Se si guardano i dati statistici dell’ultimo decennio, si osserva che il basso tasso di natalità si accompagna sempre al basso tasso di occupazione femminile

La soluzione è accrescere il tasso di occupazione femminile

Non sarà qualche anno di bonus bebè a far nascere più figli in Italia

Sergio Soave
Il modello sociale e famigliare che resta impresso è tuttora quello di una funzione procreatrice della donna considerata alternativa a quella professionale.

Roma. La questione demografica, cioè la preoccupazione per gli effetti del fenomeno di denatalità particolarmente rapido nel nostro paese, sta finalmente diventando un tema concreto del dibattito politico. Per affrontare questo problema, però, bisogna individuarne le cause, che hanno caratteri peculiari e per certi aspetti nuovi, che contrastano con un senso comune sedimentatosi nella lunga fase in cui il problema demografico italiano era di segno opposto, era cioè quello di una sovrappopolazione che ha determinato immensi fenomeni migratori. Il modello sociale e famigliare che resta impresso è tuttora quello di una funzione procreatrice della donna considerata alternativa a quella professionale. Invece, se si guardano i dati statistici dell’ultimo decennio, si osserva che le cose sono andate in modo diverso: il basso tasso di natalità si accompagna sempre al basso tasso di occupazione femminile e all’innalzamento dell’età di ingresso nel mondo del lavoro.

 

E’ un processo che si è già verificato per esempio nelle società scandinave dove, dopo una fase di denatalità collegata all’aumento dell’occupazione femminile, quando questa si è stabilizzata a livelli elevati, è ripresa la crescita della natalità. Non si tratta soltanto di una questione di reddito, cioè della riluttanza a far nascere figli in una condizione di incertezza economica tipica di una famiglia in cui di reddito ne entra uno solo. Probabilmente pesa anche una questione relativamente nuova di affermazione dell’indipendenza femminile. Una donna non vuole rinunciare a una funzione sociale e produttiva che la rende meno soggetta nell’ambito della vita e della famiglia. Solo quando ha raggiunto quella condizione sceglie di avere figli, ma spesso – per la carenza di occupazione femminile e per il ritardo con cui i giovani entrano nel mercato del lavoro – quando e se raggiunge quella condizione, è troppo tardi per partorire.

 

Il cardinale Angelo Bagnasco, esprimendo soddisfazione per il fatto che “l’inverno demografico” è diventato finalmente un tema centrale dell’agenda di governo, incoraggia misure a sostegno della famiglia, soprattutto sul piano fiscale. E’ ragionevole però domandarsi se questa terapia, che consiste in sostegni alle famiglie che hanno figli, sia efficace, oltre che per combattere o almeno alleviare i fenomeni di impoverimento dei nuclei più numerosi (il che è senz’altro apprezzabile), anche per promuovere la natalità. Su questo, invece è lecito avanzare qualche dubbio. Nel modello di famiglia moderno, basato sulla convivenza tra persone che perseguono anche obiettivi di indipendenza, conta soprattutto che ci sia lavoro per ambedue i coniugi (oltre che misure che consentano effettivamente di conservare il lavoro in caso di gravidanza).

 

Accrescere il tasso di occupazione femminile e giovanile, probabilmente, è la condizione strutturale per invertire il processo di denatalità, il che richiede di concentrare le risorse, obiettivamente scarse, nella promozione della crescita produttiva, senza la quale ovviamente non c’è possibilità di crescita dell’occupazione. Non sarà la disponibilità per qualche anno di un bonus a spingere più donne ad affrontare i problemi connessi con la procreazione. La realizzazione delle aspirazioni alla vera emancipazione femminile deve essere coniugata nella duplice dimensione della maternità e della funzione produttiva che determina indipendenza. La vecchia idea che queste funzioni siano sostanzialmente alternative è superata dai fatti, quindi rappresenta un freno alla comprensione dei caratteri nuovi del fenomeno della denatalità, che può essere fronteggiato solo affrontandone senza prevenzioni e pregiudizi le effettive cause strutturali.

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