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Vincenzo Trione e gli artisti che hanno "rifatto il mondo"

Marina Valensise

Nel suo libro Rifare il mondo, lo storico e critico d'arte italiano apre le porte del suo archivio e si sofferma sui molti e dissonanti paesaggi dell'arte contemporanea per carpirne l'identità, le poetiche, le profezie e indagarne le aporie, le oscillazioni e le contaminazioni

Ecco un libro da regalare a quei presuntuosi che davanti a un taglio di Fontana o a sacco di Kounellis commentano compiaciuti “lo sapevo fare anch’io”. Vincenzo Trione, uno dei più brillanti critici e curatori italiani, apre le porte del suo archivio per ritornare sui territori dell’avanguardia, che è per lui ossessione, materia di studio, esperienza privilegiata per conoscere l’anima e l’antropologia contemporanee. Dopo aver letto "Rifare il mondo" (Einaudi, 2025) non avremo più alibi per colorare l’ignoranza di saccenteria. E infatti, Trione si sofferma sui molti e dissonanti paesaggi dell’arte contemporanea per carpirne l’identità, le poetiche, le profezie e indagarne le aporie, le oscillazioni le contaminazioni. Ritorna sui propri passi, ripensa la sua formazione, e combinando allegramente l’esegesi e l’autobiografia tinge l’una e l’altra di ironia. Così questo bel saggio, che deve la sua forza propulsiva al compianto Ernesto Franco ed è insieme un percorso iniziatico, una scorribanda su opere celeberrime e una raccolta di citazioni, offre un inventario ragionato dell’avanguardia.

Non solo nel senso dei movimenti nati all’inizio del XX secolo, futurismo, dada, surrealismo, all’insegna dell’urto, della violenza, dello scandalo per affermare il cambiamento. Ma soprattutto rispetto a un concetto cruciale per l’arte contemporanea che, nutrendosi di utopia e antagonismo, rifiutando il passato per rincorrere il nuovo, il dissonante, l’inaudito continua a dominare il nostro presente ormai privo di trascendenza, sgravato di ogni gerarchia al punto da confondere la grandezza delle opere dello spirito coi prodotti dell’intrattenimento. E infatti il gesto di ribellione oggi imperversa in sfilate, concerti rock, graffiti, videoclip, videogame e nei tatuaggi con cui marchiamo la nostra carne viva. Destino paradossale dell’avanguardia che voleva rifare il mondo: compiuta l’opera di frantumazione e decostruzione tipica dei pionieri, la cultura di massa tende ad assimilare il tutto e impone ovunque gli stessi valori e gli stessi comportamenti, col risultato che il conformismo assorbe la ribellione, sino a depotenziarla.

La cosa bella di questo libro scapigliato, aperto alla divagazione perpetua di un esploratore bulimico, è che spazia liberamente dai calligrammi di Apollinaire ai graffiti di Bansky, dagli esperimenti di Jean Cocteau ai film di David Cronenberg, dalla pittura metafisica di de Chirico alla sfilata cyborg di Alessandro Michele ex direttore creativo di Gucci, e dalla malinconia di Paul Valéry alle contorsioni di Francesco Vezzoli. Ma lo fa senza complessi, senza mai perdere di vista l’impianto teorico che fonda l’avanguardia e si alimenta di pensatori illustri, da Baudelaire a Walter Benjamin, da Hannah Arendt a Jorge Luis Borges, Wystan H. Auden a Milan Kundera esegeta del kitsch. “Non c’è mai stata un’epoca che non si sia sentita, nel senso eccentrico del termine, ‘moderna’ e non abbia creduto di essere immediatamente davanti a un abisso” scriveva Benjamin nel Passagenwerk. “La lucida e disperata coscienza di essere nel mezzo di una crisi è qualcosa di cronico nell’umanità. Ogni epoca percepisce sé stessa irrimediabilmente moderna. Il ‘moderno’ tuttavia è diverso nel senso in cui sono diverse le varie figure di uno stesso caleidoscopio”. E caleidoscopica è l’abilità di Trione di divagare su tante forme singolari e contrastanti, contigue e distanti, ma convergenti come quelle dell’avanguardia, lavorando sulle intenzioni e i rimandi, le assonanze e le sfide. Voleva immaginare i contorni di quella che per lui è solo una storia possibile? Ha finito per scrivere una storia tragica e più che reale.

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