A Mediobanca non bisogna più chiedere “scusi, è permesso?”

Ugo Bertone
Fondo Atlante, Rcs e banda larga. Nelle operazioni più importanti la banca di Nagel è rumorosa assente o gioca di rimessa

Roma. Cos’hanno in comune l’avvio del fondo Atlante – terapia d’urto per provare a risolvere i problemi bancari – l’offerta di Urbano Cairo per il Corriere della Sera e l’irruzione di Enel nell’infrastruttura della banda larga? Sono le tre partite più importanti per gli equilibri del capitalismo italiano nelle quali Mediobanca è rumorosa assente o è costretta a giocare di rimessa: l’ad Alberto Nagel è stato ad esempio tenuto all’oscuro delle manovre che contano come l’Offerta pubblica di scambio (Ops) di Cairo su Rcs Mediagroup. Le partite rilevanti non passano più dal confessionale del capitalismo italiano che fu di Enrico Cuccia e che oggi assomiglia a un pied a terre affittato a Vincent Bolloré, erede francese del capitalismo di relazione, un maestro delle scatole cinesi che “in materia di governance fa sembrare un santo perfino Rupert Murdoch”, dice il Financial Times.

 

Nella sala parto del fondo Atlante, concepito da governo Renzi e Cassa depositi e prestiti, sono stati ammessi banchieri, fondazioni, fondi pensione e assicurazioni ma la piccola banca d’investimento milanese non è stata invitata al “banchetto” delle sofferenze. Certo, Mediobanca non s’attaglia al profilo dei partecipanti – non è una banca retail, avrebbe pochi crediti da cedere perché sono in bonis e a frugare nell’area Compass, credito al consumo, si troverebbe poca materia deteriorata – ma come investitore poteva dire la sua. Nel passato non sarebbe stato concepibile un progetto così ambizioso, “di sistema”, senza un ruolo di consulente per il tempio della finanza laica. Senza dimenticare che un (non scontato) successo del fondo Atlante, che funge anche da garante di ultima istanza degli aumenti di capitale di alcune banche coinvolte, procurerebbe un calo dei profitti per Mediobanca che era già pronta a spuntare ricche commissioni per sostenere gli aumenti di capitale a rischio, a partire dal Banco Popolare che deve raccogliere un miliardo prima della fusione con Bpm. Le ragioni per il malumore di Nagel non mancano ma il fastidio si è tradotto in un travaso di bile davanti all’Ops su Rcs di Cairo che già comprò la rete televisiva La7 da Telecom Italia su spinta dell’allora azionista Mediobanca (pur con qualche borbottìo nel cda di Piazzetta Cuccia). Stavolta la concorrente Intesa Sanpaolo ha aiutato l’editore di La7 a preparare un’offerta all’insaputa di un partner storico di Rcs come Mediobanca, peraltro nel bel mezzo di una trattativa tra le banche creditrici e la compagnia editoriale. Ha il sapore dello smacco per Nagel, considerato che la proposta di Cairo, nota da venerdì scorso, ha allargato le crepe del fronte degli istituti creditori. Non solo Intesa, regista finanziaria della “cospirazione Cairo” tramite banca Imi, ma anche Ubi, cara a Giovanni Bazoli e un tempo vicina a Mediobanca, e Bpm.

 

Anche dentro Mediobanca c’è chi spera che Cairo si faccia carico del risanamento di Rcs (“serve un piano con un editore, non si possono fare attivi per rimborsare i debiti bancari”, si dice a Piazzetta Cuccia) e si abbandoni l’atteggiamento “para-liquidatorio” dei soci del Corriere. Dal gennaio 2011 all’aprile 2016 sono stati bruciati 500 milioni di capitalizzazione di Borsa e si sono accumulati, malgrado la vendita della sede di Via Solferino e Rcs Libri, debiti per oltre 400 milioni. Non sarà facile rispondere a Cairo. Le alternative sono poche. Francesco Gaetano Caltagirone? E’ già impegnato, con l’assenso di Nagel, a costruire una posizione forte in Assicurazioni Generali. Pirelli è dei cinesi di ChemChina, Diego Della Valle pensa agli scricchiolii asiatici di Tod’s. Oggi solo Vincent Bolloré, capo di Vivendi, è all’altezza dei big. Chissà, potrebbe aiutare Nagel con Rcs. Ma prima bisognerà trovare una quadra sulla banda larga. Enel in campo su mandato di Renzi ha spiazzato Vivendi, socio forte di Telecom. La concorrenza può avere risvolti gravi: un taglio di posti di lavoro nell’ex incumbent delle tlc, se la rete venisse sdoppiata. Ma c’è un rimedio: l’ingresso in Telecom di un socio pubblico col 20-30 per cento. Così sostiene il report di un broker autorevole: Mediobanca Securities.

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