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Fiducia ben riposta

Marco Cecchini
Il balzo della fiducia di consumatori e imprese comunicato lunedì dall’Istat (gli indici sono saliti rispettivamente ai livelli record di 112,7 e 106,2 a settembre) fa giustizia della commedia degli equivoci e delle ipocrisie sullo stato dell’economia cui abbiamo assistito nelle ultime settimane.

Roma. Il balzo della fiducia di consumatori e imprese comunicato lunedì dall’Istat (gli indici sono saliti rispettivamente ai livelli record di 112,7 e 106,2 a settembre) fa giustizia della commedia degli equivoci e delle ipocrisie sullo stato dell’economia cui abbiamo assistito nelle ultime settimane. Analisti e commentatori che un mese fa, dopo l’annuncio che la ricchezza nazionale era cresciuta nel secondo trimestre solo dello 0,2 per cento (dato poi rivisto a più 0,3), disegnavano cupi scenari di stagnazione, oggi non dovrebbero avere più dubbi. Ciò dovrebbe indurre a maggiore cautela nel formulare valutazioni liquidatorie che sono un ghiotto boccone per media tendenzialmente catastrofisti ma restano basate su dati stimati per loro natura ballerini. La correzione di rotta e di toni più clamorosa è quella dello stesso Istat.

 

L’Istituto di statistica avrà certamente ragioni tecniche da vendere (l’armonizzazione europea dei criteri di valutazione, la volatilità dei mercati) ma il suo cambio di passo fa riflettere. Ai primi di luglio l’istituto parlava sulla base delle informazioni provenienti dai settori di “una ripresa più contenuta del previsto”, di una “decelerazione evidenziata dagli indicatori qualitativi”, di “luci e ombre” per il mercato del lavoro. Tutte considerazioni sfociate nel primo “deludente” dato del secondo trimestre. Ma poi si è dovuto prendere atto di tendenze ben diverse. E oggi, anche se molti criticano la nota di aggiornamento al Def del governo (soprattutto per gli aspetti fiscali), pochi mettono in discussione la revisione al rialzo, dallo 0,7 allo 0,9 per cento, delle previsioni governative di  crescita per l’anno in corso. Sempre sul fronte tecnico la Banca d’Italia aveva invece sottolineato il costante miglioramento di Ita-Coin, il complesso indicatore qualitativo elaborato dai tecnici di Via Nazionale. La variabilità nell’approccio ai dati di sviluppo economico è chiaramente collegata al loro crescente tasso di politicizzazione. Perché è chiaro che se la ripresa si consolida, il premier Renzi potrà vantare con maggiore legittimità di quella esibita finora di avere rimesso in piedi l’Italia con tutte le conseguenze che ne deriverebbero. Logico, quindi, ma bizzarro, che si rimproveri adesso a Renzi quella ricerca di flessibilità contabile europea che prima gli si chiedeva di ottenere a costo di “battere i pugni sul tavolo” davanti alla Merkel. Si possono così vedere i sindacati (per esempio Maurizio Landini) che difendono il rigore dei conti, perché “non si possono ridurre le tasse senza indicare le coperture”, quando è chiaro che la flessibilità per definizione porta a un aumento del deficit, anche se non necessariamente del rapporto debito pil (dipendendo esso anche dall’evoluzione del denominatore). Qui la commedia degli equivoci è padrona a destra come a sinistra. La verità è che, come dice la Confindustria di Squinzi, quest’anno l’Italia potrebbe crescere dell’1 per cento, forse più.

 

[**Video_box_2**]Come dice al Foglio Innocenzo Cipolletta, già direttore generale di Confindustria, “quando si fuoriesce da una recessione c’è sempre una tendenza a sottostimare l’evoluzione dell’economia: un aumento dell’1 per cento è possibile anche se non è scontato”, anche se fino a un mese fa si temeva piuttosto di non raggiungere lo 0,7 del Def non aggiornato. Ovviamente tutto dipende dall’andamento del terzo e del quarto trimestre.  C’è un generale consenso sul fatto che il terzo, alla luce dei dati sulla produzione industriale di luglio, dell’andamento dei consumi e del buon andamento del turismo, possa registrare una crescita congiunturale dello 0,4 per cento, meno sicura è l’evoluzione del quarto. Lunedì l’Istat ha stimato prudentemente un intervallo tra più 0,2 e più 0,4 per cento. Secondo Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo, una crescita all’1 per cento “è possibile”. La banca riconosce che la ripresa, prima sostenuta da fattori esterni come la svalutazione e il calo del petrolio, è diventata – qui la novità – endogena con il suo estendersi a settori come i servizi e l’aumento dei consumi interni “grazie al migliorato clima di fiducia che ha indotto i cittadini a spendere gli 80 euro” della scorsa manovra. Le sorti della ripresa rimangono legate anche a ciò che si potrà fare sul fronte del debito privato e delle sofferenze bancarie che frenano il credito. L’Italia è ancora immersa nel lungo ciclo finanziario europeo e mondiale dominato dalle problematiche del debito e solo agendo su questo fronte l’economia potrà davvero ripartire.

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