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L'opera e gli anni
Scandaloso Verdi: “Stiffelio” con la regia di un venerato 95enne, Pier Luigi Pizzi
Lo spettacolo è una summa dell’ultimo Pizzi che firma regia, scene e costumi all’insegna della solita inossidabile eleganza ma sempre più essenziale, tutto un togliere invece di aggiungere. Insomma, il minimal chic contro le riletture radical chic
Veneratissimi maestri. Come Pier Luigi Pizzi, 95 anni portati in modo da fare invidia a cinquantaseienni scassati e anche un po’ rimbambiti tipo il sottoscritto, alle prese con il Verdi scandaloso dello Stiffelio, storia di un pastore protestante cornificato dalla moglie che sale sul pulpito, apre la Bibbia, legge che chi è senza peccato eccetera e perdona (fra parentesi: tutti a dibattere in saecula saeculorum il rapporto di Verdi con la religione, era ateo, agnostico, credente? Sicuramente anticlericale, certo, ma soprattutto arci italiano, quindi inevitabilmente permeato di cultura cattolica). Era consapevole, il Verdi, che un soggetto del genere era inaccettabile per il censore, e già il libretto della prima, a Trieste nel 1850, è il festival della pecetta, versi su versi di Francesco Maria Piave coperti da altri meno compromettenti e più emollienti. Ma il soggetto gli piaceva troppo per rinunciarci, anche sapendo benissimo che l’opera non avrebbe “girato”. Per questo, ne riciclò la musica, sette anni dopo a Rimini, per Aroldo (seconda parentesi: l’Aroldo non si dà mai “perché tanto è lo Stiffelio rifatto”. Vero, ma il quarto atto è tutto nuovo e del Verdi maggiore, sicché, teatri, sveglia!).
Questa nuova produzione della cordata emiliana Piacenza-Modena-Reggio, teatri serii gestiti da gente seria, ha debuttato ieri sera al Municipale di Piacenza. Io ho visto la prova generale. Lo spettacolo è una summa dell’ultimo Pizzi che firma regia, scene e costumi all’insegna della solita inossidabile eleganza ma sempre più essenziale, tutto un togliere invece di aggiungere. Insomma, il minimal chic contro le riletture radical chic. Anche chi professa altri credi estetici non può non restare ammirato. Gli assasveriani, l’inesistente confessione protestante cui appartengono Stiffelio e i suoi, sono tutti in nero vittoriano e deambulano in ambienti pure scurissimi, mentre dietro di loro il solito ledwall rimanda invece sfondi neoclassici e bianchissimi, cimiteri come Staglieno o interni di chiese che sembrano la Madeleine (e qui scatta subito la madeleine – con la minuscola – del lessico familiare: “Sembra una sala da ballo”. L’Opéra Garnier era invece “la torta nuziale”, sic). Insomma, un bianco e nero con ogni possibile sfumatura di grigio che più raffinato non si può, mentre la recitazione resta abbastanza standard ma per fortuna non enfaticamente melodrammatica. Il sommo Pigi progetta già un Nabucco per il prossimo Festival Verdi.
La musica, in breve. Direzione solida e puntuale di Leonardo Sini. Molto brava Lidia Fridman, fisico da mannequin e voce da sopranone, sempre un po’ gracchiante negli estremi acuti ma con bellissimi piani; roccioso ed espressivo Vladimir Stoyanov; ottimi per una volta i comprimari, specie Adriano Gramigni. Del protagonista, Gregory Kunde, sono tutti ammirati perché “a 71 anni canta ancora così” (dal secondo atto in avanti, per la verità, quando la voce si è scaldata). Però si potrebbe pure scritturare un normale quarantenne, senza che l’anagrafe sia per forza una virtù. Pizzi a parte, ovvio.