La Sanità, i tagli e il linguaggio della menzogna

Marco Valerio Lo Prete
Il governo replica ai feticisti della Sanità-così-come-è e ai difensori degli "esami inutili". Ma è l’ora di dire che la Salute non c’entra.

Roma. Prima gli “esodati”. Poi i “deportati”. Adesso gli “esami inutili”. Il linguaggio della menzogna a reti praticamente unificate stravolge il senso comune di milioni di italiani e lo aizza contro il buon senso. E’ già successo sulle pensioni, dopo la riforma Fornero che aveva messo fine a una sequela lunga vent’anni di mezze modifiche legislative, sempre e solo in capo ai posteri. E’ andata così sull’Istruzione pubblica, non appena a qualche migliaio di insegnanti neoassunti è stato chiesto di trasferirsi lì dove sono gli studenti, e non viceversa. Da qualche settimana lo stesso schema perverso è all’opera sulla Sanità pubblica. Perché il governo è in cerca di risorse necessarie a coprire poste di bilancio nella legge di Stabilità, come capita a tutti i governi del pianeta, e così ha pensato di intaccare sacche di inefficienza presenti nei nostri ospedali pubblici, senza peraltro chissà quali radicalismi visto che la Stampa ieri scriveva di obiettivi ridotti per tutta la spending review e di ritorno ai tagli lineari. E invece apriti cielo: “Il diritto alla salute degli italiani non si tocca!”, dicono in tutte le salse gli oppositori. Ieri il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha articolato una risposta dignitosa. “E’ una follia – ha detto – che 60 milioni di persone si sono convinte che non potranno accedere ad alcuni esami”. Ha ricordato che ci saranno solo controlli ex post per usi “abnormi e reiterati” di prescrizioni ed esami medici superflui, che questi controlli saranno limitati per di più a una lista di 208 esami sugli oltre 1.700 garantiti dal sistema pubblico, ha osservato che la stima (non contestata) degli sprechi annui arriva a 13 miliardi di euro su oltre 110 miliardi di spese complessive, e ha sottolineato infine che il risparmio messo in conto dal governo è di soli 180 milioni di euro. Tesi ragionevoli, che però – dall’Aula di un’audizione in Senato – potranno poco contro la “follia” cavalcata da amministratori locali di ogni colore, direttori di Asl di ogni latitudine, blog di Grillo e compagnia cantante.

 

“Non si gioca con la salute”, ha detto pure en passant il ministro Lorenzin, nel tentativo di ribaltare la retorica di chi si oppone a una pur minima razionalizzazione. Troppo poco, troppo tardi. Il punto, che andrebbe ripetuto fino alla nausea, argomentato autorevolmente come fa da anni (anche su queste colonne) il professore Marcello Crivellini, ribadito con il sostegno che già c’è di personalità medico-mediatiche come Silvio Garattini e Umberto Veronesi, e discusso al centro dell’arena pubblica – altro che audizioni parlamentari – è il seguente: qui nessuno gioca con la salute, ma in molti giocano strumentalmente con la Sanità. La nostra salute, secondo le più diffuse stime internazionali, dipende infatti per il 20-30 per cento dal patrimonio genetico di ciascuno di noi, per il 20 per cento dall’ecosistema in cui viviamo, per il 40-50 per cento dallo stile di vita e dalla condizione socioeconomica, e soltanto per il 10-15 per cento dai servizi sanitari. Gli “esami inutili”, in quanto prescritti e condotti nei nostri ospedali, ricadono propriamente alla voce “Sanità” (e poi, essendo “inutili”, hanno per definizione nulla a che fare con la “salute”). Caduta la maschera linguistica, sarebbe utile prendere di petto la sostanza politica della campagna in corso.

 

L’esempio inglese e un’intuizione di Marx

 

[**Video_box_2**]“Sanità”, fuori di retorica e a prescindere dal giudizio che ciascuno può dare sul funzionamento della stessa, è l’insieme di ospedali, amministratori locali in tandem con i loro nominati direttori delle Asl, sindacati che nelle strutture operano, e ancora medici e Ordini degli stessi, poi farmaci e cliniche convenzionate. I difensori della Sanità-così-come-è mettono al centro la “struttura”, riducendo a “sovrastruttura” il paziente. Questa forma di autodifesa di un pezzo della Pubblica amministrazione è comprensibile, ma allo stesso tempo una “follia” per chi desidera vedere il “paziente” al centro dei servizi sanitari. Tra questi ultimi figura per esempio Simon Stevens, direttore dell’Nhs, la Sanità pubblica inglese, che ha fatto sapere di voler dislocare i medici specialisti più meritevoli negli ospedali sguarniti delle periferie del Regno Unito. “Per portare cure del miglior livello fino alla soglia di casa del paziente”, ha detto Stevens ricollocando implicitamente la Sanità al suo posto, cioè al servizio della salute. Finché non si replicherà a tono ai feticisti italiani della Sanità, si avallerà la naturale tendenza dei “burocrati” a far prevalere “lo spirito ‘formale’ dello Stato, in conflitto con gli scopi ‘reali’ dello stesso”. Parola di Karl Marx.

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