Giorgio Squinzi con Aurelio Regina (foto LaPresse)

Manifesto per la nuova Confindustria

Claudio Cerasa
La “discontinuità” col passato. Il rapporto con Marchionne. La produttività. “Basta essere anti sistema e irrilevanti, ora sfidiamo la Cgil”. Il dopo Squinzi spiegato da Aurelio Regina, che si candida alla guida di Confindustria.

Roma. “Credo sia arrivato il momento di dare una decisiva accelerata al cambiamento di Confindustria”. Aurelio Regina lo dice così, senza giri di parole, e anche se la partita sul rinnovo dei vertici di Confindustria non è cominciata in modo ufficiale le parole che il presidente del Sigaro Toscano offre al Foglio arrivano in un momento delicato per la vita dell’associazione degli industriali – che il prossimo maggio sceglierà il successore di Giorgio Squinzi. Regina, ex presidente di Unindustria, vicepresidente di Squinzi fino al maggio 2014 con delega allo Sviluppo economico, si è ripreso bene, da qualche giorno, da un problema cardiaco e conversando con il nostro giornale spiega per la prima volta in modo ufficiale quali dovranno essere, a suo avviso, gli ingredienti necessari e principali per preparare, nel 2016, la corsa al dopo Squinzi. “La parola chiave per il futuro di Confindustria – dice Regina – non può essere soltanto un generico richiamo alla discontinuità ma deve essere la presa d’atto che una fase è finita e che la nostra associazione deve fare i conti con un periodo storico in cui non si può continuare a ignorare che la stagione della grande concertazione, con tutte le sue meccaniche, i suoi tic, i suoi paradossi, semplicemente non esiste più. Da qui dobbiamo ricominciare”. Il ragionamento di Regina, e la sua idea di “discontinuità” per la prossima Confindustria, parte da una doppia constatazione legata alla situazione attuale del tessuto economico del nostro paese e al modo in cui sono cambiati, “anche grazie a Renzi”, i rapporti tra il governo e i corpi intermedi.

 

“Dobbiamo riconoscere che siamo entrati in una fase storica in cui esistono indicatori positivi sul futuro. Il presidente del Consiglio ha avuto il merito di scommettere su alcune riforme importanti, in primis quella del lavoro, e ha avuto anche il merito di innescare una rivoluzione culturale nel nostro paese. Grazie a questa rivoluzione a fianco alla parola ‘diritti’ oggi troviamo anche la parola ‘doveri’ e a fianco alla parola ‘egualitario’ oggi troviamo anche la parola ‘merito’. Non sono cose da sottovalutare, e io non lo faccio, ma dobbiamo anche tenere gli occhi bene aperti per capire che una ripresa debole è sempre una ripresa debole e che toccherà andare ancora più veloci nei prossimi mesi per recuperare i dieci punti di pil persi negli ultimi sette anni. E in questo contesto è importante far capire al governo quale deve essere il ruolo di un’associazione come Confindustria. La critica fine a se stessa non basta più. E per avere un peso nel futuro è importante che Confindustria funga da pungolo per il governo su un punto in particolare: evitare che le grandi droghe del nostro paese ci facciano dimenticare quali sono le urgenze dell’Italia. Le droghe oggi sono due, entrambe benvenute, e sono legate all’export e al Qe di Mario Draghi. Sono queste le due molle che permetteranno nei prossimi mesi all’Italia di crescere, ma non possiamo accontentarci di farci guidare da fattori esterni: dobbiamo cominciare a entrare con più forza in quella che è la carne viva del nostro paese. Quando dico che export, innovazione ed effetto Draghi non bastano a far ripartire il paese mi riferisco però a una questione semplice. L’esito strutturale più evidente della crisi è stata una netta spinta del sistema economico su un sentiero che mi piace definire di ‘mercantilizzazione povera’, con consumi pubblici e privati depressi, investimenti e importazioni modesti ed esportazioni che svolgono un ruolo trainante non tanto per l’aumento del loro volume quanto per la compressione degli altri fattori. E se dovessi dunque scegliere una parola chiave per descrivere quello che dovrà essere Confindustria nel futuro non farei fatica a dire che quella parola è la produttività”.

 

“Confindustria è più debole rispetto a 4 anni fa”
Regina sostiene che – in un contesto politico in cui, grazie al combinato disposto tra riforma elettorale e riforma costituzionale, i governi, a partire dalla prossima legislatura, saranno destinati a essere più forti – è compito delle associazioni di categoria non limitarsi a distruggere e a criticare in modo non costruttivo. E per costruire qualcosa, dice Regina, bisogna partire da un fattore preciso: come produrre di più e come far guadagnare di più alle persone che producono di più. “Anche a costo di strappare con la Cgil, dobbiamo puntare senza indugi sulla contrattazione aziendale, potenziandola rispetto a quella nazionale. Da lì bisogna ripartire. Bisogna però riconoscere – continua Regina – che il mondo su cui ha fatto perno per decenni Confindustria è un mondo che non esiste più e dobbiamo prendere atto del fatto che viviamo in un’epoca in cui i corpi intermedi hanno la necessità assoluta di  superare le organizzazioni tradizionali e ricercare un rapporto diretto con la base, siano questi elettori, consumatori e imprenditori. La Confindustria dovrà essere più partecipata, la base dovrà essere più ascoltata e il presidente e la sua squadra dovranno sempre essere in ascolto con le esigenze e le richieste degli associati. Suvvia, siamo sinceri con noi stessi: per riuscire a raggiungere questo obiettivo occorre una discontinuità forte con il passato e per la stessa Confindustria non è più accettabile essere percepita, come è oggi, come se fosse solo e unicamente una forza anti sistema”. E’ per questo, dice Regina, che oggi l’associazione degli industriali vive un paradosso mica male. “L’indebolimento purtroppo oggettivo della nostra immagine e dell’azione dell’associazione ci porta a vedere realizzati molti punti della nostra agenda ma allo stesso tempo ci porta a essere sulle barricate, per così dire, e a muoverci in un clima di scetticismo generale in cui con fatica si riesce ad avviare un confronto sereno con le istituzioni. Non penso ci siano responsabilità del presidente Squinzi, ma se Confindustria è più debole rispetto a quattro anni fa, e se è percepita nel paese spesso come l’associazione che chiede solo favori per gli imprenditori, sussidi e meno tasse, e non come l’associazione prioritaria con cui confrontarsi per dare una spinta al paese, bisogna prenderne atto e capire come siamo arrivati a questo punto. Confindustria deve diventare il grande incubatore di progetti del paese e prima lo capiremo, prima riusciremo a risolvere i grandi problemi e i grandi squilibri. Per far questo occorre una Confindustria più democratica e comunque coesa; non possiamo continuare con l’idea di un uomo solo al comando, non possiamo continuare a esaltare le divisioni interne, invece che i punti comuni”.

 

Regina, presentando quella che non può che essere una candidatura per il dopo Squinzi, aggiunge un altro passaggio da tenere in considerazione per capire quale potrebbe essere la Confindustria del futuro. “Ho in testa un modello di Confindustria che riesca a interpretare quello spirito positivo e costruttivo che s’intravede nell’Italia delle start-up, che costituiscono ancora una fetta non particolarmente dominante del paese ma che incarnano lo spirito giusto per immaginare il futuro dell’Italia: innovazione, spirito di impresa, rischio, obiettivi di lungo periodo, progetti che puntano a far emergere eccellenze, digitalizzazione dei processi produttivi, big data, conoscenza, richiesta urgente di un sistema fiscale e di una semplificazione burocratica che permettano di spezzare le catene che tengono intrappolato il paese, necessità di mettere in piedi una politica industriale che sappia tenere insieme l’idea che uno stato che funziona è uno stato che interviene per migliorare le condizioni delle imprese, non per mettere ogni giorno paletti e ostacoli di tutti i tipi”. Con un particolare in più. “Il mondo delle piccole imprese, in questi anni di crisi, ha costituito sotto molti versi il vero ammortizzatore sociale della crisi. Ma il ruolo di Confindustria, nel futuro, deve diventare un ruolo di leadership anche per guidare il paese verso un’altra rivoluzione culturale: far capire che non necessariamente essere piccoli significa essere belli e far capire che per riuscire a essere competitivi non solo in Italia ma anche nel resto del mondo è necessario superare alcuni tabù ed è importante rendersi conto che mai come in questo periodo storico non è necessariamente il piccolo che fa la forza del paese ma spesso, anche se non bisogna generalizzare, è l’unione tra piccole, e tra piccole e grandi, che rende il nostro paese più competitivo”.

 

[**Video_box_2**]Il ragionamento di Regina sull’unione tra i piccoli riguarda molti terreni ma ne tocca uno in particolare, segnalato con enfasi qualche tempo fa sul Foglio dal direttore generale di Confindustria Marcella Panucci. “E’ innegabile – dice Regina – che una buona riforma della Pubblica amministrazione non può essere completata senza che venga imposto un principio chiave. Spesso la corruzione prolifera in quei contesti in cui vi sono grandi carrozzoni alimentati dal pubblico che non riescono a garantire un regime di efficienza e che per questo spesso contribuiscono a generare dei processi di illegalità. Per combattere l’illegalità bisogna combattere l’inefficienza e per combattere l’inefficienza, penso ad esempio al mondo delle municipalizzate, occorre affrontare alcuni tabù: aprire ai privati laddove il pubblico mostra la sua incapacità; e mettere in campo delle fusioni per combattere frammentazioni eccessive che contribuiscono ad alimentare un sistema di sprechi inaccettabile. E se c’è un settore sul quale bisogna con urgenza accorpare e risparmiare quel settore in Italia è l’universo dei trasporti pubblici locali. Vale 140 miliardi. E la sfida della Confindustria del futuro è una sfida che non può che partire anche da qui”.

 

La sfida relativa al rinnovo dei vertici di Confindustria da quest’anno segue un iter diverso rispetto alle scorse elezioni. La differenza sostanziale è che, a differenza del passato, quando erano i saggi a scegliere quali sarebbero stati i candidati per la presidenza, oggi chi vuole essere presidente si dovrà ufficialmente candidare in prima persona. L’idea di Regina, ancora non esplicita ma comunque implicita nel ragionamento del presidente del Sigaro Toscano, è quella di creare un fronte trasversale che sappia mettere insieme molte delle anime oggi in conflitto all’interno di Confindustria. La partita è appena cominciata, e capire quale sarà il destino dell’associazione degli industriali sarà sufficiente aspettare pochi mesi. E già a dicembre, quando le squadre saranno in campo, sarà possibile capire chi avrà più cartucce a disposizione per preparare il dopo Squinzi.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.