La bandiera palestinese alla Biennale e l'appropriazione politica di un'opera d'arte
Mentre il padiglione israeliano resta chiuso in segno di protesta, una bandiera palestinese si fa largo sull'opera dell’artista franco-africana Josèfa Ntjam alle Belle Arti. E il direttore dell’Accademia la lascia sventolare. L'impatto dell'ideologia sull'estetica artistica
Sessantesima edizione. Tra luci e ombre, la Biennale di Venezia è, da sempre, uno specchio sulla società contemporanea e i suoi innumerevoli paradossi. Tra questi, nonostante i numerosi conflitti in corso, quest’anno spiccano le prese di posizioni nei confronti di quello tra Israele e Hamas.
Il polverone si era alzato prima ancora dell’inaugurazione, quando migliaia di artisti avevano chiesto la chiusura del padiglione israeliano. Nonostante la Biennale avesse ufficialmente dichiarato il diritto dell’artista Ruth Patir di esporre il proprio lavoro nel padiglione predisposto – così come per tutti gli altri padiglioni – il giorno precedente l’inaugurazione l’artista israeliana ha deciso di non aprire le porte del padiglione, perfettamente allestito, fino al giorno della liberazione di tutti gli ostaggi a Gaza e, conseguentemente, di un cessate il fuoco permanente. Questa scelta – assai discussa – è stata fatta sia per chiarire la visione dell’artista sul conflitto; sia per la paura, legittima, di possibili ripercussioni da parte dei potenziali boicottatori.
Eppure, a poche centinaia di metri dal padiglione di Israele, si trova quello della Germania, dove quest’anno sono stati invitati a esporre il tedesco Ersan Mondtag e l’israeliana Yael Bartana, che vive a Berlino da anni. Apparentemente, in tutti questi mesi, nessuno si è mai preso la briga di verificare la nazionalità degli artisti, tanto che il padiglione tedesco è rimasto sempre aperto e, per ora, intonso. Fortunatamente, perché si tratta anche di uno dei padiglioni più interessanti, che lascia presagire i pericoli che la Germania (e l’Europa) si portano con sé dalla Prima guerra mondiale, mentre la Terza è alle porte. A oggi nessun slogan pro palestinese e nessuna bandiera sono stati esposta sui muri di questo padiglione, salvaguardando il senso di un’iniziativa, quella della Biennale, nata per dar voce ad artisti di tutto il mondo sul tema trattato di volta in volta – quest’anno “Stranieri ovunque”, scelto dal curatore brasiliano Adriano Pedrosa.
Tuttavia, tra i padiglioni esterni ai Giardini e all’Arsenale, spicca quello ospitato dall’Accademia di Belle Arti dove, sopra la splendida opera dell’artista franco-africana Josèfa Ntjam, è stata issata una bandiera palestinese. Non si tratta di una scelta dell’artista, poiché l’opera era stata inaugurata – come tutte – ad aprile, mentre gli studenti dell’Accademia hanno issato la bandiera a maggio. E, da allora, non è mai stata tolta. Stando al direttore dell’ateneo, le autorità accademiche hanno ritenuto opportuno lasciarla esposta, poiché “nella condizione di un’istituzione si cercano punti di mediazione”. Per quanto questa mediazione abbia, di fatto, intaccato l’estetica dell’opera, non rispettando né la visione originale dell’artista né di coloro che visitano la Biennale per vivere un’esperienza di tipo estetico, e non ideologico.
L’arte, da sempre, è il risultato del contesto (anche) politico dei tempi in cui viene prodotta. Ma quando l’ideologia altrui fa incursione nell’estetica dell’artista, vengono compromessi alcuni capisaldi che, invece, dovrebbero essere garantiti in ogni esperienza estetica. E non importa che la bandiera in questione sia palestinese, israeliana o degli aborigeni australiani: poiché l’appropriazione politica di qualsiasi opera d’arte porta con sé il seme di quel cortocircuito culturale, tipico dei nostri tempi, in cui ogni qual volta ci si appropria o si strumentalizza una bandiera, qualunque essa sia, ci si fa anche portatori di alcuni valori.
Per questo risulta preoccupante che il direttore dell’Accademia di Belle Arti non abbia tolto dall’ateneo la bandiera palestinese. Non certo per i colori dello stendardo esposto, ma perché domani potrebbe esserne issato (o bruciato) un altro, mettendo in discussione – proprio in un luogo come un ateneo – quei valori illuministi che, invece, dovrebbero preservare uno sguardo aperto sul mondo.
Come auspicato, da sempre, da una rassegna così significativa come la Biennale.
Antifascismo per definizione