Paolo Agnelli, 64 anni, erede dell’impero dell’alluminio fondato nel 1907, L’azienda produce un milione di pentole l’anno

Paolo Agnelli, il signore delle pentole

Michele Masneri
L'erede dell’impero dell’alluminio (nessuna parentela con la grande famiglia di Torino), guida un impero che prospera con la gastro-tv e senza Confindustria

Agnelli è nel suo ufficio, il ciuffo di capelli bianchi sul viso rugoso da playboy, alle pareti numeri del giornale di famiglia. La Lancia Thema con autista ci ha appena portato qui. Agnelli è scontento della Confindustria. Agnelli flirta con l’ultrasinistra.
A spasso nel tempo? Mica tanto. Non siamo a Torino ma più modestamente a Lallio, provincia di Bergamo, sul fiume Serio, e Agnelli non è Gianni (anche se gli somiglia tanto) ma Paolo, sessantaquattro anni, erede dell’impero dell’alluminio fondato nel 1907. Stesse rughe gentilizie, ma senza erre moscia. Nessuna parentela. Un po’ più rustico, ma non tantissimo. Ma siete uguali, Agnelli. “Lo so, me lo dicono dai tempi della scuola. Avevamo fatto fare delle ricerche, anche. Loro sono originari di Lodi, non lontano di qui. Noi comunque li chiamiamo i nostri parenti poveri di Torino”. Gli Agnelli bergamaschi non hanno complessi. Tredici aziende, 350 dipendenti, 150 milioni di fatturato, gli Agnelli bergamaschi sono alla terza generazione dell’alluminio, soprattutto leader non dell’auto ma della pentola. Un milione, di pentole l’anno, per l’esattezza, e il 75 per cento del mercato italiano di fascia alta, 30 per cento di quello mondiale, pentole per gli chef e per gli aspiranti chef, dunque al centro della temperie contemporanea grazie al product placement dei padelloni Agnelli nei programmi televisivi. Non c’è prova del cuoco, o talent, o blogger vegano che non adoperi le loro pignatte, ed è chiaro che questo signore interpreta lo spirito dei tempi come e meglio dell’Avvocato nella sua epoca. Autobiografia della nazione, con coperchio.

 

Il gruppo nasce ai primi del Novecento quando l’avo Baldassare (con una erre), orafo, torna dal Montenegro dove è andato ad apprendere l’arte del cesello, a scuola di certi artigiani arabi in tempi pre-Isis, e lì scopre questo metallo sconosciuto che si ricava dall’allumina, è leggero e resistente, e si inventa i cerchioni per le bici superleggeri che venderà poi a Leopoldo Pirelli. Ma il boom è con la prima guerra mondiale, lì il rame viene requisito per la patria e non si sa come fare le pignatte, ecco che a Baldassare viene l’idea di farle con questo metallo che conduce il calore meglio degli altri (papà e mamma di Baldassare avevano ristoranti e trattorie a Milano, tutto torna). Ma non farà male, ci si è sempre chiesto, questo metallo poroso che si mischia ai sughi sotto la lingua? “Ma scherza” fa Agnelli l’altro; “scusi ma lei lo sa cos’è il Maalox? E’ ossido di alluminio, quindi non solo non fa male ma fa passare il mal di stomaco”. Se lo dice Agnelli. Scendiamo giù nel piccolo museo della pentola in questo agglomerato di capannoni vicino al fiume Serio, ed ecco il ritratto dell’antenato Baldassare, che sembra il vecchio senatore Agnelli, vestito sportivo, negli anni Trenta, e sotto ecco i primi manufatti: uno spremiagrumi fatto per l’Andrea Doria, con lo spicchio di limone che viene stritolato tra due mezzelune di alluminio ottonato, “per non sporcare le mani ai signori”, ecco la famosa foto di Bartali e Coppi che si scambiano la borraccia, di alluminio Agnelli, imbuti di ogni dimensione, ecco la pentola Quadrifoglio, del 1936, per cuocere quattro piatti diversi con lo stesso gas, e poi la “Problem”, una specie di vaporiera ante litteram. Poi tanti stampi per budino, e punzoni con ditte e ragione social e corone e stemmi di famiglie che facevano incidere sui pentolini.

 

Nello stabilimento, invece, adiacente, robottini rossi marca Comau (gli stessi che montano le Fiat) rigirano e limano non Panda o Ritmo ma pentole, si parte da un disco di alluminio che viene pressato e rigirato e poi bagnato in uno sciacquo di soda caustica e poi finisce in un enorme magazzino tipo Ikea dove sono accatastate casseruole di ogni forma. “Fa il lavoro di otto persone, non fa pause, non fa la pipì e non fuma la sigaretta”, dice entusiasta Agnelli, che ha tutta una sua visione politica, come si dirà poi. “La pentola più grande è la Giubileo, l’abbiamo fatta appunto per il Vaticano nel 2000”, dice il fratello Baldassare come l’antenato, che ci raggiunge in fabbrica. “Ha un diametro di 1,6 metri, ce l’hanno chiesta a due mesi dall’apertura della Porta santa, non si erano attrezzati per cucinare per quei grandi numeri, avevano fatto i bruciatori ma non le pentole, noi glie l’abbiamo costruita subito”, poi sparisce. E’ timido, ma è anche quello operativo sulle pentole, è insomma l’Umberto Agnelli di Bergamo, quello che risolve problemi, mentre l’altro è Gianni, il frontman dell’alluminio. Va spesso in televisione, è elegante, si piace moltissimo. Ha delle scarpe inglesi lucidissime. Avevano anche un giornale, gli Agnelli bergamaschi; non la Stampa né il Corriere ma il Giornale di Bergamo; concorrente dell’Eco; ma poi l’hanno chiuso (“ripianando tutte le perdite, eh”, dice l’Agnelli come a sottolineare differenze antropologiche con altri editori).

 

Il business di famiglia, oltre alle pentole, si fa con gli estrusi di alluminio, e subito ci si chiede cosa sarà mai codesto estruso. “Ha presente la maionese nel tubetto che viene fuori a forma di stellina? La stellina è l’estruso; si scalda l’alluminio a 500 gradi e lo si spinge con una pressa da 2-3 mila tonnellate, vien fuori la forma che vuole”. Altri core business sono nell’alluminio anodizzato, e infatti l’ufficio di Agnelli più che stare su una bolla di Renzo Piano sta sopra uno show room di serramenti. Subito corre alla mente il “Deconstructing Harry” di Woody Allen, con la figuretta perseguitata all’inferno: “E lui cosa ha commesso?”, diceva Allen. “Ha inventato i serramenti di alluminio anodizzato”, rispondeva il Diavolo o chi per lui. Si rende conto della responsabilità, dottor Agnelli? Ha infestato periferie e facciate e il nostro immaginario, l’alluminio anodizzato. “Eh, ma dipende dalla finitura, andava molto la finitura bronzata negli anni Settanta/Ottanta. Per imitare il Douglas e il finto legno delle porte”. “Dipende tutto dalla colorazione”, e adesso l’anodizzato vive una seconda giovinezza, pare, con finiture più sobrie. In ufficio Agnelli l’altro ha dei bellissimi finestroni anodizzati con finitura argento, ci lasciamo convincere. (Ma “ci abbiamo fatto una pentola, di alluminio anodizzato, con Gualtiero Marchesi, tanti anni fa”).

 

Di nuovo la pentola. Agnelli adesso vuole farci vedere assolutamente una pentola d’oro. “Nella scala di conducibilità, l’acciaio è agli ultimi posti, è chiaro che l’acciaio è pessimo per fare le pentole. Molto meglio l’alluminio, e nel caso, l’oro”. Così loro ne fanno una d’oro. Sì, ma quanto costa questa pentola d’oro? “Sui duemila euro”. Ma ’sta pentola non si trova. Dove è finita? L’avranno rubata. (“Una l’abbiamo regalata alla Parodi”, ma quale, quella del programma di cucina o la first lady qui di Bergamo? “La prima”). Mentre cerchiamo questa pentola e leggenda aurea, entriamo per sbaglio nel camerino della conduttrice di “Cotto e mangiato”, primario programma esperienziale culinario, e stanno per registrare. Tra fabbrica e museo della pentola, Agnelli si è inventato infatti pure un “cooking lab” cioè un cucinone dove si fanno sia corsi che trasmissioni per i gastrofanatici di oggi.

 

Dunque i fumi di cibi e i vapori di ebollizioni dalla cucina si fondono con l’odore di lacca e cipria, e sembra di stare in un romanzo di Dave Eggers, tra pignatte e belletti una forte sensazione di contemporaneità nell’Italia un tempo potenza industriale e ora minipotenza alimentare (“l’unica cosa seria è rimasta la ristorazione”, copyright Boris). Nel cooking lab c’è anche il manifesto “Nessuno tocchi la mia padella”; con relativo hashtag e ovviamente firmato dai migliori chef del pantheon padellare, che hanno tutti nomi da archistar o cantanti, Manuela Kustermann, Niko (con la k) Romito... “La Padella è simbolo della sapienza in cucina e insieme della cultura e dell’agire del cuoco in armonia con il cibo”. E’ un manifesto contro l’avanzata delle cotture molecolari, dei microonde, dei sottovuoto, dei silicone. La padella contro la cucina gender, praticamente.

 

[**Video_box_2**]Nascosta nel camerino troviamo finalmente anche la pentola d’oro, eccola, “si faccia un selfie, tutti si fanno un selfie nella pentola d’oro”, dice convinto Agnelli. Faccio il selfie (ma è pesantissima). Ma chi li deve pagare duemila euro per la pentola d’oro, Agnelli? “Eh, ma viene meno di un golf Cucinelli. Pochi giorni fa son stato in un negozio e volevo comprare un gilet per mia nuora, di cachemire, costa cinquemila euro. Cinquemila? Ma ve lo potete tenere”. Questo, Agnelli l’avvocato non l’avrebbe mai detto. Ma è un imprenditore illuminato, si prova a dire all’Agnelli delle pentole. “Lo so, ho letto che ha regalato cinque milioni ai dipendenti. Beh, son capaci tutti se fai venticinque milioni di utili. Il difficile è se sei in rosso, i piccoli imprenditori che si indebitano per pagare le tredicesime, quelli sì che sono eroi”. Qui viene fuori l’Agnelli politico. Molto diverso dal suo omonimo. Se quello era presidente della Confindustria, questo ne è uscito, e se ne è fondata una tutta per sé. “Era il 1986, anno in cui l’Avvocato disse che giravano troppi confindustriali e troppo pochi industriali per viale dell’Astronomia: io me ne sono venuto via proprio allora, coincidenza”. Ancora destini incrociati. L’altro Agnelli ha messo su la sua, di Confindustria, si chiama Confimi Industria, raduna 28.000 piccole e medie imprese, per un totale di 410.000 dipendenti e 71 miliardi di fatturato”. Viale dell’Astronomia “non rappresenta gli imprenditori perché rappresenta i suoi maggiori azionisti, cioè lo stato: c’è dentro soprattutto la burocrazia, le Poste. E se si vota per numero di dipendenti è chiaro che le Poste vinceranno sempre”. E’ ossessionato dalla Confindustria. Andiamo a colazione, lui si mette al volante della Porsche Panamera e al ristorante dove tutto è cucinato in pentole Agnelli, mentre bistratta un cameriere terrorizzato dice “ecco, quello lì è un confindustriale”, indicando un altro tavolo. “Guarda che faccia da Confindustria: ha la classica faccia di chi ha le mazze da golf nel bagagliaio”.

 

Ma se l’Avvocato era un poco frou frou e non nascondeva le sue preferenze repubblicane, l’Agnelli delle pentole politicamente è multiforme ma duro come un estruso, un po’ populista, un po’ renziano (il premier “fa le cose, e non è poco, ha abolito le Province e il Senato, chi l’aveva mai fatto”), dà ragione a Landini sul fatto che “serve un piano industriale per l’Italia”, è squassato da sentimenti grillini: “Evasione? io li metterei subito in galera, quelli che evadono, come certi colleghi della Confindustria che preferisco non nominare”. Che fa, scende in campo, Agnelli? “Dipende, non vado certo a fare lo Scilipoti o il Razzi. Una volta fare il deputato era una roba di cui ti potevi vantare, adesso se ti dicono onorevole c’è da vergognarsi”. Sogna però “un ministero delle Pmi, serve in questo paese”. E odia le banche, anche se siede nel consiglio di amministrazione di Ubi: “Le banche sono come ospedali che non ti curano perché hai le analisi sballate. E ti valutano solo in base a fatturato e debito, non se sei una persona perbene, se fai un bel prodotto, se fai delle belle pentole”. Se Gianni era l’Avvocato di panna montata, Paolo è certamente il cumenda di alluminio anodizzato. 

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