C'è vita oltre Netflix. Cinque serie internazionali da non perdere

Mariarosa Mancuso

Libération ha scelto cinque “coup de coeur”, colpi di fulmine dal festival francese “Séries Mania”. Siamo andati a curiosare

Poche serie dagli Stati Uniti. Nessuna da Israele. Parliamo di Séries Mania, il festival francese – a Lille dal 15 al 22 marzo scorso – dedicato alle serie di (quasi) tutto il mondo. Gli americani avevano il loro problemi con gli scioperi, attori e sceneggiatori. Un dimagrimento è comunque benvenuto, dopo i numeri spaventosi della Peak Tv: il conto delle serie prodotte nel 2023 si ferma a 1621, in discesa dalle oltre 2000 prodotte l’anno precedente. Gli israeliani sono del tutto assenti, dopo aver inventato e praticato con successo una serie di format esportati in tutto il mondo. Nessuno ha voglia di fischi e bandiere bruciate a prescindere dalla qualità delle serie in gara (la produzione continua, guardare per credere il canale di streaming IZZY).
        

Libération ha scelto cinque “coup de coeur”, colpi di fulmine. Siamo andati a curiosare per capire se davvero esiste un mondo oltre Netflix (che comunque al festival ha presentato “Il problema dei 3 corpi” – genere hard science fiction, dove hard è la fisica) E ha piazzato il suo logo sulle sportine di tela. 
     

La Spagna ha due titoli tra i magnifici cinque. “La mesías”, che già era stato al Sundance: una trama familiare – e ovviamente disfunzionale, le famiglie felici non interessano a nessuno – arricchita da un sopraffino lavoro di regia. Oltre che di sceneggiatura: saltiamo dagli anni 80 al 1997 al 2013, gli showrunner si fanno chiamare Los Javis. Gli ingredienti sono musica, religione, psicologia e l’ormai immancabile fantascienza. 
     

L’altra serie spagnola si intitola “Show Yourself”, ambientata nel mondo dell’arte. Per capirci, un Bansky spagnolo (lo chiamano Bassil). La sua assistente Ana comincia a notare qualcosa di strano, va dal dottore e si accorge che le è sparito il mignolo del piede. Niente ferite, niente incidenti. Un principio di invisibilità, spiega il dottore. Raro ma possibile. Ana ne approfitta per ribellarsi al suo ruolo di donna-ombra, ricordandosi che voleva fare l’artista.
     

“House of Gods” viene dall’Australia, dove si sentono a distanza di sicurezza per perdere in giro uno sceicco. Fotografato come uno strano animale, sulla terrazza di un caffé a Sydney, l’uomo non si indigna ma restituisce il colpo. Finto profilo, e un bacio rubato. Va da sé che l’incarico di capo della moschea sfuma. “Succession” tra i musulmani australiani – è la frase di lancio, esagerata se non per l’enorme famiglia che si svela intorno al patriarca.
      

“Le monde n’existe pas” è un thriller francese (genere che non rassicura) paragonato a “Twin Peaks” – che neanche David Lynch è stato in grado di rifare, la terza e ultima stagione era irritante. Un giornalista in crisi cambia famiglia e nome, inseguendo i suoi fantasmi (i pregiudizi sono odiosi ma utili, ne abbiamo anche sulla rete Arte che lo manda in onda, tra un programma culturale e l’altro).
     

Ultima della cinquina, “Boarders” arriva dalla Gran Bretagna. Cinque ragazzi diversamente bianchi vengono trasportati dalle periferie in un liceo privato di Londra. Una buona azione “ripartiva” se non la guardiamo da vicino: i signorini delle migliori famiglie si sono accaniti su un barbone, con una bottiglia di champagne, la violenza è stata ripresa dalle telecamere. Ricorda “La cena”, il romanzo di Herman Koch che abbiamo visto adattato in due film, nessuno buono come il romanzo: due coppie di genitori, riuniti a cena per discutere se denunciare o no i rampolli che avevano bruciato una mendicante. 
   

È il cinismo che sta dietro l’inclusione. L’ipocrisia dei bei gesti fatti perché la correttezza politica li impone. Subito diventano ridicoli. Senz’altro la serie più coraggiosa, targata BBC.