alla fine degli anni 90, però, anche questo andamento ha preso la forma di un “plateau”, quindi ha smesso di salire. Ciò di per sé spiega larga parte della diminuita occupazione negli Stati Uniti degli ultimi vent’anni. Negli ultimi due decenni, soltanto i lavoratori con più di 55 anni sono aumentati. Ma il loro numero, relativamente inferiore a quello degli altri gruppi, non poteva compensare il generale declino. L’andamento di natalità e mortalità, insomma, spinge verso uno “spopolamento” del mercato del lavoro. Dal 2007 al 2016, cioè negli anni della crisi e della successiva ripresa negli Stati Uniti, il tasso di partecipazione è sceso in maniera strutturale di 2,8 punti percentuali; ma secondo i modelli di Krueger, se l’andamento del decennio precedente fosse proseguito in assenza del crollo di Lehman Brothers e dei suoi derivati, la discesa strutturale sarebbe stata comunque di 2,2 punti. Tutto fa pensare, dunque, che nel prossimo decennio il tasso di occupazione scenderà di altri 2,3 punti.

 

Krueger passa in rassegna le diverse coorti demografiche. Sostiene per esempio che, in assenza dell’allungamento dei periodi di formazione tra liceo e università, la presenza di lavoratori under 20 non sarebbe mutata di molto. Differente il discorso per i lavoratori tra i 21 e i 30 anni; in questo caso le statistiche, confortate da sondaggi sul benessere percepito, confermano la “teoria dei videogame” di Mark Aguiar e altri economisti: il miglioramento delle tecnologie d’intrattenimento e dintorni contribuisce a tenere distanti molti dalla prima occupazione. Il problema maggiore, per Krueger, è posto dagli uomini adulti: “Tra i paesi Ocse, nel 2015 soltanto l’Italia ha fatto peggio di noi in termini di occupazione di questa fascia d’età”. Se a ciò si aggiunge che ora stanno andando in pensione gli appartenenti alla nutrita generazione dei baby boomer, “c’è da attendersi una ripresa ciclica contenuta del tasso di partecipazione nel breve termine”. A condizioni invariate, per l’America si apre uno scenario europeo poco entusiasmante.

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