Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Postmodernità o muerte

Cosa si gioca Renzi nella sfida coi tassisti su Uber

Alberto Brambilla
Entro la settimana prossima il governo dovrà dire se sostiene l’innovazione o la minacciosa corporazione dei tassisti.

Roma. A maggiore ragione dopo che la Commissione europea ha citato ieri le mancate liberalizzazioni tra gli “squilibri” dell’Italia, Matteo Renzi dovrà dimostrare la sua volontà a favorire lo sviluppo di servizi alternativi per la mobilità urbana, come Uber e le auto a noleggio con conducente (ncc), insidiando la rendita di posizione della corporazione dei tassisti che minaccia di bloccare Roma a breve. Era il 22 maggio 2014 quando il presidente del Consiglio definì Uber, la società californiana che offre servizi di trasporto urbano con autista privato attraverso l’applicazione via smartphone, un “servizio straordinario” di cui il governo si sarebbe occupato la settimana successiva. La “settimana successiva” sarà la prossima, quando ogni timidezza dovrebbe cadere per dare seguito alle dichiarazioni “uberiste” uscite sia dal ministero dello Sviluppo economico sia dal ministero dei Trasporti. Il disegno di legge sulla Concorrenza – che avrebbe dovuto essere approvato dal Parlamento già entro il 2015 – è in discussione al Senato per la seconda lettura. Contiene emendamenti favorevoli ai servizi ncc (rimozione dell’obbligo di rientro in rimessa dopo ogni corsa, risalente al 1992) e in subordine a Uber Black, servizio di auto “nere” di lusso di Uber. La proposta più radicale di disciplinare i requisiti di professionalità e sicurezza dei conducenti, che favorirebbe lo sviluppo di Uber Pop, la versione dell’app che permette a ogni automobilista di diventare autista Uber, trova invece resistenze trasversali. E’ l’app che i tassisti temono e, anche per questo, minacciano di paralizzare Roma con 10 mila auto il 18 marzo.

 

La volontà del governo di procedere dando parere favorevole ad alcuni emendamenti tesi a ridurre le “distorsioni concorrenziali”, ovvero aprire ad altri modelli di business diversi dai taxi, o a introdurre innovazioni normative in futuro, dipende da “valutazioni politiche”, dice Salvatore Tomaselli (Pd), relatore del ddl Concorrenza in commissione Industria al Senato. Tomaselli dice che il “tema delicato” è “all’attenzione del governo” ma ancora “non c’è un orientamento definito” mentre “si sta ragionando, anche con i tassisti, per vedere se ci sono condizioni per rendere il mercato più aperto ed efficiente”. La questione rischia infatti di precipitare sulle prossime elezioni comunali a Roma, dove la corporazione dei tassisti è stata capace in passato di fare eleggere o di bloccare intere giunte comunali, con una certa capacità di  fare nascere, attraverso colorite conversazioni con i clienti, leggende metropolitane favorevoli alle loro campagne.

 

[**Video_box_2**]Uber è in 60 paesi, 340 città nel mondo, trasporta 1,5 milioni di persone al giorno e ha caratteristiche differenti dai taxi per maggiore prezzo e maggiore qualità del servizio. I suoi autisti e manager hanno ricevuto attacchi fisici e verbali, mentre da almeno due anni si susseguono proteste in alcune metropoli mondiali (Amsterdam, Bruxelles, Parigi, Londra, Mumbai, Milano) e decisioni ostative da parte dei tribunali, in particolare  europei. Mark MacGann, prima di lasciare l’incarico come principale lobbista di Uber in Europa, era a capo della public policy della app americana, a gennaio aveva dato sostanzialmente un ultimatum al governo italiano riferendosi al ddl Concorrenza: “Il Partito democratico e Matteo Renzi sono a un bivio”. Devono decidere, disse, se stare dalla parte del futuro e degli innovatori oppure dalla parte di “chi appicca il fuoco alle auto”, come accaduto in Francia. David Plouffe, ex stratega politico di Obama e ora al servizio di Uber, che ha avuto incontri con esponenti dell’esecutivo l’anno scorso, aveva scritto al Foglio che “non stiamo parlando di riforme facili, ma se il governo cogliesse l’opportunità, ora, potrebbe lavorare con aziende come Uber per migliorare in modo quasi immediato le vite di autisti e passeggeri in tutta Italia, così come l’economia in generale”.  

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.