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Montale: una sorta di ebreo errante sulle tracce della terra di Canaan. Un libro

Riccardo Bravi

Negli scritti del poeta ligure raccolti da Alberto Fraccacreta prevale una linea interpretativa comune che raggrupperebbe aspetti riconducibili a una vera e propria “grammatica spirituale ebraica”. L'opera del premio Nobel nella ricerca di una inesauribile relazione con l’altro

L’idea di approfondire un campo letterariamente poco connotato come quello dell’ebraismo è stata affrontata coraggiosamente da pochi critici. C’è da dire infatti che l’approccio di interpretazione e di esegesi dei testi di autori di origine ebraica è sostanzialmente diverso da quello degli altri: se gli ultimi sono generalmente costituiti da personaggi che non hanno problemi a far trasparire la loro identità, nel caso ebraico il camuffamento e altre strategie di negazione di se stessi prevalgono rendendo il lavoro del critico estremamente complicato nonché ostico. E se il romanzo si presta già difficilmente a questa disamina, in poesia il grado di decifrazione sale ancora di più, soprattutto quando si tratta di penetrare l’opera di uno dei nostri più grandi autori, Eugenio Montale, premio Nobel per la Letteratura nel 1975.

Nonostante queste difficoltà, si deve rendere merito ad Alberto Fraccacreta – docente di Teoria e critica della letteratura all’Università di Urbino – per il suo ultimo lavoro, "Eugenio Montale. Il tu e la cultura ebraica", Quodlibet Studio, 140 pp. 140, 18 euro, incentrato proprio sul rapporto tra Montale e l’“ebraicità”, a cui il poeta ligure sembrava essere molto attaccato, come viene dimostrato all’interno di questa breve raccolta di saggi. Infatti – secondo il critico – è riscontrabile in certa poesia montaliana un vivo interesse verso la cultura ebraica rappresentato dall’impiego di figure femminili (su tutte Irma Brandeis, ma anche Linuccia Saba, Drusilla Tanzi, Rita Uzielli) e di tematiche escatologico-messianiche che accosterebbero Montale a una sorta di “ebreo errante sulle tracce della terra di Canaan”, da sempre figura par excellence dell’identità e dell’appartenenza a radici giudaico-cristiane. Con argomentazioni puntuali, Fraccacreta delucida il lettore sulle numerose affinità che ricollocano questo grande autore nel solco dell’ebraismo mondiale, utilizzando strumenti critici che spaziano dalla psicoanalisi agli studi sulla decostruzione operati in Francia da Jacques Derrida, terminando con una ricostruzione minuziosa dei viaggi in medio oriente (Siria, Libano, Palestina) affrontati dal poeta durante la sua esperienza di inviato del “Corriere della Sera”. In questi sette scritti raccolti prevale dunque una linea interpretativa comune che, secondo Fraccacreta, raggrupperebbe aspetti riconducibili a una vera e propria “grammatica spirituale ebraica”, facente perno, nello specifico, attorno ai seguenti elementi-chiave: “Le carenze dell’io e l’errore/errare, il nervaliano bisogno di un riempimento esistenziale e di una salvezza, l’inesausta ricerca dell’Altro, il desiderio del tu”. Prendendo in prestito tematiche giudaiche, l’opera di Montale costruisce allora la sua grandezza nella ricerca di una inesauribile relazione con l’Altro, un ipotetico “tu” (Buber) che talvolta viene considerato alla stregua di una minaccia da evitare, ma che salverebbe l’uomo dal suo antiumanesimo più chiuso e radicale.

 

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