L'Ue accusa Gazprom. Così a Mosca vengono viste le intemperanze di Bruxelles

Leonardo Bellodi

La decisione della Commissione Europea di “rinviare a giudizio” Gazprom, il produttore, trasportatore e venditore di gas russo,  per violazione di regole antitrust è senza dubbio una mossa destinata a gettare benzina sul fuoco delle relazioni politiche ed energetiche tra Russia ed Europa.

La decisione della Commissione Europea di “rinviare a giudizio” Gazprom, il produttore, trasportatore e venditore di gas russo,  per violazione di regole antitrust è senza dubbio una mossa destinata a gettare benzina sul fuoco delle relazioni politiche ed energetiche tra Russia ed Europa. Una relazione entrata in crisi, ben prima della vicenda Crimea, quando Bruxelles ha chiarito che avrebbe applicato le regole del terzo pacchetto energia sulla separazione proprietaria alle società russe che operano in Europa. In altre parole, Gazprom non poteva essere allo stesso tempo il produttore  di gas  e colei che lo trasportava: da qui la messa in discussione del progetto Southstream che associava Gazprom  e compagnie energetiche europee per la costruzione e la gestione di un mega gasdotto che faceva arrivare il gas della Siberia all’Europa bypassando l’Ucraina. Una tesi questa fortemente contestata da Mosca che vedeva il tema da un angolo differente, da risolvere a livello di accordo internazionale tra stati.

 

Il cuore della questione non è tanto di natura giuridica, ma è invece la contrapposizione tra due modelli economici e culturali diametralmente opposti. Quando la Commissione europea impedisce a Gazprom, correttamente dal punto di vista giuridico, di operare in Europa come impresa verticalmente integrata che produce, trasporta e vende, va contro alla essenza stessa della filosofia politica ed economica del Cremlino. Alla fine degli anni 90 Vladimir Putin, attuale presidente ma allora al servizio del Kgb, scrisse la sua tesi di dottorato, mai resa pubblica per vent’anni. Nella dissertazione, Putin sottolineava come le risorse naturali russe, petrolio, gas, uranio e altri minerali vari, fossero non solo la base dello sviluppo economico del paese ma anche e soprattutto la garanzia del ruolo che la Russia poteva giocare a livello internazionale. Le risorse naturali di cui la Russia dispone erano considerate la spada e lo scudo della politica estera di Mosca. Nella sezione finale del suo scritto, Putin afferma che era compito del governo riprendere il controllo delle società energetiche russe, trasformarle in imprese integrate verticalmente e fissarne le priorità. Esattamente il contrario di quanto la Commissione europea oggi sta cercando di imporre. Dopo le elezioni del marzo 2004, Putin pone in essere quanto aveva scritto: cerca in tutti i modi di togliere il controllo delle risorse energetiche agli oligarchi che avevano beneficiato della politica, un po’ dissennata, di privatizzazione di Yeltsin, riorganizza il settore del petrolio e gas  facendo ben capire, con provvedimenti giuridici e altri mezzi, che avrebbe di nuovo aperto alla cooperazione con società private solo nel momento in cui lo stato avrebbe avuto di nuovo ben in mano il controllo del settore.

 

[**Video_box_2**]Dieci anni più tardi, nel marzo del 2014, nel mezzo della disputa commerciale per il pagamento da parte dell’Ucraina delle forniture di gas russo,  Putin scrive ai capi di governo dei principali utilizzatori di gas russo, Germania, Francia, Italia, Austria, Ungheria, Grecia, tutti paesi dell’est Europa e Turchia, per spiegare le ragioni che imponevano a Gazprom di sospendere le forniture all’Ucraina e le conseguenze per l’Europa. Nella lunga lettera, Putin cita più volte gli articoli del contratto di Gazprom, una cosa piuttosto strana nella corrispondenza tra capi di stato e di governo. Ma il messaggio era chiaro e contenuto nella tesi di dottorato dell’agente Putin: Gazprom è la longa manus del governo e la sua politica commerciale altro non è che parte integrante della politica estera ed economica del Cremlino.

 

Lo scontro tra Russia ed Europa nel settore energetico va dunque ben al di là delle questioni giuridiche: è un tema che tocca il concetto stesso di sovranità. Sovranità dell’Europa che non può certo rinunciare ad applicare le proprie norme nel proprio territorio e sovranità della Russia che vede le proprie risorse naturali come continuazione della politica estera. E come se questo non bastasse, appare chiaro che al di là del proclama dell’Europa che potrà fare a meno del gas russo e della minaccia russa che venderà tutte le proprie risorse alla Cina, Europa e Russia per lungo tempo ancora saranno interdipendenti. Una soluzione politica dunque si impone nell’interesse di tutti, Ucraina compresa il cui bilancio statale è in parte coperto dai diritti che percepisce per il transito nel proprio territorio del gas siberiano verso l’ Europa.