Nelle banlieue di Parigi, dove non può l'assistenzialismo dello stato arriva Uber

Mauro Zanon
Il mestiere di conducente  la porta d’entrata nel mondo del lavoro per molti giovani figli dell’immigrazione usciti dalle zone devastate dalla disoccupazione

Parigi. Ai suoi amici d’infanzia di Bobigny, periferia nord di Parigi, lo ripete in continuazione: se non fosse stato per Uber, ora forse sarei in prigione. Ma come Baba, ventiquattro anni, sono molti i giovani delle banlieue che stanno manifestando la loro gratitudine all’app californiana, per averli tirati fuori dalla complessa vita delle “cité”, per averli, letteralmente, salvati, dando loro un lavoro, un futuro e la possibilità di un riscatto sociale. Lì dove la République e la sua politica di sovvenzioni prioritarie non sono riuscite a migliorare le cose, contribuendo invece a mantenere lo status quo che nelle banlieue è sinonimo di alto tasso di disoccupazione e di delinquenza giovanile, riesce Uber, come ha scritto il Financial Times, citando un paper di due economisti francesi, Augustin Landier e David Thesmar, consacrato all’analisi dei profili dei driver francesi. Dallo studio sociologico emerge che il mestiere di conducente con Uber è la porta d’entrata nel mondo del lavoro per molti giovani figli dell’immigrazione usciti dalle zone devastate dalla disoccupazione, come appunto le zone che attorniano Parigi e coprono principalmente il dipartimento del Seine-Saint-Denis.

 

Delle 15mila persone che lavorano per conto della società americana nella regione parigina, la maggior parte proviene dalle “banlieue nord e del sud-est, lì dove le condizioni economiche sono più difficili”, spiega un ricercatore dell’Hec (École des hautes études commerciales). Secondo le cifre emerse dal paper, un quarto degli attuali driver era senza lavoro prima di raggiungere la piattaforma, come Baba, appunto. “Prima di Uber, eravamo sempre lì a parlare di stronzate tutto il giorno”, dice al Ft, riflettendo su come Uber abbia cambiato radicalmente la sua vita, mentre indica il piazzale vuoto, circondato da ristoranti kebab, un supermercato e una cintura di palazzoni di cemento tutti uguali, dove era solito ritrovarsi con i suoi amici. “Ora ho una bella macchina e ho comprato un completo di Zara. Amo questo lavoro, adoro guidare a Parigi e parlare con i clienti”.

 

[**Video_box_2**]L’altro aspetto molto interessante messo in luce dal Ft è quello sociale. Uber, facendo entrare nel mercato del lavoro centinaia di giovani che provenivano dalle zone cosiddette prioritarie, è riuscita ad abbattere le barriere sociali, avvicinando mondi che non si sarebbero mai trovati l’uno accanto all’altro, o comunque molto difficilmente si sarebbe potuti intersecare. Giovani delle periferie, che fino a qualche mese prima bazzicavano in luoghi poco raccomandabili, si sono ritrovati ad accompagnare da un angolo all’altro di Parigi artisti, avvocati, uomini d’affari e turisti, scrive il Ft. La coesione sociale, o meglio la “mixité” che lo stato cerca invano di imporre con politiche più cariche di ideologia che altro, è invece generata da Uber e dalle altre piattaforme di noleggio con conducente. “Il successo di Uber nelle banlieue è una risposta spontanea a decenni di politiche pubbliche che hanno fallito nella lotta contro le discriminazioni e nella creazione di posti di lavoro”, commenta Thomas Kirszbaum, professore di sociologia presso l’Ens (École Normale Supérieure). Lo studio dei due economisti francesi dà dunque ragione al ministro dell’Economia Emmanuel Macron, che a gennaio, suscitando reazioni infastidite, aveva difeso Uber sulle pagine del Monde, perché dava “accesso all’attività economica” a giovani che sono “spesso vittime di esclusione”. Restano da convincere i suoi compagni di governo, secondo cui Uber non è ancora sinonimo di “nuove opportunità economiche”, come le cifre dimostrano, ma un mostro da abbattere.

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