Cartolina sul Meridione per Saviano, Emiliano, Guidi, Renzi da un (costruttivo) gufaccio tarantino

Pasquale Vadalà
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un lettore tarantino rivolta alla classe dirigente meridionale e nazionale (e chi ha buona volontà) con qualche spunto per rimboccarsi le maniche, piangere senza piangersi addosso, e imparare a gufare… ma costruttivamente.

Taranto. Non sono fan di Roberto Saviano, per motivi che sarebbe fuori luogo trattar qui. Ma se a seguito di una sua “lettera aperta” il ministro Guidi si dichiara subito pronto a scucire 80 miliardi fuori programma, io, che sarò forse un decimo di Saviano, potrò ben augurarmi di portarne a casa sette/otto, per questa provincia sfortunata. Perciò è meglio arrivi subito al punto, cioè alla buonanima del Meridione.

 

La descrizione che Saviano fa del sud è veritiera. C’è però altro da dire, più frontalmente. La fine della Guerra fredda, come per la Germania est e la Germania ovest, ha segnato la conclusione di un’epoca. E non abbiamo voluto accorgercene. Noi italiani, che mai fummo divisi, ci troviamo oggi ad esserlo più di quanto, forse, la Ddr e la Repubblica federale tedesca lo fossero allora. E certamente assai più di quanto lo siano adesso.

 

[**Video_box_2**]Ma questo non è un peana del nord Italia, in crisi demografica dai primi ’70 e oggi ripopolato confusamente da meridionali e stranieri. Perché il nord non è quello dei dolci ricordi universitari di vent'anni fa. E nemmeno di quelli, più professionali, dell’inizio del nuovo millennio. E’ una terra che ha sofferto enormemente la crisi sistemica del paese. Simbolo ne siano Milano e le sconcezze viste per la preparazione di Expo. Una terra che ciò nonostante riesce a darsi forme di convivenza accettabile, realizzando quantomeno l’interesse delle singole città, grazie alla gloriosa tradizione comunale. Forse finanche quello della regione. Di certo non quello nazionale. Tali le basi storiche per cui l’impresa privata, col sistema bancario che la sostiene, andarono al nord (prossimo all’Europa) sia nella “sistemazione” post unitaria che post bellica. Al meschino sud, conquistato, toccò prima il latifondo e dopo la ciclopica impresa di Stato, affiancati dalla pletora burocratica e da un densissimo assistenzialismo clientelare. In mezzo si stagliava Roma, la gran mignotta delle invettive di Lutero, abile a dividere per imperare. I risultati di questo secolare meccanismo, che mai abbiamo saputo interrompere, sono sotto gli occhi di tutti. Ha ragione Saviano e torto il ministro Guidi, riguardo alla malavita.

 

Un contrappasso storico si svolge sotto i nostri occhi: il saggio naturale lo conoscono anche i mafiosi. Qui resta la microcriminalità ribollente e la “tradizione” dei clan… ma gli investimenti e gli interessi criminali finiscono per confluire dove potevano render maggiormente, condizionando pesantemente ambienti molto distanti, culturalmente e geograficamente: Reggio Emilia, di nuovo Milano, Brescia, Savona, giusto per citarne alcuni.


I simboli per eccellenza di questo malinteso “interesse nazionale”, cinicamente caricato sulle spalle del Sud - dall’Arsenale regio alla base navale, dall’Eni all’Ilva, sviluppatisi all’interno di dinamiche sabaude, fasciste ed infine repubblicane (non per questo migliori delle pregresse) –  si trovano tutti a Taranto. Non a caso ridottasi a un ammasso di palazzi malconci, con poche eccezioni. Di strade dissestate, di piazze degradate. Percorse da auto senza assicurazione, da terzetti su moto singola, come pure da bimbi di sei sette anni che la mattina vendono abusivamente la frutta col papà, preparandosi a un futuro di stenti. Gli stessi bimbi spesso li ritrovi, maggiori di qualche anno, a consumar (pessima) droga, là dove capita.

 

Avendo abbandonato la scuola presto, oppure languendovi da eterni ripetenti che, non conoscendo il profilattico, rendono madri le loro coetanee, quasi ogni volta che vi si accostano. E da qui relativi carrozzini e pannolini, scaricati sulla carità comunale. Per la città, affianco a disoccupati endemici senza alcuna professionalità ma con l’eterna birra in mano, si aggirano fantasmi di stipendiati da enti inefficienti o ditte assistite. Appena più fortunati dei precedenti, perché qualcuno nelle loro famiglie ebbe l’assennatezza di scambiare pacchetti di voti con le assunzioni che, politico dopo politico, clientela dopo clientela, hanno gonfiato a dismisura i ruoli pubblici. Sino alla poco invidiabile scelta attuale fra fornire servizi accettabili oppure pagare gli stipendi a tanto personale in eccesso. Abbondano anche i pensionati, giovani e vecchi, più o meno poveri. Spesso soli e se non sono soli spogliati dei redditi in favore dei loro disoccupati discendenti.

 

L’élite è rappresentata invece da professionisti e qualche sparuto imprenditore, ambedue per modo di dire. Perché anch’essi, “liberi” o “privati” sol di nome, agognano costantemente pubbliche consulenze o commesse. Nell’attesa, si trascinano in corporazioni e infrastrutture malandate ed obsolete. Comunicanti, invece che il prestigio, l’arrabattarsi di uno Stato endemicamente incapace di assolvere alle più importanti funzioni. Cominciando dalla giustizia: chi rivuole i suoi crediti prima di tirare le cuoia, meglio si rivolga alla “riscossione confidenziale”: non atti che finiscan prescritti, ma rapide braccia, nerborute e determinate. Essendo diventata regola, infatti, il non pagar mai.

 

Al di là delle braccia, però, poco altro. Avessero titoli o meno, come ricorda Saviano i veri cervelli se ne son andati tutti, salvo pochissime eccezioni: certo non li incontri più né al Rotary né nelle associazioni…e la politica locale ne è tangibile testimonianza. Nessuna visione, nessuna capacità (ove pur vi fosse volontà) di invertire la rotta: ogni posizione apicale e decisionale è consegnata da tempo ai mediocri, ai più avvezzi al compromesso, ai più adusi alla clientela ed all’intrallazzo… non stupiamoci se così spesso si fallisce coi famosi “progetti e finanziamenti europei”. Nessuno, che io sappia, è stato assunto nel comune di Taranto - o in Regione - per via di un’esperienza qualificante a Bruxelles… e chi volete possieda "know how" sufficiente?

 

Dal canto suo il popolo, pur consapevole della situazione e del degrado dei medesimi che paradossalmente vota, non riesce ad aver scatti d’orgoglio, slanci ideali o finanche pragmatiche speranze, che non siano clientelari: solo occasionalmente qua e là sbuca un Masaniello a spezzare quel fatalismo aragonese, borbonico, papalino, ma giusto per subire la sterile sorte d’ogni Masaniello. I non molti giovani di buona volontà e formazione rimasti, increduli per tanta sventura, si rifugiano nelle residue sicurezze familiari, oppure tentano sortite destinate a renderli mostruosamente cinici, o fragili. Più spesso tutti e due. Eccovi la traduzione plastica dei numeri Svimez, da Trapani a Roma. Dal PD al PDL. Dai presidenti di corte d’appello ai cancellieri dei tribunali, dal geometra del comune all’usciere della Provincia, che potremmo scoprire esser pure loro frammassoni. Nonché autentiche “potenze burocratiche” sin dai tempi de “Le mani sulla città” e di “Un borghese piccolo piccolo”. Anzi, sin dall’ottocento del pugliese Giovanni Bovio, talmente gufo dall’aver previsto tutto cent’anni prima.

 

Questo non è un piagnisteo fine a se stesso, caro premier Matteo Renzi: Lei avrebbe dovuto ringraziare Saviano dell’esserlesi rivolto, una patente di credibilità che l’ultimo suo predecessore votato alle urne, l’innominabile, non ha mai ricevuto. E invece finisce che lo tratti quale ennesimo gufo “piagnone” …grande errore. Inizi a farsi perdonare oggi, qui nella ridotta ionica foderata di novecentesche polveri e acciai (che nel 2015 nessuno vuole comprar più): ringrazi pubblicamente quei non tanti ancora scomodi, ancora con qualche speranza e dignità, ancora con gli occhi buoni per vedere, le dita veloci per scrivere, il polso fermo per difendere il proprio business dal riciclaggio. Tutti indistintamente ai margini di un sistema che divora gli stessi che lo alimentano.

 

[**Video_box_2**]Ci ringrazi per non esser, sapendo l’inglese, tutti in terra d’Albione. Che sarà perfida con gli immigrati… ma i suoi cittadini li tratta bene dai tempi della Magna Charta… quando lo meritano, of course. Signor primo ministro, vuole far davvero qualcosa per il sud o lasciare che si alimenti il giro d’affari della criminalità, appoggiata ai consueti catafalchi politici, di cui tutta la politica si serve a turno? Grazie alla prossima infornata di opere pubbliche magari via Cassa depositi e prestiti – se non ben gestite e monitorate al millimetro – la criminalità organizzata potrebbe avere risorse sufficienti per "acquistare" in blocco addirittura un borgo di stazza paragonabile alla Sua Rignano, mentre i coetanei conterranei non possono nemmeno aprire bottega: se col 70 per cento di pressione fiscale complessiva c’è da sostenere il voto clientelare del consigliere regionale siciliano, marchigiano o veneto, chi vuole possa più far impresa onestamente? Certo, l’autoctono governatore Emiliano ha una visione del sud inevitabilmente più precisa, quindi di maggiore efficacia potenziale. Ma sarà poi conscio d’essere l’ultima spiaggia, quella delle residue risorse umane ed economiche? Chissà.

 

L’unica certezza è che quando gli ultimi “gufi” se ne saranno andati via dal meridione, l’ecosistema del Sud (e della nazione) avrà ricevuto il colpo di grazia. Il primo l’aveva descritto Tomasi di Lampedusa: dai gattopardi alle iene. Il prossimo, definitivo, sarà magari Roberto Saviano a raccontarlo: dagli alteri rapaci, in volo anche nelle notti più oscure, ai vili piccioni, capaci solo di estorcer briciole finché ve ne sono, per cacarle subito sulle teste dei benefattori. Me lo vedo già sulla tolda del piroscafo, con l’estremità del gomitolo in una mano e la penna nell’altra.

 

* le opinioni espresse in questo articolo non necessariamente rispecchiano quelle del Foglio