Roma, "A testa alta": manifestazione dei pensionati (foto LaPresse)

Referendum e Stabilità: ritorna la sfida tra prenditori e imprenditori

Renzo Rosati
Sarà tra prenditori, cioè titolari di rendite protette (pensioni, potentati dello stato e titolari di poteri di spesa pubblica in primis), e imprenditori, la battaglia che entra nel vivo per la legge di Stabilità 2017.

Roma. Sarà tra prenditori, cioè titolari di rendite protette (pensioni, potentati dello stato e titolari di poteri di spesa pubblica in primis), e imprenditori (fautori di misure del rilancio del mercato e della libertà di intraprendere anche abbattendo tabù e trasferendo le relative risorse, un fronte nel quale la Confindustria ha deciso di schierarsi, anche se non sempre con comportamenti coerenti), la battaglia che entra nel vivo per la legge di Stabilità 2017. Anticipati nei giorni scorsi dal Foglio, i movimenti di truppe e relativi ufficiali escono ora allo scoperto, a cominciare dalle colonne del Corriere della Sera. Che descrivono uno schieramento pro crescita capeggiato dai ministri Pier Carlo Padoan (Economia) e Carlo Calenda (Sviluppo economico), e dal presidente della Confindustria Vincenzo Boccia, che al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione ha non solo chiesto “scelte selettive” sulle risorse – scarse – ma ha anche lanciato un appello ad approvare il referendum sulla Costituzione come elemento di stabilità politica e innovazione sociale.

 

Sull’altro fronte c’è il consueto Partito dei pensionati, con sponde nell’esecutivo dei ministri Giuliano Poletti (Welfare), del viceministro alle Infrastrutture Riccardo Nencini, e del presidente pd della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, ex Cgil. In mezzo Palazzo Chigi, con il sottosegretario Tommaso Nannicini e lo stesso Matteo Renzi che vorrebbero “dare qualcosa ai pensionati” perché le elezioni arriveranno, pur con l’istinto e la logica che puntano altrove, al taglio delle tasse e a una deregulation burocratica e fiscale tipo quella che ha convinto Ryanair a investire in Italia un miliardo di dollari. Quello di Ryanair in Italia, con i suoi  2.250 nuovi posti di lavoro attesi, è il maggiore investimento post Brexit in un singolo paese della compagnia irlandese, nonché il fatto imprenditoriale più rilevante dopo la rivoluzione di Sergio Marchionne. Lo scontro tra frenatori e sviluppisti è un classico di ogni Finanziaria, stavolta però c’è di più. Perché gli interessi sono in campo anche nel referendum, spesso con impressionante sintonia.

 

Vista dai pensatoi e dalla stampa internazionale sempre citati dai salotti mediatici quando fa comodo, non dovrebbe esserci partita: l’Italia ha il terzultimo tasso di occupazione europeo e la seconda maggiore spesa pensionistica, la quale è a sua volta quattro volte quella per la scuola. Eppure si parla ancora di tutele agli esodati, Matteo Salvini fa campagna contro la legge Fornero con la stessa scioltezza con cui difende i docenti precari “deportati”, insomma occhio al retrovisore anziché alla strada. Ma non solo. I magistrati difensori del diritto pensionistico acquisito in Cassazione e alla Consulta, hanno ripreso il lobbying per riservarsi il potere di andare in pensione a 72 anni anziché 70. La contraddizione è solo apparente: i due anni di servizio arrotondano stipendi e pensioni. Il motivo è lo stesso dei primi scontri con Renzi: resterebbero scoperte le “procure di frontiera”.

 

Sennonché è il Csm che deve coprire i buchi nell’organico: perché non lo fa? Non basta. Ieri il Sole 24 Ore ha pubblicato l’ultima graduatoria della Corte dei conti delle regioni in deficit; cifre che si aggiungono ai debiti cronici, aggravandoli. Prima è il Lazio (1,85 miliardi di disavanzo), seconda il Piemonte (1,6), terza Sicilia (1,2). Totale dei deficit cumulati al 2015, 33 miliardi. Per le regioni la riforma costituzionale prevede la fine di molti poteri di spesa elargiti dall’Ulivo nel 2001, e il fronte dei governatori schierati per il no al referendum è ampio e trasversale proprio come fu quello del sì sulle trivelle. Il ricorso alle addizionali (vedi appunto il record del Lazio), magari lamentandosi che la pressione fiscale nazionale non cala, è stata finora la soluzione di questa specie di prenditori pubblici di denaro. Così come gran parte della magistratura flirta con il no, ma chiede soldi alla Finanziaria difendendo il diritto a non andare in pensione, alleata alla gauche stile Zagrebelsky, alla Cgil e a Salvini, tutti nella trincea delle pensioni. Contraddizioni solo apparenti se si guarda alla doppia battaglia – sull’economia e sul referendum – tra chi prende e chi intraprende.