Foto di Susan Walsh, via LaPresse 

DI COSA PARLARE STASERA A CENA

Joe Biden resiste: i nuovi volti delle elezioni di midterm

Giuseppe De Filippi

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Joe Biden, con l’aiuto di Barack Obama e con una buona spinta dai vari candidati, tiene la posizione vincente di due anni fa. Nulla è semplice, certo, nella grande democrazia americana pressata dal trumpismo, dall’antipolitica, da pulsioni violente e da forme di contestazione contrarie allo stato di diritto. A pagare, in questa complicazione, è la capacità di tenere la linea senza strafare e senza scendere sul piano dei mestatori antidemocratici. Biden, campione della politica tradizionale, queste cose le sa fare, la sua fermezza sui grandi temi mondiali, a partire dai rapporti con Russia e Cina, e la sua duttilità nella gestione delle questioni nazionali, dimostrata in campi di grande rilievo, come la sanità e la politica fiscale, hanno pagato anche nella ricerca del consenso. Mentre la mobilitazione massiccia degli elettori fa pensare agli effetti degli appelli per la democrazia, molto forti nell’America che ha sperimentato, con profondo disagio, le intimidazioni del 6 gennaio.

 

Il campo repubblicano vede per la prima volta una nuova generazione di rappresentanti al congresso, di senatori e di governatori, alcuni dei quali direttamente legati alla politica trumpiana. Non è un bene per un partito che in questo modo si spaccherà senza possibilità di recuperare capacità di azione comune, ad esempio sulla contestazione radicale della validità delle elezioni, tema fondamentalmente antidemocratico per cui non esistono mediazioni né rimedi. Sulla cui tossicità politica ha ragione il principale commentatore della NbcSeth Abramson la mette così. La storia di John Fetterman, vittorioso per il senato in Pennsylvania anche dopo un ictus. Il suo seggio, prima appannaggio dei repubblicani, diventa quello che dà un’altissima probabilità di tenuta per i democratici e che consente di proseguire la politica della presidenza Biden con incisività e senza dover cercare compromessi. A Matteo Salvini, chissà perché, piace il repubblicano estremista ma non trumpiano Ron DeSantis. Ah, forse c’è qualcosa che non funziona nella raccolta di risposte ai sondaggi esclusivamente attraverso i telefoni cellulari.

 

Le tre "cose" principali

Fatto #1

Alessio D’Amato twitta bollettini epidemiologici della regione di cui guida la sanità, il Lazio. Ma oggi è il suo giorno perché incassa il sostegno del Pd per la candidatura alla presidenza della regione (domani si dimette Nicola Zingaretti e si voterà nella prima metà di febbraio). Non era semplice dopo l’indicazione a suo favore dei pierini liberal-centristi, Carlo Calenda e Matteo Renzi. La scelta finisce per sembrare subìta da parte del Pd, ma, a bene vedere, è anche un piccolo regalo politico per un partito in difficoltà e totalmente impantanato quando si vanno a toccare temi come la scelta delle alleanze e delle candidature. Giuliano Ferrara ne parla accostando a quella di D’Amato la candidatura lombarda di Letizia Moratti, contro la quale, invece, il Pd ha sollevato questioni e distinguo tremendamente impolitici. Ma qualche crepa nel “no” a Moratti comincia a vedersi

Fatto #2

Morire di freddo davanti alla costa italiana

Fatto #3

Il terremoto (senza gravi danni) nell’Adriatico al largo di Ancona, ecco come si propagano le onde sismiche

 

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