Il dibattito
Egemonie e deserti culturali. Risposta alla lamentatio di Marcello Veneziani
Lo scrittore denuncia il "silenzio tombale di politica e cultura”, in una democrazia ormai fondata "sulla negazione del dissenso”. Sottovalutando però quanto il nostro sistema politico tragga linfa vitale dalla pluralità di idee, ben distante dall'immagine di un occidente annichilito di fronte al mercato e alla tecnica
Trovo solo due motivi di disaccordo: non c’è dunque da temere che il “civile confronto delle idee”, per causa mia, degeneri immediatamente. Marcello Veneziani è tornato sull’accorato appello di Cacciari della settimana scorsa per lamentare il deserto culturale e intellettuale in cui quell’appello è caduto e ha scritto grosso modo questo: che tutti cianciano di egemonia culturale ma poi non spingono il naso molto oltre la story Sangiuliano-Boccia; che nessuno vuole davvero esporsi e pensare seriamente gli ardui problemi del presente; che nessuno prova a sparigliare, a smuovere le acque, a riflettere fuori dagli steccati ideologici. Fin qui tutto bene: tanto non costa nulla. Il “silenzio tombale di politica e cultura”, che agghiaccia Veneziani, comprova che non solo Sangiuliano, ma la politica tutta è lontana dalla cultura, e ancora peggio la cultura è lontana dalle idee, e noi, infine, noi tutti siamo lontani da Gentile, Croce e Gramsci (e vorrei pure vedere: son passati cent’anni, ottanta, settanta, possibile che non ci sia stato altro, da allora, e che non abbiamo altri benchmark a disposizione? (La parola “benchmark” è usata a bella posta, per suscitare un lieve moto di aristocratico fastidio).
Così stando le cose, tutto ammesso e tutto concesso, proviamo a rilanciare il civile confronto muovendo proprio dai motivi di disaccordo. Il primo lo trovo nel seguente passaggio: “L’ideologia inclusiva si regge notoriamente sull’esclusione, come la democrazia si fonda sulla negazione del dissenso”. Questa cosa notoria che dice Veneziani a me non risulta tanto. Si possono fare giochetti del tipo: la democrazia è intollerante con gli intolleranti. Oppure: la democrazia, che pure pretende di includere tutti, esclude almeno quelli che rifiutano l’inclusione. Non ho difficoltà a pensare che, al di là delle formulette logiche, ci sia un problema reale. Resta però il fatto che la democrazia include parecchio, e soprattutto non è vero che si fonda sulla negazione del dissenso. Al contrario: è il regime politico più ospitale nei confronti del dissenso (prove in contrario non ne vedo, in giro) e anzi di dissenso si nutre, se e quando è in salute. Vedi, per questo, alla voce pluralismo: la democrazia si fonda proprio sulla fiducia (fiducia procedurale, regolativa, che indica cioè un processo e non uno stato di cose) di trarre linfa vitale dall’inclusione dell’altro, piuttosto che dalla sua esclusione, e dalla pluralità delle opinioni, piuttosto che dall’omogeneità e dal conformismo culturale.
Il secondo passaggio che non mi convince, nella lamentatio di Veneziani, è il seguente: “Al loro posto [al posto, cioè, dei giganti, di Gentile, Croce e Gramsci] c’è il nulla, o quella pappa occidentale coi suddetti ingredienti tecno-mercantili-ideologici”. Ora, l’occidente ha sempre pensato che la “pappa” semmai, fosse una roba orientaleggiante (nel senso dell’orientalismo, cioè dell’immagine che a occidente ci si fa dell’oriente). Veneziani può ritenere che l’occidente sia in realtà diventato esso una pappetta, ma questo è occidentalismo, ossia l’errore simmetrico e contrario. Più precisamente, è la notoria (questa sì) posizione tipica della destra culturale, ed è una posizione preoccupante. E’ vero che nessuno descriverebbe in termini di pappa o pappetta il mondo arabo e musulmano, o la Russia di Vladimir Putin, e nemmeno più la Cina, che di orientale (nel senso “orientalista” che dicevo, della mollezza svirilizzata) non mostra nulla, ma in nessuno di questi posti l’accoppiamento di politica e cultura sembra dare buoni frutti (e in ogni caso, mi si consenta l’umana debolezza, io non ci vivrei). Più in generale, il facile dispregio nei confronti di tecnica e mercato non ha mai assicurato un futuro di prosperità, e nemmeno le migliori prove sul piano generale della cultura. Veneziani osserva sconsolato il “repertorio bollito” che ancora ci viene propinato da destra e da sinistra. Vero. Ma sembra non accorgersi che è stracotto anche lo schema contrappositivo al quale ricorre – su un versante il pieno di anima e profondità della vera Kultur, sull’altro il vuoto superficialissimo della Zivilisation tecno-mercantile occidentale –. Di qui la domanda: a chi vuole rifilare questa sbobba?
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