Servirebbero 750 mila nascite ogni anno per mantenere l’Italia a livelli di Germania, Francia e Inghilterra

Dietro il grande tabù demografico

Giulio Meotti
“Ma che cosa succede in Italia?”, chiedevano dalla Francia già nel 1983. Blangiardo: “Ma da noi parlare di famiglia era proibito. Ti accusavano di fascismo. Se continuiamo così scenderemo fino a 40 milioni di abitanti” – di Giulio Meotti

Roma. Nell’aprile del 1983 la rivista dei demografi francesi Population et Sociétés pubblicò in prima pagina un saggio dal titolo: “Cosa sta succedendo in Italia?”. Quell’anno, per la prima volta nella storia del nostro paese, il saldo naturale fra nascite e morti risultò passivo. I dati dell’Istat indicarono nel periodo compreso fra gennaio e maggio 247.582 morti contro 244.078 nati. Non era mai successo nella storia d’Italia. Tre anni dopo, la fecondità italiana si stabilizzò sul dato più basso al mondo di figli per donna: 1,3. Da allora, soltanto piccole oscillazioni, tra 1,2 e 1,3 figli per donna. Siamo ancora fermi lì.

 

Quell’anno fu un demografo francese, Pierre Chaunu, a denunciare quanto stava accadendo in Italia e in Europa attraverso libri come “Un futur sans avenir. Histoire et population”. Il docente della Sorbona Chaunu, un protestante ferrigno, denunciò “i predicatori-mercanti della pillola di Pincus”, il “planning familiare che pianifica solo la sterilità”, i tedeschi sensibilizzati dalle pratiche eugenetiche criminali del nazismo che avevano trasformato il loro paese in “laboratorio del neo-malthusianesimo”, gli esperti in demografia pavidi che stavano occultando la verità. Come Giovanni Battista, Chaunu gridava nel deserto che la tragedia era imminente, che siamo all’ora X. Ma nessuno ascoltava, specie da noi. Eppure, la natalità in Italia si era dimezzata nell’arco di poco più di dieci anni: nel 1970, infatti, ogni donna italiana faceva ancora 2,4 figli. Ma per dieci anni facemmo finta che non stesse succedendo nulla di strano. Poi, nel 1997, la Banca mondiale indicò l’Italia al primo posto – a pari merito con Bulgaria, Spagna e Hong Kong – nella classifica delle nazioni con la più bassa natalità. Poi si sarebbero aggiunti colossi come Germania e Giappone.

 

In quel 1997, in dieci comuni italiani per la prima volta  non si registrarono nascite. “L’Italia, diventata il paese più vecchio del mondo con una natalità che è sprofondata, prefigura la demografia di domani nei paesi ricchi”, scriveva quell’anno il quotidiano francese Libération. La “piramide delle età” si sarebbe rovesciata al punto che oggi il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, evoca una “apocalisse”. L’Italia è un paese che si spegne e che ha già perso una generazione. Un paese dove presto i soli famigliari di sangue saranno i propri genitori.

 



 

La tendenza alla denatalità è iniziata nei primi anni Ottanta, quando la crisi economica non c’era e l’Italia conobbe i “dinks”, “double income no kids”: doppio stipendio niente bambini. “L’Italia è dal 1977 che è sotto i due figli per donna, parliamo di trentanove anni di mancato ricambio generazionale e da allora non si fa che scendere”, dice al Foglio Gian Carlo Blangiardo dell’Università di Milano, uno dei più grandi esperti in Italia di demografia. “C’è stata la pianura demografica degli anni Ottanta, in cui si viaggiava su dati drammatici. Poi, nei primi anni Novanta, sono arrivati gli stranieri, che hanno contribuito demograficamente con le nascite ma anche con i ricongiungimenti familiari e con i nuovi arrivi. Almeno fino al 2012, quando hanno smesso anche loro di fare figli e sono passati da un tasso di fertilità di 2,5 a 1,9. Nel 1990 scrissi un libro dal titolo ‘Meno italiani…più problemi?’. Provavo a spiegare il fenomeno di cui ci stavamo rendendo conto”.

 

Come spiega questo trentennale tabù italiano sulla demografia? “Con lo scheletro nell’armadio del periodo fascista. Una volta c’erano gli ‘assegni familiari’, ma poi sono diventati assegni di povertà. Non si poteva parlare neppure di ‘intervento demografico’ ma di ‘intervento sociale’. Guai a nominare la ‘demografia’, era fascista. Anche parlare di ‘famiglia’ non era una cosa bella in quegli anni, era controcorrente. Adesso qualunque scelta politica che ha risorse scarse e sposta risorse, dando risultati nel lungo corso di dieci anni, non è politicamente opportuna. La Francia funziona perché è un secolo che investe nella famiglia. E reggono gli Stati Uniti. Da noi servirebbero degli statisti che accettano il rischio di azioni impopolari, togliendo risorse a qualcuno. Ma sono dodici milioni oggi gli ultra 65 anni e tra poco diventeranno venti milioni. Chi potrà invertire allora questo fenomeno?”.

 

Centomila persi nell’aborto ogni anno


L’Institute of Family Policies in America ha calcolato che “il numero di aborti nei ventisette paesi europei in un anno (1.207.646) equivale al deficit nel tasso di natalità in Europa”. E’ possibile che il buco demografico sia anche responsabilità delle politiche sulla vita, altro tabù per la cultura dominante? “Certo, facciamo un calcolo sull’Italia” continua il professor Blangiardo. “Abbiamo circa cinquecentomila nuovi nati ogni anno, abbiamo una durata di vita di ottant’anni, un banale calcolo dimostra che avremo una popolazione di quaranta milioni di abitanti. Oggi siamo sessanta milioni e viviamo ottant’anni. Servirebbero 750 mila nascite ogni anno per mantenere l’Italia a livelli di Germania, Francia e Inghilterra. Mezzo milione sono le nascite attuali. Ci sono centomila aborti legali ogni anno. Ce ne mancano 250 mila per rimanere sessanta milioni. Noi ne bruciamo centomila con questa legge che è un diritto, ma che ha avuto un prezzo preciso, altissimo”.

 

A cosa andremo incontro? “Le condizioni attuali cristallizzate ci porteranno a una popolazione di quaranta milioni di italiani a fine secolo. Per invertire questo fenomeno servono mezzo milione di persone all’anno”. Useremo l’integrazione, come da più parti si chiede di fare? “E’ follia. Ci sono dei limiti, ragionevoli, a quanto e cosa una società possa accogliere. Allora devi provare a uscire riportando il tasso di fertilità di 1,3 a 1,6-7, gestendo così in maniera morbida la transizione verso livelli demografici che garantiscono almeno la crescita zero, non dico la crescita demografica. E questo non è possibile nell’immediato. Ci sarà invece un ridimensionamento della consistenza numerica, mentre proseguirà il processo di invecchiamento. Stiamo scomparendo per presunzione. Anche l’Impero romano aveva una crisi demografica alla sua fine. La caduta di Roma ha coinciso con la crisi demografica. E’ la storia della famosa Cornelia, la madre dei Gracchi. C’era una legge dei Romani che imponeva a chi non avesse figli di non poter portare gioielli. Qualcuno fece notare a Cornelia che lei poteva averne, ma lei rispose: ‘No, i miei figli sono i miei gioielli’. Ecco, noi non abbiamo più gioielli”.   

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.