John Barth - via Getty Images

1930 - 2024

In memoria dello scrittore americano John Barth

Giulio Silvano

L'autore è morto in Florida, all'età di 93 anni. Penna postmoderna, il suo libro più famoso è forse "L'opera galleggiante". Per ricordarlo, un articolo che fece epoca e dodici romanzi

"Nei modi è stato descritto come una combinazione tra un ufficiale inglese e un gentiluomo del sud", scrive George Plimpton di John Barth quando lo intervista per la Paris Review. “È un uomo alto con una fronte a cupola; un paio di occhiali con la montatura spessa gli danno un’aria professorale, da gufo. È la delizia di un caricaturista”. Nato in Maryland nel 1930 nel segno dei gemelli, Barth è morto oggi in Florida dopo aver pubblicato alcuni saggi, vari racconti e dodici romanzi. Il più famoso è forse L’opera galleggiante, il racconto di un uomo che di fronte all’assurdità dell’esistenza decide che l’unica soluzione è il suicidio, solo per rendersi conto che anche ammazzarsi diventa un gesto inutile. Da ragazzo Barth voleva fare il musicista, l’arrangiatore jazz – per tutta la vita ha continuato a suonare la batteria – e la scrittura è arrivata quasi per caso. Diceva che in America non è come in Europa, dove “ragazzi e ragazze crescono pensando ‘sarò uno scrittore’, come ci raccontano che disse Flaubert. In questo paese gli scrittori, soprattutto i romanzieri, arrivano alla scrittura tramite qualche porta sul retro”. Nel suo caso la porta sul retro fu il lavoro, mentre era studente, nella biblioteca della John Hopkins University, dove sistemando i volumi iniziò a leggere Le mille e una notte, Omero, Virgilio e Boccaccio. In vari necrologi è stato definito un “writer’s writer”, uno scrittore per scrittori.
 

Barth verrà forse ricordato nei libri di scuola per aver contribuito ad aggiungere un tassello teorico al postmodernismo letterario. Lo fece nel 1967 con un articolo sull’Atlantic, The Literature of Exhaustion, dove per exhaustion intende “l’esaurimento di certe forme o di certe possibilità” nella letteratura. Il modernismo è invecchiato, lo si può superare, e cita Borges come spirito guida. Il pezzo viene criticato da Gore Vidal. Poi nel 1980, in un altro articolo, ci torna su con meno fervore. “Dato che mi hanno dato del postmodernista”, dice in pratica, “voglio capire cos’è il postmodernismo”. Cercando di mettere insieme varie teorie e definizioni su una narrativa che riguarda sempre più sé stessa e il processo stesso di scrivere e sempre meno la realtà oggettiva, Barth spiega che il postmodernismo è un “impulso condiviso” da molti scrittori della sua generazione, e per spiegarlo trova due esempi: le Cosmicomiche di Italo Calvino – “leggete Calvino!”, dice – e Cent’anni di solitudine di Marquez. L’esoterismo erudito di Borges si espande al realismo magico e alla “leggerezza calviniana”. Ma tra gli esempi chiave potremmo inserire anche un romanzo di Barth, Letters, dove personaggi dei suoi romanzi precedenti si scambiano lettere tra loro (e con l’autore) – apice del meta.
 

In Italia, dopo alcune traduzioni negli anni Sessanta – una di Bianciardi – le opere di Barth sono state poi rilanciate da Minimum Fax. Marco Cassini si dice orgoglioso di averlo riportato in libreria, “da editore, e ancora più da lettore”. Dice al Foglio: “All’inizio degli anni Duemila avevo progettato una collana che si chiamava minimum classics, in cui ripubblicare testi fondamentali ma ‘dimenticati’. E non è certo un caso che il primo titolo della collana fosse proprio L’opera galleggiante”, tradotto da Martina Testa. “Barth – continua Cassini – è un autore centrale nella letteratura (e dico letteratura tout court, senza le etichette del caso come ‘sperimentale’, o ‘postmoderna’) statunitense del ’900. La sua inventiva, il suo sguardo sul mondo, la sua analisi dell’atto creativo, per dirla con un paradosso che piacerebbe a Barth, non ci mancheranno: perché per fortuna restano i suoi libri”.

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