Matteo Renzi con Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

Sulle tasse, stiamo ai fondamentali

Redazione
Ok le semplificazioni, ma attenzione alla pressione fiscale sulle imprese. Renzi fin dal suo insediamento a Palazzo Chigi teorizza e implementa tagli di imposte, a volte utilizzando definizioni improprie, a volte rinviando nel tempo, altre volte centrando l’obiettivo ma in maniera limitata nel tempo.

Diceva Winston Churchill che “una nazione che si tassa nella speranza di diventare prospera è come un uomo con i piedi nel secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico”. Sono i fondamentali della politica fiscale, quelli che sembrano avere perso di vista molti leader e iscritti laburisti inglesi, e infatti alle elezioni dello scorso maggio si è visto; perché l’entusiasmo gauchista per Jeremy Corbyn riempirà pure le pagine dei giornali, ma alle urne i conservatori di David Cameron, tagliatori di tasse per eccellenza, hanno fatto il pieno di voti e hanno conquistato la maggioranza a Westminster.

 

Non si può negare che il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, conosca questi fondamentali. Tutt’altro, perché sulle tasse, che un tempo a sinistra erano “una cosa bellissima”, oggi la musica è decisamente cambiata. Renzi fin dal suo insediamento a Palazzo Chigi teorizza e implementa tagli di imposte, a volte utilizzando definizioni improprie (perché gli 80 euro per i redditi più bassi sono un sussidio che conta come nuova spesa pubblica), a volte rinviando nel tempo (il taglio dell’Irap sulla componente lavoro sarà percepito dalle imprese solo nel 2016), altre volte centrando l’obiettivo ma in maniera limitata nel tempo (gli sgravi fiscali sui contratti a tempo indeterminato saranno comprensibilmente ridotti dal prossimo anno). Però, ecco, per stare ai fondamentali e insistere sulla retta via – quella secondo cui soltanto i cittadini che s’ingegnano in attività imprenditoriali possono davvero creare lavoro – sarà bene non perdere di vista alcuni dati pubblicati ieri sul Sole 24 Ore.

 

[**Video_box_2**]Il quotidiano confindustriale ha fatto bene a sottolineare che tra pochi giorni si chiuderà il percorso di attuazione della legge delega per il riordino del sistema fiscale; tra i decreti attuativi ci sono migliorie significative tese a riequilibrare il rapporto tra cittadino-contribuente e stato-esattore, nonostante per strada si sia perso un pezzo importante come l’adeguamento del catasto per gli immobili. Lo stesso Sole 24 Ore, però, esaminando 234 mila bilanci depositati da altrettante società italiane per il triennio 2012-2014, ne deduce che “il fisco non ha mai mollato la presa, con un tax rate medio che si attesta al 32,8 per cento dei profitti”, con l’incidenza media del prelievo che è scesa dell’1,1 per cento dal 2012, cioè un errore statistico o poco più. Con aumenti tra l’altro nel settore energetico (36,9 per cento dei profitti) e nelle attività manifatturiere (35,5 per cento). Questo il peso complessivo di Ires e Irap, tenendo fuori altri oneri come Imu, contributi e balzelli minori. Semplificare il fisco è benemerito, ridurne il fardello resta prioritario.

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