Se nella Sanità è il privato che sussidia il pubblico

Massimiliano Trovato
Qualche riflessione controcorrente dal tredicesimo rapporto annuale “Ospedali e Salute”, promosso dall’Associazione italiana ospedalità Privata

Nei giorni scorsi, opinionisti amatoriali e cronisti disattenti hanno celebrato i successi del sistema sanitario italiano, addirittura il terzo al mondo per efficienza secondo le rilevazioni di Bloomberg. Per ragioni imperscrutabili, quel formidabile telefono senza fili che è la socialsfera aveva riesumato una notizia vecchia di un anno. Poco male: anche la versione aggiornata della graduatoria – diffusa alla fine di novembre – pone l’Italia nei pressi della vetta, al sesto posto.

 

Più complicato conciliare i toni trionfalistici con la nostra esperienza di fruitori del sistema sanitario nazionale e con le numerose ricerche che hanno restituito risultati assai meno lusinghieri. Per esempio, il rapporto 2015 di Meridiano Sanità (curato da The European House – Ambrosetti) riscontra un importante divario tra l’offerta sanitaria italiana e quella europea, in particolare rispetto a indicatori come la disponibilità di apparecchiature diagnostiche e l’accesso all’innovazione farmaceutica.


A ben vedere, la valutazione di Bloomberg è il frutto di un’operazione piuttosto grossolana, che prende in considerazione unicamente l’andamento della spesa sanitaria e dell’aspettativa di vita, per misurare – in buona sostanza – quanto viene a costare ogni giorno in più su questa terra. Ma è evidente che la qualità delle cure disponibili è solo uno dei fattori che influenza la longevità di una popolazione e che, similmente, non tutta la spesa sanitaria ha il medesimo impatto sulla bontà dell’offerta di salute.


Quest’osservazione è, per molti versi, la morale del 13° rapporto annuale “Ospedali e Salute”, promosso dall’Associazione italiana ospedalità privata e presentato oggi a Roma. Basti pensare al fatto che in Italia – lo sottolinea Gabriele Pelissero nella sua introduzione all’indagine – il comparto privato è responsabile di circa il 27 per cento delle prestazioni complessive, a fronte di una spesa che ammonta al 14 per cento del totale. E, ciò nonostante, i tagli che hanno interessato il settore negli ultimi anni hanno inciso indifferentemente sugli erogatori pubblici e privati.


La sfida è quella di evitare che la riduzione delle risorse disponibili, necessitata da sin troppo evidenti considerazioni di finanza pubblica, si traduca in un razionamento delle prestazioni, i cui effetti più visibili sono l’esasperazione dei tempi di attesa e la trasformazione della spesa pubblica in spesa privata, con un aggravio dell’impegno complessivo e un deterioramento della situazione dei pazienti: tra il 2009 e il 2014, il valore delle prestazioni a pagamento intra moenia è cresciuto del 17 per cento, l’ammontare dei ticket sulle prestazioni è aumentato del 38 per cento, quello del ticket sui farmaci  addirittura del 74 per cento.

 

[**Video_box_2**]Per aggredire l’inefficienza del sistema sanitario, occorre, allora, che le buone pratiche manageriali degli operatori privati contagino gli ospedali pubblici. Le ricette sono note: una maggior trasparenza dell’amministrazione (che non può prescindere dalla redazione e dalla pubblicazione dei bilanci), un’accresciuta attenzione al processo di gestione economicamente virtuosa delle aziende sanitarie, un incremento degli spazi di competizione tra pubblico e privato. Alcuni misure inserite nella legge di stabilità per il 2016 sembrano andare nella giusta direzione. Ritenere che oggi il sistema sanitario italiano sia tra i più efficienti al mondo è un’illusione ottica; la buona notizia è che esistono delle isole d’eccellenza che forniscono indicazioni preziose per invertire una rotta declinante.