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Assistenzialismo e vittimismo dietro l'autunno demografico

Renzo Rosati
Come sociologo e fondatore del Censis è stato tra i primi a raccontare fuori dagli schemi lo sviluppo italiano degli anni d’oro, dall’“economia del cespuglio” agli spiriti animali di un’imprenditoria che non voleva i lacci dello stato.

Roma. Come sociologo e fondatore del Censis è stato tra i primi a raccontare fuori dagli schemi lo sviluppo italiano degli anni d’oro, dall’“economia del cespuglio” agli spiriti animali di un’imprenditoria che non voleva i lacci dello stato. Come padre di otto figli Giuseppe De Rita, 83 anni, è anche personalmente titolato a dare una lettura iconoclasta dell’autunno della natalità, il calo demografico che affligge l’Italia e che è stato fotografato pure dall’ultimo Rapporto annuale dell’Istat. Rispondendo a Giovanni Minoli su Radio 24, anziché adeguarsi al mainstream della crisi economica che flagellerebbe le famiglie, ha parlato delle colpe “di un ceto medio in ritirata già da quando le cose andavano bene”.

 

Quello che segue con il Foglio è un attacco ad alzo zero alle responsabilità dell’assistenzialismo pubblico, a una società “sterile, vittimista e autoprotettiva”, alle distorsioni di un certo femminismo, alle conseguenti rappresentazione del circo mediatico. “Sul fatto che la crisi economica non c’entri con il calo demografico – dice De Rita – le cifre parlano chiarissimo. Passato il baby boom post-bellico, hanno cominciato a fare meno figli le generazioni degli anni 70 e 80, le più affluenti. E questo per colpa della ‘cetomedizzazione di massa’ da una parte, e dall’altra della ritirata della classe dirigente dalle sue responsabilità”. In che modo? “Avevamo un Sud non solo fertile ma anche pronto alla mobilità sociale e geografica e ai suoi rischi. Un Nord-Est che sulla procreazione fondava il proprio modello economico. Una borghesia basata sulla famiglia e sulla trasmissione di beni materiali e di valori. Il Sud si è in gran parte trasferito a Roma in cerca di stipendi fissi e assistenza pubblica. Il Nord-Est è passato dall’operosità alla paura continua. La borghesia ha cavalcato l’onda dei diritti individuali e di un certo femminismo”. Non negherà certe conquiste. “Come no, divorzio, aborto… Ma il diritto civile è stato piegato ad abuso, con una visione proprietaria: il corpo è mio, il matrimonio è mio e divorzio quando voglio, il figlio è mio e lo abortisco se mi pare”. Non può essere lo stato a decidere per gli individui. “Ovviamente. Lo stato però ha assecondato le richieste di questo ceto medio al ribasso, quella che già Pasolini definiva ‘piccola borghesia che non vuole cambiare, ma stare tranquilla’. Ormai rappresenta l’80 per cento dell’elettorato, ed ecco interventi assistenziali su emergenze vere o presunte di ogni tipo, pensioni, bonus, trattamenti mirati corporativi. Fa comodo ai partiti, ai sindacati, alla Confindustria. Infatti abbiamo sempre in tv i pensionati”.

 

Colpe di media e talk show? “Inseguono le emergenze amplificandole, vedi la mistica degli asili nido. Nelle novità individuano sempre complotti. E non dicono nulla di nuovo”. Torniamo al ceto medio: non era per definizione produttivo? “Oggi è un grande lago salato che inevitabilmente evapora. Una società che rischia l’immobilismo. Le speranze sono i ragazzi che riescono a inserirsi in qualche filiera di hi-tech o, per dire, dell’alta gastronomia. Sono le nuove classi sociali: però i giovani, più che esserne i protagonisti come furono invece quelli della Silicon Valley, per ora sono trasportati da onde che dipendono da giganti della tecnologia o da chef stellati con ristorante sui roof di Shanghai”. Paesi all’avanguardia dei diritti come la Gran Bretagna e Israele, o di tradizione cattolica come l’Irlanda, sono i più fertili d’Europa. “Alcuni sono di 40 anni più avanti di noi: per questo non disperiamo. Altri rifiutano lo statalismo finanziato dalle tasse. Altri ancora non hanno mai messo in discussione la procreazione: se non c’è il desiderio, fisico e sociale, i figli non li fai”. La politica dei bonus-bebè non serve? “Guai! Sono i bonus senza politica. Un incentivo a dire: faccio un figlio solo se mi dai il bonus. E d’altra parte le politiche della natalità possono far danni come le politiche industriali e del welfare. Lo stato deve sciogliere le briglie, non imbrigliare ancora”.

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