Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

Liberalizzo ergo sum, il bazooka italiano

Renzo Rosati

Quello che manca a Renzi per fare Renzi (e non somigliare a un Letta bis): liberalizzare, privatizzare, sfidare la protesta piagnona e corporativa. Imbracciare le armi

Roma. Per la ripresa italiana a Matteo Renzi non bastano più San Mario Draghi, il calo del petrolio, il dollaro forte. Tre cifre mostrano il concetto meglio delle parole: ieri mentre il presidente della Bce annunciava i nuovi stimoli monetari, stavolta sotto le attese, lo spread italiano balzava del 44 per cento, quello spagnolo si riduceva, la Borsa di Milano fino ad allora positiva andava in rosso. Andamenti poi ridimensionati (ma per i Btp la discesa dei tassi, che nel 2015 ha fatto risparmiare al Tesoro cinque miliardi, appare alla fine); resta il fatto che il premier dovrà fare ancora più da solo. E dunque sfoderare un proprio bazooka, dopo il Jobs Act e l’abolizione del bicameralismo. Ma esiste un bazooka di Renzi? E dove dovrebbe sparare per tornare ai tempi migliori e non imitare il cacciavite lettiano? Ieri il Foglio ha invitato il premier a concentrarsi sulla crescita interna e sui suoi fattori, a cominciare dagli investimenti. Ha citato l’emendamento anti Booking e anti Expedia approvato alla Camera nel ddl Concorrenza. E proprio la concorrenza – la legge è ora all’esame del Senato – può essere il primo terreno, se si guarda al dato appena fornito dall’Istat, oscurato da quel decimale di pil in meno: e cioè la flessione dello 0,4 per cento degli investimenti lordi. Tra questi continua a latitare la quota per ricerca e hi-tech, che pone l’Italia al 20esimo posto nella Ue. Per non parlare di brevetti e start-up: indice italiano del 71,6 rispetto al 112,6 per cento dell’Europa. Ma come si attraggono gli investimenti? Il caso Madrid sarà sì politicamente molto dibattuto, resta il fatto che per gli investimenti la Spagna è diventata negli anni più drammatici della crisi dell’eurodebito molto più attrattiva dell’Italia: sono aumentati del 40 per cento.

 

La Spagna guidata dal conservatore Mariano Rajoy non solo ha riformato più a fondo il mercato del lavoro rispetto all’Italia – compreso quello pubblico, mentre da noi il governo si affretta a precisare che gli statali manterranno le loro ampie tutele – ma ha liberalizzato i settori chiave dell’economia, attraendo investimenti in particolare delle principali case mondiali dell’industria automobilistica.

 

L’ultima classifica europea sulle liberalizzazioni redatta annualmente dall’Istituto Bruno Leoni di Torino esamina dieci settori: carburanti, gas, lavoro, elettricità, poste, telecomunicazioni, televisione, trasporto aereo, trasporto ferroviario e assicurazioni. Ebbene, se la Gran Bretagna si conferma al primo posto la Spagna affianca la Svezia al secondo. L’Italia sale ma rimane a metà classifica, davanti alla Grecia, con Francia e Danimarca. Eppure ancora siamo bloccati su Uber e sui medicinali nei supermercati. E su questo fronte c’è un settore sul quale Renzi dovrebbe buttare un occhio: i servizi pubblici locali, a cominciare dal pozzo senza fine dei rifiuti. Finora le aziende comunali sono state trattate, senza costrutto, in chiave di revisione della spesa e di riforma della Pubblica amministrazione. Basta però mettere in fila ciò che accade a Roma, Napoli, Livorno, Parma, Palermo per vedere come si difendano monopoli pubblici che costano carissimi ai cittadini e allo stato, non funzionano (eufemismo), producono clientele e guai politici.

 

[**Video_box_2**]Con i rifiuti di Napoli e Roma in Germania e Olanda si fa business, questo è stranoto. Con la propria spazzatura privatizzata New York ampliò la punta di Manhattan edificandoci il nuovo Financial district. A Londra è stata fatta la stessa operazione per il rifacimento della South Bank. Ad Amburgo, per dire, per il raddoppio del porto. E anche nel nord d’Italia, da Brescia a Dobbiaco, ci sono efficienti impianti di teleriscaldamento a biomasse e scarti organici realizzati e gestiti da aziende private, o miste (come la A2A), o consorzi tra comuni e capitali vari. Ma ogni ipotesi di privatizzazione dell’Ama, dell’Asìa di Napoli, dell’Aamps di Livorno, è stata sempre bloccata dal solito “allarme democratico”: quello di Napoli contro la francese Veolia fu lanciato da padre Zanotelli, per esempio. Liberalizzare, privatizzare, sfidare la protesta piagnona e corporativa: ecco un bazooka che Renzi potrebbe imbracciare, più che occuparsi di esodati, bonus e tamponi vari. Ora anche per gli obbligazionisti di Banca Etruria, il che è come passare in un anno e più dalla rottamazione alle toppe.

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