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I rischi esterni e interni che mettono in allerta le Generali

Alberto Brambilla
La voglia franco-tedesca di regolare la finanza e la flemmatica successione di Mario Greco gravano sull’Assicurazione d’Italia

Roma. Generali, la prima assicurazione italiana, ha rischi esterni e interni da fronteggiare. La governance europea si fa più occhiuta con il banchiere centrale tedesco Jens Weidmann e quello francese François Villeroy de Galhau che tornano a chiedere a tutte le istituzioni finanziarie europee di pesare il rischio legato ai titoli di debito sovrano che hanno in pancia.

 

Generali ha modalità proprie di ponderazione del rischio, ma le dichiarazioni dei due banchieri non sono da trascurare nemmeno in quel di Trieste. Il gruppo Generali, presente in oltre 60 paesi, ha in bilancio 61 miliardi titoli di stato italiani, in aumento dai 57,6 miliardi di fine 2013. L’esposizione verso il paese con il secondo debito più alto dell’Eurozona e la sua alta concentrazione in bilancio è fonte di incertezza per la compagnia, ha detto l’agenzia di rating Fitch il 26 gennaio confermando il rating A-. Opinione condivisa da Standard & Poor’s e Moody’s. L’esposizione al rischio sovrano funzionerà da deterrente per un miglioramento del rating di Generali, mentre un declassamento del merito di credito dell’Italia trascinerebbe con sé il gruppo del Leone. Accanto al rischio regolatorio e al rischio sovrano, Generali deve gestire la successione del ceo Mario Greco, che ha annunciato la sua uscita dal gruppo il 26 gennaio, dopo tre anni circa, comunicando il suo ritorno alla concorrente svizzera Zurich.

 

Il consiglio di amministrazione, riunitosi martedì, non ha indicato un chiaro sostituto ma ha conferito le deleghe ad interim al presidente Gabriele Galateri di Genola e avrebbe assegnato a una società di “cacciatori di teste”, forse Egon Zehnder, l’incarico di vagliare manager esterni e interni adatti al ruolo.

 

La successione, un evento traumatico, è guardata con attenzione dagli osservatori e se durerà troppo a lungo potrà procurare un danno reputazionale alla quarta assicurazione europea.

 

Per ora le agenzie di rating, come il mercato, sono in modalità “guarda e aspetta” visto che il comitato nomine – composto dal presidente Galateri e dagli azionisti Francesco Gaetano Caltagirone (Gruppo Caltagirone) e Lorenzo Pellicioli (De Agostini) – ritiene di trovare un nuovo ceo in una o due settimane. Secondo indiscrezioni, Gilberto Benetton sarebbe stato sondato per aumentare la sua quota di partecipazione in Generali, attraverso la holding Edizione, prendendo il 3 per cento che Mediobanca (13,8 per cento) deve cedere e diventare il secondo azionista del gruppo così da imprimere un indirizzo netto ed evitare che una nomina chiave diventi ostaggio di rivalità interne.

 

Sembrano esagerati i timori degli analisti di Sanford C. Bernstein, un gestore, sulla “situazione precaria” dopo la partenza di Greco “con il piano di turnaround non completato e il capitale relativamente debole” che fa prevedere “anni difficili”. Il piano di ristrutturazione e il successivo piano strategico al 2018 sono stati ideati da Greco ma l’intero team che ha contribuito a svilupparli sa realizzarli anche senza l’“uomo-manifesto”.

 

[**Video_box_2**]Tuttavia, per una questione di opportunità, il cda di Generali avrebbe potuto pensare con anticipo al sostituto di un ceo considerato centrale per l’azienda, e incensato dalla stampa finanziaria, che per di più già a giugno aveva dato segni di irrequietezza. Una mancanza che ha suscitato sconcerto nei circoli bancari di Parigi e Londra visto che il presidente Galateri di Genola, ex di Mediobanca, è considerato un esperto in gestione del governo societario. Le trattative per convincere Greco a restare in sella sono fallite nel corso dei mesi ma nel frattempo non sono cominciate le ricerche di un successore. L’adagio “tutti siamo utili nessuno è indispensabile” vale pure per i super-boss. Tuttavia nel 55 per cento dei casi, dice un sondaggio Uk finance directors condotto su 200 aziende, le società si presentano impreparate all’evento. La successione, stando ai consigli di McKinsey e Russell Reynolds, dovrebbe essere preparata costruendo nel tempo una nuova leadership. La vita va avanti anche quando gli insostituibili se ne vanno (alla concorrenza), meglio non traccheggiare nell’attesa che prendano altre strade.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.