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Non solo fisco, ecco perché fare il pieno in Italia costa ancora molto

Elena Veronelli

Il prezzo del petrolio è solo una variabile del prezzo della benzina. Poi ci sono le tasse, altissime. E poi la scarsa liberalizzazione del servizio.

La montagna ha partorito il topolino. Si potrebbero descrivere così i recenti tentativi di liberalizzare la rete carburanti e ridurre finalmente i prezzi della benzina. Da inizio anno il governo ha infatti dato luce a due provvedimenti ad hoc, che però sono piccoli compromessi e pertanto non risolvono i problemi a monte. Il primo è il ddl sulla Concorrenza, che cancella l’obbligo di inserire il "terzo prodotto", come Gpl o metano, per l'apertura di nuovi distributori. Il secondo è l’"atto di indirizzo" per la ristrutturazione e la modernizzazione delle aree autostradali. Bene, si potrebbe dire. Tuttavia i problemi storici, su cui tutti i governi passati si sono arrovellati, rimangono.

 

Sul settore, così come sui prezzi alla pompa, pesa una serie di fardelli. Motivo per cui si parla tanto di “stacco Italia”, il prezzo più alto che gli italiani pagano per benzina e gasolio rispetto al resto d’Europa. Non c’è solo il fisco, che incide per oltre il 60 per cento sulla formazione dei listini (leggi "Leopoldo I e l'incredibile ascesa delle accise", di Marco Valerio Lo Prete), ma anche una struttura dell’intera rete vecchia e superata. Gli impianti sono troppi, spesso con un basso livello di carburante erogato e obsoleti, se non addirittura incompatibili con l’ambiente. Impianti che per sopravvivere devono rifarsi con prezzi più alti, altrimenti non riuscirebbero a stare sul mercato. Di contro, ci sono poche "pompe bianche", ossia gli operatori indipendenti che grazie al fatto che non hanno contratti per comprare in esclusiva il prodotto (come i gestori delle compagnie colorate) riescono a barattare prezzi migliori. Non è poi sufficientemente sviluppato il non-oil, che potrebbe dare una boccata di ossigeno ai benzinai, garantendogli nuove fonti di ricavo e maggior margine per ridurre i prezzi della benzina (oltre che essere comodo per il consumatore).

 

Di qui il persistente richiamo a una riforma organica della rete, partendo da un taglio dei punti vendita (5-6.000) e dalla loro modernizzazione. Insomma, l’idea è "pochi ma buoni", più efficienti ed evoluti. Solo così il gestore ha margini adeguati per fare concorrenza sul prezzo e abbassare i listini. Sono anni che se ne parla, senza che poi seguano i fatti. Dagli innumerevoli tavoli tra compagnie e sindacati dei benzinai al ministero dello Sviluppo economico, sono sempre usciti solo piccoli ritocchi, a volte anche opposti al taglio necessario dei punti vendita. Come quello appunto nel ddl Concorrenza, che mette fine all’obbligo di inserire il "terzo prodotto". Dunque ancora più impianti. "Siccome il settore è notoriamente il più polverizzato d’Europa, con quasi 25.000 impianti, il Governo inopinatamente si preoccupa a che non vi siano ostacoli a nuove aperture", ha commentato la Faib, una delle tre sigle sindacali dei benzinai.

 

[**Video_box_2**]In autostrada la situazione è ancora più disastrata. Il crollo delle vendite è stato di gran lunga più consistente per cui c’è un maggior numero di distributori con basso erogato la cui sopravvivenza non ha senso; poi ci sono le royalty (le somme versate dalle compagnie petroliere alle concessionarie autostradali) che in Italia sono alle stelle e che incidono sui listini di carburanti e cibo. Royalty su cui anche l’Antitrust ha puntato nei mesi scorsi il dito per il loro "valore estremamente elevato". Così il ministero dei Trasporti e quello dello Sviluppo economico hanno predisposto un "atto di indirizzo", con l’obiettivo di riformare il settore. Atto che tuttavia non sembra risolvere neanche lontanamente i problemi. Primo perché non tocca il tema royalty poi perché, a detta degli operatori, non sarebbe sufficiente a ridurre significativamente il numero degli impianti. Tant’è che Autogrill è arrivata a minacciare di lasciare l’Italia, lamentandosi che "c'è una carenza nell'atto di indirizzo che non affronta il tema del costo delle royalties che è diventato sproporzionato", ha spiegato l'a.d. Gianmario Tondato Da Ruos. Secondo i sindacati dei benzinai (Anisa, Faib, Fegica), inoltre, a causa della prevista maggior automazione delle pompe di benzina, la qualità del servizio peggiorerà. Le tre associazioni, che già i primi di marzo hanno indetto uno sciopero, chiedono ora al Governo di essere convocate, pena una nuova tornata di chiusure.

 

Tuttavia, più di un osservatore sostiene che la legge del mercato sta già facendo il suo mestiere e che non servono interventi legislativi calati dall’alto. In effetti, guardando i dati di bilancio delle compagnie petrolifere, sembrerebbe proprio così. Eni nei primi tre mesi del 2014 ha visto la quota di mercato scendere al 26,2% da oltre il 30%. TotalErg lo scorso anno l’ha ridotta al 10,6% dall'11,3% dell’anno prima a causa delle "aggressive politiche di sconto lanciate dai principali operatori e dalle piccole compagnie indipendenti cosiddette ‘pompe bianche’".

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