La grandezza italiana. Un girotondo tra i grandi d'Italia

Camillo Langone

A molti piace dire che i grandi italiani sono tutti del passato: troppo triste e troppo facile. A dispetto dei denigratori e disfattisti dei social, ce ne sono invece anche nel presente. E chi è  il più grande? Camillo Langone l’ha chiesto ad alcuni intellettuali. Ecco il catalogo

Tutto nasce dal fatto che io spesso scrivo di Vittorio Sgarbi come del più grande italiano vivente, e ogni volta mi attiro lazzi e contumelie. Eppure mi impegno a motivare tale affermazione, in modo talmente sillogistico da sembrarmi inattaccabile: l’Italia è nel mondo la prima nazione per quanto riguarda il patrimonio artistico, dunque l’arte è la prima peculiarità italiana, dunque Vittorio Sgarbi, che del patrimonio artistico italiano è di gran lunga, di grandissima lunga, il maggior conoscitore, è il primo degli italiani. Macché: lazzi e contumelie lo stesso. Bene, ho pensato, allora ditelo voi chi è il più grande italiano vivente.

Da elitista qual sono e quale il tema pretende, non mi sono rivolto ai denigratori dei social, gente che non legge, che non studia, che va a simpatia, bensì ad alcune decine di intellettuali, non saprei come definirli altrimenti, che mi sono parsi osservatori del presente e al contempo capaci di ammirazione. Specifico quest’ultima dote perché scarseggia: a molti piace dire che i grandi italiani sono tutti al cimitero. Troppo triste e troppo facile. A chi garantisce che i grandi sono morti tutti verrebbe da rispondere: ma non sarai morto anche tu, per caso? O non sarai una rotella del “pervertimento del principio democratico che nega la grandezza e vuole che ciascuno si senta a proprio agio nella sua pelle senza dover subire sgradevoli confronti”, come scriveva Allan Bloom?

 A dispetto di tanti disfattisti le risposte al mio quesito non sono mancate. Ecco a voi la grandezza vivente.

   

GEMINELLO ALVI - Alvi “grande italiano”? Sì, le sue esperienze internazionali di economista non lo hanno “sradicato”, al contrario: ha una visione profonda e sacrale dell’Italia, direi “virgiliana”, cioè in fondo universale. Saggista eccentrico e onnivoro, ha avuto il coraggio di alzare la voce contro gli strapoteri atlantici e clericali, patendone le conseguenze. Non è espatriato, come succede spesso ai grandi italiani: il suo autoesilio è il ritiro, lontano dai riflettori, nelle pieghe dell’“Italia eterna” che ama e di cui è, oso dire, l’ultimo “profeta”.

(Flavio Cuniberto)

DARIO ARGENTO - Argento ha creato un cinema fatto di immagini costruite, centrifughe, fantastiche, surreali. Un cinema esteticamente in opposizione al mondo, che scenografa la bellezza anche laddove la morale lo impedisce, e, come certa pittura, ci costringe all’emozione dell’esperienza. I film di Argento sono chiavi, tarocchi, pedine gnoseologiche. Come le vittime in Opera, con gli spilli sotto le palpebre per essere costrette a vedere, Argento ci obbliga al superamento dell’ignoto e, svelandolo, ci fa esperire l’orrore. Sperimentali all’epoca della loro uscita, per la loro capacità di scardinare le regole, mescolando i codici, fondendo l’alto con il basso, portando il “genere” sulle stelle e la gente ad affollare le sale, educandole alla fruizione di narrazioni complesse, certi film di Argento compiono forse l’unico mai realizzato miracolo di avanguardia di massa. Amo Dario Argento, e sarà per me vivente in eterno: come gli dèi e come tutto ciò che illumina questo maledetto buio.

(Francesco Bianconi)


ROBERTO BAGGIO - Siamo nel deserto africano, è scesa la notte. L’auto si ferma in prossimità di un muretto sbrecciato. Ci si appresta a dormire. Uno dei due viaggiatori va dietro al muretto per pisciare e lì gli capita di leggere nella luce dei fari “Viva Baggio”.  Nel deserto africano. Era Gianni Celati, se non ricordo male, il narratore. Per lui l’Avvocato scomodò Raffaello. Cesare Cremonini in una delle sue canzoni più belle malinconicamente ammise che “da quando Baggio non gioca più non è più domenica”. Edmondo Berselli non si peritò di confessare che quale che fosse il suo cruccio domenicale un gol di Baggio o anche più modestamente un suo stop a seguire lo cancellavano. Crippa scrisse, quando Baggio frequentava il corso per allenatori, che insegnare a lui come allenare era come insegnare a Benedetto XVI come dire messa. Dire che Baggio era – è – la poesia del pallone è dire un’ovvietà che di nessun altro si può dire. Il “divin codino”, nient’affatto un’esagerazione.

(Roberto Volpi)

MARCO BELLOCCHIO - Marco Bellocchio è il più grande italiano vivente. E sottolineo, soprattutto, “vivente”. Più gli anni passano (ne ha 84) più il suo cinema splende. Il traditore, Esterno notte, Rapito. E poi il favoloso documentario: Marx può aspettare. Nessuno, oggi, possiede la sua energia artistica. Ha bestemmiato Dio, contestato la Patria, dissacrato la Famiglia, mantenendo lo sguardo del provinciale, da sempre il più sensibile all’immensità del mondo. Ha resuscitato Aldo Moro, per immaginare un’altra storia e un’altra Italia, entrando a far parte di quella speciale categoria di italiani che – da Dante in poi – sono gli antitaliani.

(Nicola Mirenzi)


EUGENIO BORGNA - Eugenio Borgna. Borgomanero, 1930, psichiatra e scrittore. Fra i maggiori esponenti della psichiatria fenomenologica in Italia. La prima volta che sono andata a intervistarlo, vent’anni fa, sulla scrivania aveva due malferme pile di libri: Binswanger ma anche Agostino, Simone Weil, Hölderlin. Due analoghe colonne instabili di volumi le avevo viste sulla scrivania di Mario Luzi. Quei due, qualcosa in comune. Ha una straordinaria passione per l’uomo. Per i “sani” e per i folli, i depressi, per ogni sofferenza. L’attuale psichiatria tende a schedare secondo i sintomi nell’orizzonte del Dsm, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, e in ottemperanza ai protocolli prescrive farmaci. Il professore invece è uno che prima di tutto ascolta con rara intensità. Dà dignità alle parole sconnesse di uno schizofrenico, al silenzio di uno psicotico. Come cercando il bandolo di un filo. Borgna è capace di parole che curano. Lo leggi e pensi: forse c’è un senso, forse vale la pena.

(Marina Corradi)

DAVIDE BRULLO - Vive in un remoto borgo al confine delle Marche, come un monaco. Ama Pasternak, l’Achmatova, Eliot e Yeats. In passato ha immaginato poemi alla Derek Walcott, pensandosi Josif Brodsky. Ha tradotto i Salmi scarnificandoli. Scritto libri in cui ha finto così completamente da fingere che era dolore il dolore che davvero sentiva per un’infanzia segnata dal dolore. Sulle spalle porta il peso di Pangea, la più bella rivista d’Europa e conduce sotto falso nome una dozzina di collane editoriali. Pur avendo 45 anni, il suo carisma, la sua sprezzatura, la sua magritudine da ierofante, lo fanno un maestro. Chi lo ascolta parlare, o chi lo legge, s’inchina. E’ il più grande poeta nel nostro Paese. Per i prossimi quattro decenni sarà l’unico italiano candidabile al Nobel per la Letteratura. Davide Brullo.

(Angelo Crespi)


GEMMA CALABRESI - Gemma Capra Calabresi è forza disarmante di chi trasforma la propria tragedia in una vita di riconciliazione; è la libertà interiore, la fede, la forza di chi sa anteporre il bene alla vendetta. E ne abbiamo bisogno nei giorni dei manganelli che si levano sui figli, nel tempo delle lacerazioni profonde. Aveva 25 anni, tre figli, di cui l’ultimo ancora in grembo, quando è rimasta vedova del commissario Calabresi. Ma quel dolore non l’ha stravolta, rinchiusa nel privato: ha scelto una strada di pace, sofferta e generosa. Gemma è l’abbraccio a un’altra donna, dal destino simile: Licia Pinelli. Gemma è l’eroismo del quotidiano, lo stesso di tante madri e di tante sorelle, senza nome.

(Elena Granata)


ARRIGO CIPRIANI - Quando è arrivata la richiesta di Camillo mi ero appena seduto al bancone dell’Harry’s Bar. Il più grande italiano vivente? Senza dubbio Arrigo Cipriani. Avrei dato la stessa risposta da una sperduta pietraia in Patagonia. Nel bar che porta il suo nome grazie al genio del fondatore Giuseppe ho ordinato un carpaccio e due Bellini, omaggio dei Cipriani a due illustri veneziani, eccellenti pittori con la stessa ossessione per il colore. Genius loci e fiuto imprenditoriale, Arrigo è anche un simbolo di continuità aziendale, dal locale al globale, come tanti imprenditori impegnati e visionari che diffondono benessere e lavoro nonostante le oppressioni dello Stato. Viva dunque Arrigo Cipriani, uomo elegante e silenzioso, grande italiano libero e gaudente che si avvicina ai cent’anni guardando al futuro.

(Corrado Beldì)


PAOLO CONTE - Zazzarazazz! Ma certo, che è Paolo Conte, paroleemusicadi, il più grande italiano vivente. Italiano? Un classico non ha nazionalità, travalica le epoche e traguarda il tempo e i francesi che s’incazzino. La sua eleganza di zebra, il suo essere di frontiera, ci conduce oltre i laghi bianchi del silenzio, ci regala libertà e perline colorate. Ladro di stelle e di jazz, maestro nell’anima, la vita, con Paolo Conte, è una giornata al mare, e se piove, ci si mette un impermeabile. Impermeabile alle mode, sei il genio che non ci meritiamo: portaci via con te. E così sia, ancora e sempre; ci bum ci bum bum.

(Stefano Salis)


ISABELLA DUCROT - Isabella Ducrot è oggi una degli artisti italiani più conosciuti nel mondo: una mostra delle sue ultime opere è stata appena allestita in una delle gallerie più importanti di New York. L’allestimento della sfilata di Cristian Dior a Parigi è ispirato a un suo progetto. La vita di questa affascinante signora, il cui volto reca ancora l’impronta di una grande bellezza, ha i tratti quasi di una favola. Nata a Napoli arriva a Roma dove sposa un uomo geniale come Vicky Ducrot.  La sua vita si snoda fra le occupazioni di una moglie e madre e i meravigliosi viaggi in Oriente che il marito organizza. Qui Isabella comincia a rivelare il suo originalissimo temperamento artistico: l’interesse per i tessuti antichi e di produzione locale le apre un mondo di pensieri e di emozioni che le ispirano le sue prime opere. Da allora è una crescita continua. Il mistero rivelato nel quotidiano, che talvolta si espande in soggetti sacri vissuti quasi come una esperienza mistica, alimenta opere meravigliose.

(Lucetta Scaraffia)


FEDERICO FAGGIN - Vicentino, fisico, è considerato il padre del “microchip” e di altre invenzioni fondamentali nel campo dell’elettronica applicata. Basterebbe ciò, ma ritengo che Faggin sia il più grande perché dopo quelle invenzioni, consapevole della loro funzione di mero strumento e deluso dall’aridità del mondo materialistico, ha spinto la propria ricerca nel campo della conoscenza “tout court”, dedicandosi con metodo scientifico allo studio della coscienza e del libero arbitrio, riportando al centro l’uomo e la sua unicità di entità libera e irriducibile. A noi, culturalmente figli di un dozzinale materialismo deterministico novecentesco che continua a costituire il sentire dominante di un’umanità impoverita spiritualmente e ubriacata da consumi sempre più evoluti, le ricerche di Faggin, mediante un linguaggio di assoluta attualità e rigore, restituiscono una prospettiva di luminosa speranza in grado di far convivere la visione scientifica con quella spirituale e metafisica.

(Roberto Brazzale)

    

GIULIANO FERRARA - Da studente, per due italiani ho provato la più completa ammirazione: Sergio Marchionne e Giuliano Ferrara (qui si è sfrontati, non si temono accuse di piaggeria!). Altri simili, intanto, non ne sono comparsi. Uno è morto presto. L’altro se ne sta appartato, ma non ritirato, dopo una vita trascorsa nell’agone della polis. In un tempo di bonari tremendi conformismi, ha insegnato a chi l’ha seguito, qui la sua grandezza, la libertà che si attua solo nello sguardo spregiudicato con cui si osservano le cose del mondo. Uno sguardo deciso ma sempre di lato, proprio come la pratica di vita che a un certo punto si è scelto. Ed anche questo sfumare dal pubblico, senza roboanti annunci di qualche ritiro, è degno della più completa ammirazione, testimonianza di libertà.

(Michele Silenzi)


GIOVANNI LINDO FERRETTI - Cantante dei Cccp, Csi, Pgr. Molti si sono chiesti cosa abbia a che fare il Giovanni anarchico e comunista infedele alla linea dei Cccp con il Lindo cattolico ratzingeriano dei Pgr. Né l’uno né l’altro accettavano e accettano che la vita si riduca al puro materialismo, fratello stretto del nichilismo. Le parole di Ferretti sono passate dal descrivere lo spaesamento e la rabbia all’umile accettazione di chi vuole amare ed essere amato. Ma non dimentichiamo qui Massimo Zamboni, alter ego senza il quale Ferretti forse non avrebbe raggiunto una dimensione così tragica e compiuta artisticamente.

(Alessandro Gnocchi)


Un paroliere come Giovanni Lindo Ferretti in Italia non ce lo abbiamo mai avuto e non ce lo avremo più. Non per i Cccp-Fedeli alla linea o per essere il padre del punk italiano o la voce cavernosa e il volto tutto incavi, chissenefrega, ne è piena la cronaca di artisti così. Ma per i testi, usciti da un monastero durante le invasioni barbariche. Nel 1993, quando tutti suonavano la cetra della “fine della storia” e i diritti e il progresso, lui vedeva già l’Occidente al capolinea e cantava “il nostro mondo debole e vecchio”. E poi i libri, ti prendono a schiaffi mentre tutti ti accarezzano. E poi perché in questo gigantesco festival delle banalità che siamo diventati, con i musicisti che indossano corone di spine e con le loro vocine orrende da gigantesco Pride che vuole fare dello spettatore un militante della Virtù, Giovanni Lindo Ferretti è uno che se gli dai una sedia per l’orchestra “ufficiale” te la tira addosso. Non gli interessa saltellare ottimista, ma il “Ko de mondo”.

(Giulio Meotti)

VALENTINO GARAVANI - Motivo la mia modestissima scelta nello stile personale della “collezione Bianca” in pieno 1968 che ha rappresentato la sintassi dell’alta moda nella bellezza morbida del tulle. Citazione diretta della “sala bianca” di Palazzo Pitti. A latere, la sua “V”, da Voghera a Parigi, per ribadire quanto sostenuto da Gabriele D’Annunzio, sulla Francia e l’Italia come “nazioni cugine”. Passaggi d’epoca, sanciti dai modelli di Valentino, dove il canone è traboccante di ribadita eleganza, stile e classe. Ciò che manca all’Italia tutta. Certo non esistendo più la moda rimane il costume. Poco male: fondamentale rifuggire dalla pesantezza ideologica e imitare Jackie Bouvier Kennedy e il suo vestito di pizzo eburneo per le nozze con Aristotele Onassis. Uno stato di grazia, tuttora ambitissimo. Tutto giocato sulla De pulchritudine, da mane a sera. Grande avventura, eclettica, molteplice, tale da valicare la semplice messinscena della fama e dell’esibizione di profumi, abiti, gioielli, scarpe.

(Ivo Germano)

ENRICO GHEZZI - Perché è un uomo dallo sguardo onnicomprensivo. Perché con Blob, Fuori orario, i Festival e le manifestazioni da lui create, ci ha mostrato l’eterno presente della cultura, la collisione del passato più remoto nelle avanguardie più audaci. Perché ci ha fatto scoprire, scoprendoli, cineasti che hanno fatto e fanno la storia della cultura occidentale. Perché ci ha fatto addormentare con i film di Fuori orario dalle inquadrature sfinenti, per farci improvvisamente risvegliare, nel bagliore delle stesse inquadrature, ancora lì, ad aspettarci, a guardarci, piene di luccicante bellezza. Perché ha fatto sempre e soltanto servizio pubblico, arricchendo la Rai di un catalogo di film straordinari, di programmi che non tramonteranno mai, da irriverente e libero operaio della cultura. Perché non gli diremo mai a sufficienza grazie, per la meraviglia che ha saputo creare in noi. Ma lui, d’altra parte, non ha mai preteso di essere ringraziato. E ci ha fatto scoprire Yervant Gianikian e Lav Diaz.

(Elisabetta Sgarbi)


CARLO GINZBURG - Carlo Ginzburg è senza dubbio lo storico italiano vivente più conosciuto a livello internazionale. Figlio di Leone, studioso di letteratura russa, partigiano morto nel 1944 in seguito alle torture delle SS tedesche, e di Natalia Levi Ginzburg, scrittrice, autrice di romanzi quali Lessico familiare, ha ereditato la genialità e l’erudizione paterna e la straordinaria capacità narrativa della madre riformulandole in modo del tutto originale attraverso il filtro della lezione filologica di Arnaldo Momigliano e Delio Cantimori. Il formaggio e i vermi (1976) è solo il suo libro più noto all’interno di una produzione saggistica amplissima tradotta in decine di lingue. E’ intervenuto a modo suo su temi dell’attualità politica e culturale con un brillante saggio in margine al processo Sofri (1991) e con un dialogo con Vittorio Foa (2003). Quanto di più vicino all’uomo di cultura rinascimentale capace di spaziare con sguardo profondo in tutti i campi delle scienze umane.

(Giorgio Caravale)

ROBERTO GIOVALLI - La chiamano F.O.M.O. (Fear of missing out), una forma di ansia caratterizzata dal desiderio di rimanere continuamente in contatto con le attività che fanno le altre persone, e dalla paura di essere esclusi da esse. Non esiste una vera e propria cura se non fregarsene del circondario. Come fece un certo Roberto Giovalli, torinese di nascita, milanese d’adozione. Poco più che trentenne fu chiamato direttamente da Silvio Berlusconi per diventare “il re dei palinsesti Fininvest”, e così fu. Dopo aver fondato programmi, inventato format e diretto reti nazionali, decise di dimettersi senza un motivo particolare. Andò da Adriano Galliani il quale si impegnò a pagarlo affinché non lavorasse per la concorrenza. Lo pagò talmente tanto che il giorno dopo fece di Formentera il suo esilio dorato dove tutt’oggi, quasi trent’anni dopo, vive in santa pace e senza rotture di coglioni. Roberto Giovalli, un grande italiano vivente, di sicuro, il più libero tra gli italiani viventi.

(Sebastiano Caputo)

GUIDO GUIDI - Oltre quarant’anni or sono, Luigi Ghirri, autore del Viaggio in Italia con Gianni Celati che aprì la strada a una generazione di nuovi autori, scriveva fra parentesi che Guido Guidi era “schivo, di grandissimo talento che merita di essere più conosciuto”. Romagnolo dell’interno, che è territorio ben diverso dalla costa edonista e posturbana, nelle fotografie guidiane non troviamo nessuna discoteca, nessuna spiaggia, solo canali d’irrigazione, strade secanti, circonvallazioni e cavalcavia, parcheggi asfaltati, casolari malamente ristrutturati e capanni sospesi fra città e campagna in cui vaga un’umanità dimessa e inespressiva che proviene dalle composizioni di Piero della Francesca o da quelle dialettali di Raffaello Baldini: crude e selvatiche come stridoli romagnoli.

(Manuel Orazi)

SOPHIA LOREN - Talmente grande in tutto il mondo che tutto il mondo se l’è dimenticata. Figuriamoci l’Italia (tanto più che ha la cittadinanza francese…). Un nome d’arte perfetto e sapiente, un vero nome lunghissimo e romanesco – Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone –, una parentela scomoda con i Mussolini, una carriera d’attrice irripetibile, 90 anni quest’anno, due Oscar, la Legion d’Onore, un Leone d’oro, una stella sulla Hollywood Walk of Fame, una sfilata lunga 86 film, con più di un capolavoro, sul viale della storia del cinema. Diva d’altri tempi, perfetta per i nostri.

(Luigi Mascheroni)

MINA - Poiché è bene esser kantiani non nella morale ma nell’estetica, considerando “ciò che piace universalmente senza concetto”, la risposta è Mina. Più che italiana, universale. “Mi piacerebbe diventare suono / Per non avere forma, sesso né pensiero”, canta in “Abban-dono”, il cui video è realizzato con l’AI e il suo volto si mescola alle opere di Michelangelo, Delacroix, Pellizza da Volpedo. Mina che abita a Lugano: al di là del sesso, dell’anagrafe, della politica, dell’Italia… Universale e senza concetto. Come una dea del sole (accuratamente ritiratasi nell’ombra).

(Ginevra Leganza)

RICCARDO MUTI - Non ho molte passioni e le poche che ho sono in genere piuttosto fredde. Difficile dunque individuare tra queste (ma dove altro avrei dovuto cercare?) nientemeno che “il più grande italiano vivente”. Ad ogni buon conto l’ho fatto e ho scelto il Maestro Riccardo Muti. In uno dei suoi molti libri intitolato L’infinito tra le note ho letto che da ragazzo, durante gli anni di liceo, il Maestro credeva “a quella che in filosofia viene definita ‘armonia delle sfere’: da sognatore, egli dice, pensavo appunto che l’universo fosse attraversato da suoni, e che miliardi di stelle non potessero fluttuare nel cielo nel più assoluto silenzio”. Evidentemente aveva ragione. Quei raggi sonori in qualche modo gli sono entrati dentro. Non a caso, dal 2017, c’è un asteroide che porta il suo nome.

(Sergio Belardinelli)


Scelgo la bellezza. Voto Riccardo Muti: chi più di lui sa comunicare la bellezza, rischiando di bruciarsi e di bruciarla, eppure ricreandola ogni volta, perdendosi in essa, ma consegnandola anche a chi non la merita e non è neppure preparato a incontrarla? Muti rende il tempo “vibrato”. A me capita sempre, ogni volta che sono lì quando dirige. Credo che Muti sia magnanimo, abbia l’anima grande, ed essa è come la musica di Mozart e di Pergolesi, è capax Dei, ma lui non la tiene per sé, la dà agli altri. Una sinfonia o un concerto a differenza di un quadro o di un libro, quando è scritta non è niente, è dormiente nel pentagramma, come la bella nel bosco. Muti le si mette accanto, ne studia il respiro, la sveglia con un bacio, ma non la tiene come suo possesso, le dà il palpito dell’amore. Per questo merita l’appellativo di grande. E’ un dono il suo, un talento originario, ma Muti ci mette un lavoro strenuo, conosce anche la fatica della bellezza.

(Renato Farina)

NICOLA NANNINI - Esistono luoghi e atmosfere in cui siamo veri, e io sono vero in un quadro di Nicola Nannini. Quelli sono i pomeriggi d’autunno della mia infanzia, i cieli bigi e metafisici, i condomini geometrili di irredimibile umidità, dentro un’aria ferma perché non può muoversi, dove a volte anch’io scoprivo di dover morire. Se esistesse l’eterno ritorno, tornerei per sempre a vivere in quella malinconia padana, stralunata e angosciosamente mia, e forse nonostante tutto sarei felice.

(Alberto Garlini)

  

ENRICO NUNZI - Il professor Enrico Nunzi, leprologo. Ha passato 56 dei suoi 82 anni fra i lebbrosi, senza mai indossare la mascherina. Fu folgorato dall’incontro con Raoul Follereau. Medico volontario in Camerun, Congo, Eritrea, Ghana, Somalia, Filippine, Mozambico, Bangladesh, Ecuador, ha diretto fino alla pensione il lebbrosario di Genova. Mi ha detto di sé: “Sento di aver tradito il mio maestro Dick Leiker. Perse la moglie e i quattro figli in un disastro aereo in Nuova Guinea, ma continuò a operare fra indigeni senza faccia, senza piedi, senza mani, mangiati pezzo dopo pezzo dal morbo di Hansen. Io non sono che un bluff rispetto a lui”. E’ l’unica persona che può chiamarmi all’ora di pranzo il giorno di Natale. Ci raccontiamo i rispettivi menu. Solo che lui mangiava in ospedale con i suoi lebbrosi.

(Stefano Lorenzetto)


DAVIDE PANIZZA - E’ una domanda che presuppone un monumento e i monumenti mi fanno pensare solo a cose nere. Lasciamo poi perdere la retorica tutta itagliana e patriota che il quesito presuppone. Altra roba nera. Brrr. La mia preferenza va quindi a un allegro e indifferente abbattitore di monumenti, il musicista e cantautore Davide Panizza di Pop X. Panizza ha teorizzato e pratica una poetica della delusione che è una meraviglia. Riesce a fare grande arte con la musica senza patria dei motoraduni.

(Edoardo Camurri)


EUGENIO PERAZZA - Eugenio Perazza, classe 1940, rappresenta il prototipo dell’imprenditore italiano votato alla bellezza e all’intelligenza del progetto. E’ il fondatore della Magis, azienda di punta del design italiano e internazionale, ma sarebbe riduttivo circoscrivere il suo ruolo a quello del mero imprenditore. Perazza è un saggio, un teorico, un pragmatico, un pungente scrittore, un raffinato buongustaio, un produttore di vino... Vincitore di un Compasso d’Oro alla carriera, con la sua Magis ha costruito un percorso di pura autorialità, distinguendosi da una costellazione di aziende terziste senza nome e storia, partendo dal profondo Veneto e arrivando alle vette del sistema. In più di vent’anni di frequentazione non l’ho mai sentito pronunciare le parole marketing, mercato, trend, consumatori: anche per questo, per me è un grande italiano.

(Giulio Iacchetti)


CARLO PETRINI - Per non smentire uno dei miei tanti credi che recita “Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”, candido come più grande italiano vivente Carlo (Carlin) Petrini; un uomo che ha dedicato tutta la sua vita a qualcosa della quale ho una minima conoscenza anch’io, la terra; nel senso di luogo da amare, arare, seminare (a volte raccogliere), curare, preservare con attenzione ed eventualmente tramandare alle generazioni successive un poco meglio di come lo si è avuto in consegna: “Difendi-conserva-prega…”.

(Luca Sanjust di Teulada)


RENZO PIANO - Cos’è che definisce la grandezza? La potenza materica e intellettuale tale da valicare i secoli, resistere al tempo, prima sconvolgere e poi insediarsi nell’intimità dei viventi anche di altre epoche ancora da venire, anche di altre culture, insomma, la capacità di creare una memoria nella collettività, di lasciare qualcosa in eredità che non sia solo ricordo ma che sia anche toccabile, visibile, guardabile. Chi potrà dei nostri simili contemporanei assurgere ai Sant’Agostino, ai Michelangelo e Caravaggio, ai Dante e Garibaldi? E qui c’è un italiano che spicca. Tra secoli le sue opere saranno sempre lì e il suo nome risuonerà dalla Nuova Caledonia a Parigi, New York, Londra, l’Arabia, Vienna, Berlino, Torino, Genova. E poi ancora e ancora. Ovunque. Renzo Piano, architetto che ha rivoluzionato il nostro immaginario. Che ha vissuto la sua vita come un continuo crescendo. Ed è questa, infatti, un’altra caratteristica della grandezza. Plauso a Renzo Piano, il più grande italiano vivente.

(Moreno Pisto)


MIUCCIA PRADA - Per tre motivi: 1) ha portato avanti un’azienda di famiglia, come numerosissime ce ne sono in Italia, rendendola una fiorente industria di respiro globale; 2) ha trasformato il proprio cognome in un marchio internazionale, sin dalle prime esperienze a Parigi, associandolo al senso estetico per cui tutto il mondo (ormai ingiustificatamente) ci ammira e ci invidia; 3) ha reinvestito nella bellezza con la Fondazione Prada (sono parziale: abito a un isolato di distanza), che non solo funziona come casa italiana per le opere di artisti celebri in tutto il mondo, ma soprattutto ha cambiato lo skyline di Milano contribuendo a ravvivare un intero quartiere, che al centro mantiene la sua bella chiesetta di San Luigi Gonzaga e relativa piazza dove i bambini giocano.

(Antonio Gurrado)


PUPO - Ce l’ho, sì, che ce l’ho, il personaggio vivente da incorniciare in una “Salvator Rosa”, la persona rimarchevole che meriti di essere altrettanto inserita in questa galleria: Pupo, Enzo Ghinazzi sulle linee puntinate del documento di identità. Pupo il cantante, Pupo il compositore, Pupo l’etrusco. Devo all’esperienza, per altri versi terrificante, del “Grande fratello Vip” la sua conoscenza, il nostro incontro, il mio affetto per la sua persona, il suo umano talento. Se un giorno mi venisse chiesto di mostrare me stesso, a tavola, con alcuni amici del cuore, come nel celebre quadro di Henri Fantin-Latour, “Le coin de table”, dove figurano Rimbaud e Verlaine fra altri invidiati poeti, Pupo ci sarebbe, lo avrei accanto. Pupo su di noi.

(Fulvio Abbate)


GIANNI RIVERA - Della sua gioventù rammenta di non esser mai stato giovane. Non si definisce un calciatore ma uno che ha giocato a pallone, e lo ha fatto sempre con eccesso di talento e non per troppa corsa. Il padano Gianni Brera lo aveva ribattezzato “abatino” ma lui non se ne curava e – all’occorrenza – rispondeva per le rime. Il suo gol ai Mondiali del 1970, nella semifinale contro la Germania (la partita del secolo) finita 4 a 3 per gli azzurri, è uno dei pochi momenti della seconda metà del Novecento di pieno sentimento collettivo nazionale, ben oltre la gioia condivisa e il godimento sportivo. Un’estasi italiana, senza bisogno di sante.

(Massimiliano Lenzi)


VASCO ROSSI - Il rock sarà un paese per vecchi, però senza il rock non ci saremmo salvati la vita. E Vasco (Rossi) ma anche il Komandante o Blasco ha transitato la forma musicale della mia generazione da un secolo all’altro. E’ lui il più grande italiano vivente, poeta, letterato, passato attraverso diverse vite e sempre ritornato. Alcuni suoi versi andrebbero scolpiti sui frontoni dei palazzi pubblici, straordinari interpreti della condizione umana. Sia lode a Vasco, per sempre.

(Luca Beatrice)


RENZO ROSSO - Partito con la madre, nel profondo Veneto, a cucire jeans su misura per gli amici, negli anni 80 ha dato lavoro a miriadi di laboratori conto terzi. Quando la domenica andavo a Cavarzere a trovare le zie, le vedevo intente a cucire e rifinire jeans Diesel e Americanino. Jeans spessi di ottima fattura. Poi Rosso, con la sua intelligenza semplice e senza orpelli, è cresciuto a dismisura. Quando lo vedo e lo ascolto non ho dubbi: il più grande italiano vivente. Mi sembra uno che ama vivere, ha idee balzane e quindi perfette per questo tempo convenzionale, è sicuramente un uomo generoso. Anni fa lo si vedeva nei programmi in cui si parlava di politica e diceva: “Se il ministro mi chiama gli dico come la penso. Se il presidente mi contatta lo aiuto”. Quella faccia di Renzo Rosso è una faccia che conosco e quando si riconosce una faccia ci si può fidare. Ha comprato anche Margiela, marchio di superlusso, indice di ottimo senso estetico. E’ lui il più grande!

(Davide Bregola)


ARRIGO SACCHI - Con ogni evidenza, Arrigo Sacchi è il più grande italiano vivente, ce lo dice il suo stesso sistema filosofico. “Il calcio è la cosa più importante delle cose non importanti”. Le cose importanti sono in esilio, la politica l’hanno uccisa un po’ i giudici e un po’ la Silicon Valley, la letteratura l’ha quasi uccisa l’allucinazione Woke. Il 5 a 0 al Real Madrid, la sinfonia del fuorigioco, la psicosi del merito, la bellezza non come estetica ma come fardello ontologico, rimarranno per sempre. Sacchi è il più grande italiano vivente perché nell’unica cosa (non) importante che ci è rimasta gli anni si suddividono in due ere: prima di lui, e dopo di lui. E’ una versione romagnola e più mistica di Cartesio, è colui che ha raso al suolo i catenacci scolastici per fare posto al nuovo cogito: gioco ergo sum. Un folle volo svanito sopra una traversa in una bollente notte californiana. Lui è ancora lì, avvinghiato al suo Baresi che non smette di piangere. Per questo è il più grande di tutti.

(Giovanni Sallusti)


GIORGIO SAMORINI - Credo che il più grande italiano vivente sia l’etnobotanico, erudito e iniziato Giorgio Samorini, che cominciando da autodidatta in un’epoca dominata dal materialismo (gli anni 80), ha lavorato sotterraneamente, e poi sempre più in luce (entrava dai varchi che lui stesso apriva!), al tema della psichedelia.  Per tanti era solo un cascame degli anni 60. Samorini, invece, insisteva: No, è importante. Ora che esplode il “Rinascimento psichedelico”, lo troviamo in bibliografia nei più importanti studi mondiali, ma io ricordo bene quando i suoi libri andavano cercati nei recessi delle librerie più anarcoidi: ancora adolescente, ero uno di quelli che lo faceva.

(Vanni Santoni)


SUOR LIDIA SCHETTINO - Il più grande italiano vivente ė Maria Carmela Schettino, nata a Lauro di Avellino nel 1937, segno del Leone. Non la conosco, me ne hanno parlato. Non è “famosa”, ma è conosciuta tra quelli che sanno riconoscere la grandezza. Da oltre vent’anni porta caramelle e speranza ai carcerati di Poggioreale. Un sacco di gente persa, in quel carcere e in altri sparsi per l’Italia, camorristi, banditi di ogni razza, assassini, ergastolani, ha ritrovato con lei un briciolo di amor proprio e di sorriso. In molti le si rivolgono quando passa o le scrivono chiamandola “mamma”. Con il nome di suor Lidia si è consacrata nella congregazione dell’Immacolata concezione di Ivrea. Era il 1968. E da allora non smette di fare la rivoluzione vera: sostenere la speranza.

(Davide Rondoni)


LILIANA SEGRE - Per essere sopravvissuta a una delle massime tragedie del Novecento ed esserne diventata la testimonianza vivente. Per il garbo, la misura, la discrezione con cui lo è, in un’epoca in cui tutti fanno a gara nell’esaltare via social il nulla di cui sono fatti loro e la loro vita. Per aver detto che era tanto ai bambini israeliani che ai bambini palestinesi che stava pensando, annichilita dal dolore, nelle settimane successive al 7 ottobre 2023.

(Giampiero Mughini)


JAMES SENESE - Sanremo con le polemiche su un rapper napoletano mi ha fatto venire voglia di precisare l’ovvio: non è la canzone napoletana che deve chiedere cittadinanza a quella italiana, ma il contrario. La prima è più antica, più prestigiosa, più contaminata – e senza perdersi – della seconda. La lingua napoletana da offrire alla pop music ha metriche e accenti migliori dell’italiano. Come dice il poeta: “It’s simply a finer language”. Chi non la capisce usi Translate se può, se no subisca, nel silenzio degli indecenti. Il più grande italiano vivente è James Senese, un nero figlio della guerra e padre del rythm’n blues napoletano, il suo sax è la “tuba mirum” dell’Apocalisse. La sua estrazione sociale è umile, la sua portata artistica è gigantesca e non riconosciuta. Le sue incazzature sono senesiche come l’ira di Achille è achilleica. E un pop imitativo e sfigatissimo come quello italiano di fronte a Napoli deve dire solo una cosa: “Scusi, posso?”. Meno Sanremi, più James, grazie.

(Bruno Giurato)


VITTORIO SGARBI - Italiano è italiano, l’Italia la conosce per averla girata tutta, chissà quante volte (quanti giri del mondo in chilometri?). E come la spiega lui, nessuno. E’ italiano anche nei difetti, prima di tutto l’astuzia rovinosa. Vivente è vivente, anche troppo. Sfinisce tutti. Quanto alla personalità, in inglese si direbbe “larger than life”, cioè “troppo grande per stare tutta in una vita sola”.

(Paolo Bianchi)


Generoso, dunque ragazzo che si spende come quasi nessuno. Roma era sotto la tempesta. Una persona, sapendo che conoscevo Vittorio, mi chiamava tutti i giorni affinché intercedessi presso di lui per sottoporgli la visione di un dipinto di maestro importantissimo. Alla fine crollai e telefonai a Sgarbi il quale accettò. Roma era un uragano. A mezzanotte in punto Sgarbi si presentò all’indirizzo del quadro. Lo esaminò per quasi un’ora. Detto ciò che disse, il proprietario della tela non profferì neppure “grazie”. Vittorio, noncurante, rispose “buonasera” e entrambi ci infilammo nell’inferno della città.

(Aurelio Picca)


JANNIK SINNER - Un grande italiano del nostro tempo è senza dubbio Jannick Sinner e non tanto per il suo tennis (su cui non saprei esprimermi). Il fatto cruciale, invece, è che Sinner è la figura pubblica che più di ogni altra incarna l’italianità: ossia, il carattere del tutto artificioso di una repubblica costruita sulla negazione delle vere identità storico-culturali e sulla cancellazione di ogni autogoverno. Oltre a ciò, il giovane atleta da anni ha scelto di vivere a Montecarlo: ciò naturalmente manda su tutte le furie tutti i cantori del regime vigente, ma riempie al tempo stesso di ammirazione chi conosce la natura del mostro (cfr. Giovannino Guareschi) ed è felice che nessun dollaro guadagnato dal tennista nato a Innichen alimenti quel potere sovrano che ogni giorno ci annichilisce e mortifica.

(Carlo Lottieri)

PAOLO SORRENTINO - Per me il più grande italiano vivente è il regista Paolo Sorrentino. Non solo perché è il più geniale regista italiano, ma perché in ogni cosa che Sorrentino dice, scrive, esprime – finanche solo con la sua faccia – io vedo condensati tanti aspetti del genio italico (ma anche tanti difetti). Sorrentino, infatti, è fantasioso, spavaldo, malinconico, geniale, tirannico, narcisista, nichilista, cinico, poetico, cialtrone, infantile, magistrale, ironico, irriverente, ecc. Ogni cosa che Sorrentino dice e fa mi sorprende, mi affascina, mi incuriosisce, mi colpisce, mi rappresenta. Ma, più di tutto, mi rappresenta questa italica coesistenza di genialità e cialtroneria.

(Andrea Di Consoli)


PADRE ALDO TRENTO - Padre Aldo Trento si era innamorato perdutamente di una giovane mamma, vedova. Don Giussani lo prese con sé e dentro quell’amicizia lui combatté per mantenersi fedele alla sua vocazione. Mise un oceano fra sé e la donna, andò in Paraguay. Per anni si limitò a piangere, lacrime e sangue. Poi gli occhi si asciugarono e tornò a vedere: le strade di Asunción erano piene di dolore, quello che lui aveva conosciuto così bene. Cominciò a cercare di alleviarlo. Le persone morivano per strada, nell’immondizia; lui li raccoglieva, li lavava, metteva un fiore su ogni comodino, portava la comunione. Da quella cura per ogni persona, disabili, incurabili, terminali, sono nate opere incredibili: un ospedale di livello altissimo, una casa per le giovani abusate, un ospizio, scuole, mense dove ai poveri il cibo viene servito su piatti di ceramica. In Paraguay questo italiano è un eroe nazionale. Una vita spesa senza risparmio, un cuore svuotato dei suoi desideri e riempito di Cristo fino all’orlo.

(Costanza Miriano)


CATERINA VALENTE - Anzitutto, per chi non la conoscesse, bisogna guardare su YouTube il suo duetto con Dean Martin: bella come Audrey Hepburn, spiritosa, ammaliante, bossanovista, poliglotta, usignola, acchiappa pubblico, cosmopolita, attrice, danzatrice, musicista, compositrice, interprete, conduttrice, campionessa di vendite. In poche parole, una fuoriclasse, una donna di spettacolo che non ha eguali. Non si può paragonarla a nessuno, lei ha sempre qualcosa di più.

(Camilla Baresani)
 

 

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).