Un'Assemblea di Confindustria (foto LaPresse)

Autocritica degli industriali sul pil mancato

Il presidente di Confindustria Bergamo descrive un territorio che si è rialzato, lavorando di più, autoriformandosi e non lagnandosi, senza dire solo “no”. Un caso.

Quelli che pubblichiamo sono stralci dell’intervento del presidente di Confindustria Bergamo all’Assemblea generale che si è tenuta ieri


 

E’ stato lungo e sofferto il cammino di questa terribile crisi. E’ stato un percorso che ai suoi inizi ci ha sbigottito e sorpreso, che ha messo in grave difficoltà tanti di noi, che ha preteso cambiamenti profondi non solamente nel governo dell’impresa, non solamente nei suoi elementi fondanti quali i prodotti, i processi e l’organizzazione, ma soprattutto ha cambiato il nostro modo di pensare e il nostro modo di agire. Il percorso non ha avuto scorciatoie. Il cambiamento è stato reale e sofferto, vero e veloce, complesso e rischioso in molti casi si è realizzato e, in altri, sta iniziando a dare i suoi frutti. Sono orgoglioso oggi di poter affermare che tutta questa fatica mostra i primi risultati. Non sono sognatore e nemmeno di parte. Sono saldamente ancorato ai fatti, come si conviene a uno di noi, che bene conosce il valore della verità, anche quando è scomoda; il peso dei numeri, e “quello che dice, sa di poterlo dire” perché sostenuto dai dati e dalla conoscenza della realtà.

 

L’industria, a Bergamo, è ritornata a produrre al di sopra del massimo storico del 2008. I bilanci del 2015 delle aziende associate a Confindustria Bergamo segnalano un recupero di tutti gli indicatori. Il valore della produzione ha raggiunto i 27 miliardi di euro, il valore aggiunto i 7,5 miliardi, circa 100 mila euro per ogni dipendente. Un quarto del prodotto interno lordo provinciale è stato generato da queste imprese. Gli incrementi sull’anno precedente alla crisi sono ancora modesti, intorno al 10 per cento. Ricordo che nel 2009 la produzione delle industrie bergamasche era caduta di oltre il 20 per cento. Si registra una positiva discontinuità col recente – e deprimente – passato: la produttività è tornata effettivamente ad aumentare, senza essere influenzata dalla riduzione degli occupati, pur in presenza di un incremento delle retribuzioni del 14 per cento nello stesso periodo.

 

Il recupero è stato selettivo. La differenza non l’hanno fatta i settori bensì le singole imprese. L’internazionalizzazione e le esportazioni sono stati i fattori trainanti. Nel 2015 meno del 10 per cento degli associati ha presentato un bilancio negativo. La dimensione aziendale ha giocato un ruolo importante. Il primo 25 per cento delle industrie ha realizzato l’80 per cento del fatturato e del valore aggiunto. Tuttavia i risultati complessivi sono positivi anche per le industrie più piccole. In una fase di drammatico cedimento del mercato, in un periodo di concorrenza sfrenata, in anni in cui l’economia europea è stata aggredita da new entry che si avvantaggiavano per costi di produzione di almeno due terzi inferiori, anche le piccole imprese sono riuscite a crescere e a chiudere i bilanci col segno positivo. (…)

 

I dati dei primi sei mesi del 2016 sembrano confermare un andamento al rialzo. La produzione è cresciuta del 2 per cento, quanto le esportazioni. Gli ordini dall’estero confermano carnet positivi. I prezzi dei prodotti finiti mostrano una tendenza a un modesto incremento che, in un periodo caratterizzato da deflazione globale, confermano la competitività crescente delle imprese bergamasche, fondata sull’innovazione, sull’internazionalizzazione e sulla capacità di fare. Gli occupati nel primo semestre del 2016 sono ancora aumentati di circa 2.000 persone. Il tono positivo del mercato del lavoro è confermato da una riduzione delle casse integrazioni di quasi il 40 per cento rispetto alla media della crisi e del 15 per cento sullo scorso anno.

 

Ma durante l’estate sono arrivate parecchie nubi che hanno generato una caduta sensibile del clima di fiducia degli imprenditori. Non è difficile trovare le ragioni. Le minacce vengono dalle tensioni internazionali: la permanente indecisione europea che impedisce alla Ue di fare politica economica, il referendum che ha visto prevalere Brexit, i continui attentati che coinvolgono tutto il pianeta e, forse più di ogni altro, le guerre nel medio oriente.

 

Ringrazio il Vice Presidente e Direttore dell’Ispi Paolo Magri di aver accettato di partecipare alla nostra Assemblea. E’ la seconda volta negli anni della mia presidenza che gli chiediamo un contributo proprio perché il rischio internazionale è certamente la più preoccupante e sconosciuta minaccia. Quattro anni fa, proprio in questi mesi, l’economia bergamasca aveva quasi riagganciato i valori del 2008, poi ci fu una violenta frenata causata sostanzialmente da una politica economica fortemente restrittiva prima dell’Europa e poi, con addirittura maggiore intensità, dell’Italia.

 

In un’èra di tensioni e di cambiamenti, qualunque percorso di sviluppo economico è destinato a rimanere una corsa ad ostacoli. Stavolta, rispetto al 2012, gli indicatori sono più coerenti e univoci. Basta sottolineare che lo stesso rallentamento della crescita delle esportazioni non ci impedirà di segnare un nuovo record assoluto dell’export provinciale. L’andamento positivo della manifattura non determina il recupero di quanto perso durante la crisi; alcuni settori hanno fatto come e meglio dell’industria; penso soprattutto alla filiera del turismo, ai servizi innovativi e tecnologici. Purtroppo il Sistema Casa, dopo la caduta del 2009/2010, non riesce ancora a riprendere vigore. Ha necessità assoluta di focalizzarsi su obiettivi diversi, deve recuperare tecnologie innovative, ha l’opportunità di utilizzare nuovi materiali. Senza l’edilizia non è immaginabile di dare stabilità alla crescita, perché conta per il 20 per cento del pil territoriale. (…)

 

La complessità e la lentezza dell’uscita dalla crisi hanno generato un forte senso di insoddisfazione fra i nostri concittadini. Di fronte a una crescita del 2 per cento – qual è stata quella dell’industria bergamasca nello scorso anno – l’opinione pubblica ha l’impressione che si faccia “molto rumore per nulla”. Le persone hanno ragione, gli eventuali successi dell’Italia e di tutta l’Europa sono annichiliti dal confronto con alcune parti del mondo che viaggiano a velocità tripla e quadrupla. Le analisi sono –qualche volta – approssimative. Ad esempio, secondo quanto ha scritto qualche giorno fa Marco Fortis, la componente reale dell’economia italiana è quest’anno migliore di quella della Germania.

 

E su Bergamo afferma: “L’export complessivo (tutti i settori) della provincia di Bergamo nel 2015 è cresciuto del 2,3 per cento raggiungendo i 14 miliardi 150 milioni di euro e, nel primo semestre 2016, di un altro 1 per cento, quando, nello stesso semestre, la Germania è rimasta praticamente ferma. Se prendiamo in considerazione il solo export manifatturiero, la crescita è ancora più forte: più 3 per cento nel 2015 e più 1,2 per cento nel primo semestre 2016”. Inoltre non si può dimenticare che raggiungere una crescita del 2 per cento costituisce il limite superiore cui possiamo ambire in un’economia troppo matura e, soprattutto, in un paese dove gli investimenti pubblici sono fermi, le norme complicate, le procedure defatiganti e dove la giustizia è una tartaruga.

 

In occasione dell’Assemblea Privata dello scorso giugno abbiamo presentato una stima da cui risulta che, rispetto al complesso dei paesi sviluppati, le inefficienze italiane pesano per 80 miliardi l’anno, approssimativamente il costo di tutti gli interessi sul debito o, se vogliamo, il totale delle imposte pagate dalle imprese. A livello locale e nell’ambito dei limitati gradi di discrezionalità consentiti, Confindustria Bergamo sta operando per avviare un processo di semplificazione cui è imputabile questo pesante gap. Dall’ultima volta che ci siamo visti abbiamo istituito, con l’Agenzia delle Entrate, una Camera di Conciliazione per facilitare il rapporto delle imprese con il fisco.

 

Nel mese di ottobre a Roma presenteremo alla Commissione parlamentare il nostro Protocollo per alcune semplificazioni in campo ambientale siglato con la Provincia. Il labirinto burocratico potrà essere affrontato in maniera risolutiva solo attraverso la riduzione dei soggetti e degli uffici che dettano leggi e stabiliscono procedure; in sostanza, estendendo il silenzio/assenso. Tuttavia il nostro contributo non è privo d’interesse: dimostra che, anche a legislazione invariata, si può facilitare lo sviluppo. Nel nostro piccolo il tempo delle autorizzazioni ambientali è sceso da 12 a 5 mesi solo attraverso un dialogo più efficiente tra le imprese e gli uffici tecnici degli enti. (…)

 

Si può fare di più, come analogamente si deve fare di più sul tema del lavoro. Attualmente sono in corso due importanti rinnovi di CCNL – per le imprese metalmeccaniche e per le imprese tessili – particolarmente significativi per il nostro territorio, in quanto interessano circa la metà del personale dipendente delle imprese associate a Confindustria Bergamo. Si tratta di negoziati complessi, sia per l’attenzione al costo del lavoro – che le imprese devono mantenere, in ragione dell’estrema competitività del contesto in cui operano – sia perché ancora non è stato definito un quadro regolatorio interconfederale che detti delle linee guida unitarie per la contrattazione nazionale.

 

In questa situazione di incertezza sia Federmeccanica che Sistema Moda Italia stanno cercando di definire dei percorsi negoziali finalizzati a realizzare accordi equi ma innovativi, basati su una maggiore flessibilità retributiva, sulla valorizzazione della formazione, sull'incremento del welfare, sia contrattuale che aziendale. E’ importante che questi sforzi trovino una condivisione in tempi rapidi, per dare certezze a imprese e lavoratori ed evitare soluzioni disarticolate non utili né per il sistema delle imprese né per il mercato del lavoro. I processi occupazionali sono influenzati non solo dalle dinamiche legislative, ma da quelle contrattuali, che definiscono i costi e le regole della gestione aziendale. La certezza e la sostenibilità delle soluzioni agevolano gli inserimenti al lavoro, l’incertezza e la conflittualità li penalizzano. Caro Presidente Boccia, so che la semplificazione normativa e il tema del lavoro sono i tuoi temi. Noi saremo al Tuo fianco e Ti ringraziamo fin d’ora per quello che farai e per come lo farai, garantendo quella trasparenza e quella correttezza che sono alla base della nostra credibilità. (…)

 


Vincenzo Boccia (foto LaPresse)


 

Le imprese possono fare di più. Il futuro industriale dipende, prima di tutto, dagli investimenti. L’analisi che abbiamo condotto sulle industrie associate a Confindustria Bergamo e sulla loro riorganizzazione negli anni di crisi rivela criticità e mutamenti che devono essere compresi e su cui è necessario intervenire con azioni di accompagnamento che consentano il rilancio di un percorso virtuoso, indispensabile in una prospettiva che non soffra della miopia congiunturale. Nei sette anni di crisi le immobilizzazioni materiali sono diminuite del 15 per cento, mentre le immateriali sono cresciute di 10 punti. Complessivamente valgono 9 miliardi di euro. In una fase di bassa propensione agli investimenti, l’aumento degli immateriali è un ragionevole indicatore di innovazione, finalizzata a implementare nuovi prodotti, nuovi progetti e che, comunque, conferma il percorso dell’industria bergamasca verso la “fabbrica intelligente”.

 

D’altro canto, però, è necessaria attenzione alle cause del minor valore dei beni strumentali. Una parte del cedimento complessivo dipende dalla riduzione della componente immobiliare. Negli stessi anni sono cresciuti gli ammortamenti e l’utilizzo del leasing per importi che raggiungono i 750 milioni di euro. La crisi non ha ridotto la capacità produttiva, né ha generato un consumo più intenso del capitale fisso. Il patrimonio netto è aumentato nei sette anni di 3,8 miliardi di euro, raggiungendo il valore di quasi 14 miliardi di euro. Il processo di capitalizzazione delle imprese è stato certamente uno dei fattori che hanno consentito all’industria bergamasca di uscire dalla crisi. Tutto questo grazie agli imprenditori e alla loro voglia di fare.
La legge di Stabilità sta scegliendo la strada dei super ammortamenti. Gli effetti di questo incentivo non sono ancora quantificabili, ma ritengo che la strada sia quella corretta. Caro ministro Calenda, ricambieremo la fiducia del governo dimostrando la propensione delle imprese bergamasche agli investimenti. (…)

 


Carlo Calenda (foto LaPresse)


 

L’introduzione di tecnologie digitali nelle attivita? manifatturiere è già da anni nella nostra agenda e credo di poter affermare che siamo, a livello nazionale, sulla frontiera di questa innovazione con i nostri rappresentanti nelle posizioni di vertice dei Cluster nazionali e delle Associazioni di riferimento. Da sempre Confindustria Bergamo ha una relazione privilegiata con l’Università di Bergamo e la sua rete internazionale. Se l’industria 4.0 è il paradigma di riferimento dell’azione, è l’importante Piano Nazionale presentato pochi giorni fa dal ministro Calenda che ne declina tempi, modi e risorse. Sono certo che il Suo intervento di oggi ruoterà su questo fondamentale progetto.

 

Confindustria Bergamo ha rimesso al centro della sua attenzione le filiere, perché si valuta che il modello distrettuale debitamente rivisitato sia la chiave di volta per mantenere un tessuto produttivo competitivo che sia in grado di reggere una base produttiva allargata che ha determinato la performance economica ed occupazionale del nostro territorio. Abbiamo due imponenti distretti: quello metalmeccanico, il più grande d’Italia, e quello della gomma, a cavallo tra le province di Bergamo e Brescia. Sono due settori, ad esempio, che possono esibire i migliori risultati economici, sono due attività che hanno il segno più davanti; sono due larghe e profonde catene del valore.

 

La rivalutazione del ruolo delle filiere di piccole e medie imprese è stata al centro della discussione con l’Ocse che, alla fine, ha dovuto riconoscere che le imprese minori e, soprattutto, i subfornitori giocano un ruolo strategico nella competitività internazionale delle imprese bergamasche che vendono per il 90 per cento beni Made in Italy. Abbiamo, in tempi non sospetti, cominciato a chiamarle filiere di beni&servizi, perché abbiamo la radicata convinzione che il consolidamento e la ripresa delle imprese più piccole possa avvenire attraverso una maggiore co-progettazione insieme ai clienti e attraverso il supporto e l’integrazione con il terziario innovativo e tecnologico che a Bergamo sta aumentando in quantità e in qualità nelle conoscenze. Negli anni scorsi abbiamo sperimentato alcune forme di sostegno alle filiere.

 

Hanno avuto successo, ma non sono state risolutive. Bisogna scoprire e inventare nuovi modelli di rafforzamento.
La seconda leva che stiamo cercando di azionare è quella dell’apporto di manager. E’ terminata in questi giorni una ricerca realizzata da risorse interne a Confindustria Bergamo sulle potenzialità economiche dell’inserimento di competenze manageriali nelle Pmi. A giorni avremo il rapporto finale di ricerca. Non dimentichiamo mai di sottolineare il ruolo decisivo delle competenze per affrontare le nuove sfide tecnologiche e di mercato. L’ultimo driver della politica industriale di Confindustria Bergamo punta all’economia circolare, alla sostenibilità, alla qualità della vita. Ci sono a Bergamo delle imprese che sono sulla frontiera internazionale della sostenibilità. Il settore della green economy è performante dal punto di vista economico e ricco di innovazione. (…)

 

Se esistesse un rating territoriale, penso che l’industria a Bergamo sarebbe AA+. Si deve migliorare, ma le basi sono solide e le azioni per lo sviluppo correttamente indirizzate. Il confronto con gli esperti internazionali dell’Ocse ha confortato questo nostro pensiero. L’aggiornamento della Regional Review ha indicato una serie di debolezze del nostro territorio. Abbiamo partecipato ad avviare un metodo di lavoro per valorizzare le potenzialità e per affrontare le debolezze che, comunque e sempre, ci minacciano. Si sono aperti cinque dossier: i due dedicati alle industrie e alle piccole imprese dovranno orientare la loro azione all’industria digitale e ai sistemi di innovazione e di ricerca, gli altri tre dovranno elaborare progetti cantierabili dedicati al territorio, al lavoro, al sistema istruzione/formazione. (…) Bergamo ha fatto, nel recente passato, grandi progressi per quanto riguarda la dotazione infrastrutturale; negli ultimi anni il rallentamento degli investimenti pubblici e il conflitto delle competenze hanno rallentato il processo di sviluppo.

 

Certamente è necessario tener conto di questo contesto, ma le priorità devono essere comunque realizzate: il collegamento ferroviario dell’aeroporto di Orio al Serio con Milano, l’ampliamento della rete del tram delle valli e, nel medio periodo, l’interporto sulla linea dell’alta capacità. Solo pochi giorni fa è stata presa la decisione del collegamento ferroviario che mi piace chiamare della “Grande Bergamo” con la connessione Ponte San Pietro/Montello. Insieme a queste priorità che riguardano il trasporto su ferro ci sono anche completamenti necessari sulla rete stradale verso le valli e verso la Bre.Be.Mi. e la Pedemontana. I lavori sono troppo lenti, ma sono in corso. Progressi, in una logica di azione pubblico/privato, si stanno realizzando sulle infrastrutture immateriali che forniscono, in quasi tutta la provincia, i servizi necessari per costruire un territorio smart, ma siamo ancora ben lontani dagli standard possibili oggi.

 

Nonostante la stasi delle costruzioni il riuso delle preziose aree dismesse cresce per norme sul consumo di suolo e gli incentivi introdotti da alcuni comuni. Continua a mancare la possibilità di rilocalizzare lo scalo merci. E’ un clamoroso fallimento per tutti. E’ un investimento privato che non si riesce a realizzare, le cui conseguenze negative ricadranno su molti. La negazione di ogni novità trova radici nella caduta delle prospettive in una popolazione che diventa sempre più anziana, da giovani condizionati da realtà virtuali, ma soprattutto dal peggioramento – reale o percepito che sia – della condizione sociale. Per i cultori del no e per tutti mi permetto di suggerire una visita al nuovo magazzino automatico della Pedrali dove tecnologia avanzata e bellezza diventano un tutt’uno. (…)

 

Il 4 dicembre si svolgerà il referendum costituzionale; la posizione di Confindustria è a voi tutti nota. Gli italiani diranno, tra l’altro, se gli assetti del potere locale rimarranno quelli che abbiamo costruito negli scorsi decenni o se i cittadini e le imprese dovranno rimodellare il loro rapporto con le Istituzioni e le Amministrazioni. In ogni caso è irragionevole ritenere che il sistema precedente possa ritornare, se non altro per il taglio che è stato sancito delle risorse e delle competenze. La caduta di un modello di governance consolidato è una minaccia e un’opportunità.

 

In questi ultimi mesi a Bergamo le Associazioni d’impresa, insieme alle Istituzioni, hanno cercato di interpretare il cambiamento proponendo un modello di relazioni reciproche che vuole garantire visione comune, progettualità ed efficacia.
E’ una cosa tutta nuova che potrà essere misurata solo nei fatti, ma che – mi sento di affermare – rappresenta un mix più efficace della tradizionale collaborazione/ separazione fra rappresentanze e Istituzioni. Confindustria Bergamo e le sue imprese intendono essere partecipi di questa opportunità perché qualunque sia il risultato del voto al Referendum costituzionale, la società propone alle persone, alle imprese e alle rappresentanze più ampi gradi di libertà per innovazione e progetti.
Siamo convinti che a Bergamo sia più facile avviare un percorso di sviluppo, perché le Istituzioni sono assolutamente credibili, perché le imprese sono tra le più serie e le persone hanno uno storico senso del lavoro, dove il lavoro è un valore riconosciuto. (…)