Giorgio Scerbanenco - foto via Getty Images

Letture

Le idee, la città e i personaggi di Scerbanenco, uno scrittore mai compreso fino in fondo

Antonio Pascale

"Scerbanenco a Milano. Il padre del noir italiano" (Paesi Edizioni) è il nuovo libro del giornalista del Corriere della Sera Alessandro Trocino: mette insieme la biografia dell'autore e una riflessione antropologica e urbanistica sui cambiamenti della città

Nel 2011, il giornalista del Corriere della Sera, Alessandro Trocino scrisse un libro molto coraggioso: “Popstar della cultura”. Si indagava sulle dinamiche culturali, tutte italiane, che hanno portato alcuni personaggi dal pensiero non originalissimo, anzi molto banale, a ricoprire il ruolo di opinion maker, e quindi per questo richiestissimi dalla tv, dai festival. Un circolo che alla fine si autoalimenta: chiamiamo quello perché gli altri lo chiamano, perché ci riempie la sala, eccetera. E insomma questo prescinde dalla qualità dei loro scritti, anzi spesso i loro libri sono acquistati ma non letti, tanto basta l’estratto o quello che la popstar ha detto in quella trasmissione. Fa impressione, ora, leggere il nuovo bel libro di Trocino, “Scerbanenco a Milano. Il padre del noir italiano” (Paesi Edizioni). Un libro che è insieme una biografia di Scerbanenco (nato a Kyiv nel 1911) e una riflessione urbanistica, antropologica sui cambiamenti di Milano.
 

Fa impressione – dicevamo – perché Scerbanenco popstar della cultura non lo è mai stato. Spiega infatti Trocino che Scerbanenco non entrò mai nel club dei grandi scrittori perché scriveva letteratura di genere, considerata allora paraletteratura, e cioè romanzi rosa, fantascienza, western, gialli, noir, tutte cose che i grandi intellettuali italiani dell’epoca schifavano. Poi Scerbanenco era un giornalista, e non sempre i giornalisti vengono riconosciuti come scrittori,  in particolare uno che, come lui, aveva per anni diretto e collaborato con riviste femminili. Anche questa cosa dei magazine femminili fa impressione, visto che oggi, considerata la crisi dell’editoria, ad avercelo un femminile che ti dà una rubrica settimanale, discretamente pagata, una piccola cosa da 4 mila battute che ti permette di avere un vitalizio mensile. Comunque, il libro di Trocino è bello e interessante per tre motivi. Prima di tutto indaga su quei meccanismi culturali, ideologici, che oggi come allora escludono dal dibattito pubblico le riflessioni di scrittori molto bravi. Scerbanenco, infatti, arrivò ad avere successo nel momento sbagliato e dicendo le cose sbagliate. La quadrilogia di Duca Lamberti – spiega infatti Trocino – uscì nella seconda metà degli anni Sessanta, il che significa che poi arrivarono subito i Settanta, non esattamente il decennio giusto per uno come lui che veniva considerato da più parti un autore un po’ fascista, cosa tra l’altro non vera. Poi c’è il secondo motivo di interesse: Trocino, raccontando Scerbanenco, alla fine racconta molto bene Milano (e i suoi cambiamenti).
 

Tanto è vero che ogni capitolo del libro analizza un luogo scerbanenchiano (Piazza Leonardo Da Vinci, Corso Vittorio Emanuele, i Navigli) e così facendo, confrontando lo ieri con l’oggi, Trocino indaga sulle trasformazioni dei quartieri e della città: “Scerbanenco racconta la Milano del boom economico, la Milano imbruttita che conosciamo oggi, con le persone che sono schiacciate dal lavoro e pensano solo a quello”. Il terzo motivo di interesse riguarda alcuni personaggi di Scerbanenco, per niente scontati. Trocino fa notare che è vero, quei personaggi incarnano la tipica borghesia milanese conservatrice, spaventata dal crimine, tradizionalista. Però vengono fuori ritratti come quello di Livia (un personaggio di Venere Privata), una sociologa. Che per la fine degli anni Sessanta è già una cosa assolutamente sorprendente, ma è anche una che vuole sperimentare la prostituzione, perché dice che non si può capire qualcosa se non la si è sperimentata almeno una volta. Lo stesso Duca Lamberti era un medico che era finito in carcere per aver praticato l’eutanasia (tema attualissimo). Insomma, Scerbanenco è stato un apripista e come tutti gli apripista uno solitario e non capito, e tuttavia oggi con le classifiche stracolme di noir e di gialli, i libri dell’apripista Scerbanenco riescono a essere ancora moderni grazie a “quel realismo e capacità di dire le cose con quella brutalità e con quella forza che non sono facili da trovare oggi”.

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