Uno stabilimento Gazprom in Russia

Non solo privatizzazioni. L'auspicio russo di sganciare l'economia dal petrolio

Gabriele Moccia
Il dubbio di Mosca: ripartire dalla fine delle sanzioni per far rientrare da porte e finestre investitori e imprese straniere oppure provare a fare da sé?

A Mosca e soprattutto al Cremlino sono in molti ad auspicare l’avvio di una fase post-petrolifera. Per la Russia questo significa tentare di investire sulle nuove tecnologie. I primi a muoversi – come spesso accade in questo paese – sono gli oligarchi, spina dorsale del sistema putiniano. Uno dei più ricchi, Alisher Usmanov, attraverso una sua controllata la Usm Holdings ha di recente acquistato un importante pacchetto azionario in Uber, mentre un altro magnate, Viktor Vekselberg, proprietario del gruppo Renova, nelle ultime settimane ha rastrellato quote di Gawker Media (una compagnia americana di media digitali). Anche la Hyperloop Transportation Technologies, la startup di Elon Musk, sarebbe pronta ad investire nella costruzione di treni ad alta velocità. Il settore tecnologico russo è prevalentemente controllato da grandi gruppi come Yandex o Mail.ru, di proprietà degli oligarchi.

 

Ma sono sempre più frequenti i casi di successo legati a startup come Telegram, il sistema di messaggistica via smartphone ora alternativo all’americanissimo WhatsUp. Del resto, la capacità di produrre in casa alta tecnologia è visto come un elemento di sicurezza nazionale. Il governo, dunque, ha cercato di avviare iniziative a supporto come la creazione dello Skolkovo innovation hub, un incubatore poco fuori Mosca. Anche il centro Skolkovo ora soffre sotto la scure della spending review avviata dal Cremlino e ha fatto scendere questa Silicon Valley russa al tredicesimo posto del Global Startup Ecosystem Report, la classifica mondiale legata ai migliori ecosistemi per le startup. “La Russia non è pronta per la quarta rivoluzione industriale”,  rincara la dose l’economista Alexei Portansky del Russian Council of International Affairs. E per alcuni non è solo colpa del rublo, Alexei Melnikov, un rappresentate del partito di opposizione Yabloko, ha affermato come non si tratti solo di una crisi economica, ma più di una ammissione di inadeguatezza, un collasso che manifesta una crisi di orientamento, una perdita di terreno. Lasciando da parte il catastrofismo politico è però vero – come ha evidenziato anche di recente un personaggio di ‘apparato’ come German Gref, il capo di Sberbank – che la Russia sembra non aver colto l’importante passaggio costituito da processi innovativi come industria 4.0, pur essendo un paese ricco di competenze matematiche, fisiche e d’ingegneria avanzata.  Sulla robotica, ad esempio, mancano investimenti adeguati. Stando ai dati della Federazione internazionale della robotica,  se il tasso medio di densità robotica dei paesi più industrializzati è 60, in Russia è di 10.

 

[**Video_box_2**]“La quarta rivoluzione industriale è alle porte e molti possono aspettare lo stato che intervenga per sviluppare appropriati programmi, ma vi è il rischio che sia troppo tardi”, commenta laconico Nikolai Vardul, giornalista della Finanzial Gazette. La strada verso una reale diversificazione economica è, dunque, ancora lunga. Infatti, se più o meno tutti in Russia sono ormai convinti nel dire basta con le pesanti e cicliche turbolenze legate all’andamento del prezzo del petrolio, per ancorare la ricchezza del paese a dinamiche produttive più eterogenee, meno chiara appare essere la strada che si vuole imboccare: ripartire dalla fine delle sanzioni per far rientrare da porte e finestre investitori e imprese straniere oppure provare a fare da sé?

Di più su questi argomenti: