Il senatore Mario Monti (foto LaPresse)

Politici a casa loro

Marco Valerio Lo Prete
E’ durato un anno il Mario Monti presidente del Consiglio tecnocratico, e non poco ha lasciato in eredità, con errori certo, ma anche con benemerite riforme radicali (per gli standard italiani) su pensioni e lavoro.

E’ durato un anno il Mario Monti presidente del Consiglio tecnocratico, e non poco ha lasciato in eredità, con errori certo, ma anche con benemerite riforme radicali (per gli standard italiani) su pensioni e lavoro. E’ durato pochissimo il Mario Monti ago della bilancia elettorale e parlamentare con il suo movimento Scelta civica, ed è probabilmente un bene. Rimane tuttora in attività il Mario Monti politologo così come questo giornale si incaponì a tratteggiarlo dalla fine del 2011 in poi, snidando i suoi contributi teorici e i gesti di governo che andavano nella direzione di una democrazia quanto più depoliticizzata possibile, con innesti appunto di tecnocrazia.

 

Il Monti politologo è tornato, anche se lui si schermisce (“ovviamente non lo sono”), con una conversazione che esce oggi in versione integrale sulla rivista Strade, a cura di Giordano Masini e Carmelo Palma. La risposta contrarian per eccellenza è quella dedicata a quanti dicono che “in Europa è arrivato il momento di meno tecnocrazia e di più politica”. A sostenerlo sono “gli eurofagi”, come li chiama Monti, più pericolosi degli europopulisti. Perché nell’Europa attuale c’è “molta politica, ma questa politica è un accozzaglia di politiche nazionali”, mentre “le politiche nazionali dovrebbero rimanere a casa loro”. Politici a casa vostra, altrimenti le istituzioni comunitarie saranno contagiate dalla “crisi che oggi attanaglia tutte le democrazie nazionali”, crisi caratterizzata da “orientamento sul breve periodo” delle decisioni politiche, “sottovalutazione dell’effetto ‘di governo’ delle scelte, sopravvalutazione del loro impatto mediatico, semplificazione del dibattito e delle proposte anche a fronte di problemi complessi”.

 

[**Video_box_2**]Sono tesi che Monti argomentò già in un pamphlet scritto a quattro mani con Sylvie Goulard nel 2012, “La democrazia in Europa”, ma le cui intuizioni di fondo furono intercettate da un analista eclettico come l’americano Nathan Gardels, che dalla iper democratica California colse per primo il fenomeno-Monti. La “democrazia per il popolo” funziona meglio della “democrazia da parte del popolo”, di questo si è tornato a ragionare da mesi in alati seminari intercontinentali tra l’Università di Stanford e quella di Singapore. Perché lo “short-termism populistico” è avversario innanzitutto delle “politiche d’integrazione internazionale”, non solo a Bruxelles e dintorni. “Ci si può addirittura chiedere – dice sempre Monti nella sua conversazione con la rivista Strade – se la democrazia come noi la conosciamo e l’integrazione internazionale siano ancora compatibili, e questo porrebbe un problema gigantesco”. Quasi scontato che, dopo l’appeasement iniziale, Monti sia severo oggi nel giudizio su Matteo Renzi, colpevole di descrivere in maniera “caricaturale” i rapporti con Bruxelles “maestrina”, come uno di quei leader nazionali che continuano “a diseducare i propri cittadini”, “fomentando false certezze su presunte ‘colpe dell’Europa’”. Al punto che l’ex tecnocrate preferirebbe un’alleanza ideale con Alexis Tsipras, quello post referendum sulla Troika ovvio, “perché secondo me il popolo greco oggi è leader”, e ad Atene “l’Ue e l’euro sono tuttora popolarissimi”, a differenza di quanto accade in Italia e Francia. Solo gusto del paradosso in uno sconfitto di rango? No, Tsipras ha rivinto le elezioni su una piattaforma di “politiche pesantissime”, costretto a questo proprio dall’europeismo del popolo greco, dice Monti, che però non s’illude: “In generale, non è saggio aspettarsi che l’opinione pubblica e gli elettori rieduchino i politici da cui vengono diseducati”. L’intervento delle élite è ortopedico, oppure le élite non servono a nulla. Dibattito non nuovissimo forse, originale certo per il fatto di essere intavolato sempre più apertamente anche al centro dell’Europa, ma che per sfociare in scelte democraticamente legittimate avrà pur sempre bisogno dell’intervento di coloro che Monti aborre, gli “iper-semplificatori”.