musica a puntate
Scoprire per caso davanti a uno schermo che c'è un po' di Vasco Rossi in noi
Vedere su Netflix "Vasco Rossi: Il supervissuto" è un modo per superare i pregiudizi, che continuano a esserci, sul cantautore di Zocca
C’era, c’è ancora, un fronte di netta separazione fra gli italiani che tengono a Vasco, basta il nome, e quelli a cui Vasco Rossi, e qui serve pure il cognome, non ha mai detto niente e anzi provano un certo fastidio per lui, per le sue canzoni e per quello che ha rappresentato negli ultimi quarantacinque anni di musica e di vita. E c’entra nulla che tenessero a Ligabue – l’Italia è il paese delle nette separazioni di campo e quindi delle staffette, tipo Mazzola-Rivera – o che si fossero convinti che in fondo avesse ragione Jovanotti quando cantava “No, Vasco! / No, Vasco / Io non ci casco / Per quelli come te / Per quelli come me”. E’ un fatto epidermico di tolleranza, anzi intolleranza, verso quelli che tengono a Vasco e vanno ai concerti e quelli che non tengono a Vasco Rossi e nemmeno morti ci andrebbero a un suo concerto perché ci sono quelli che tengono a Vasco.
Ogni comunicazione è impossibile tra questi due gruppi. Perché va sempre a finire che sia i primi sia i secondi si mettano a provare a convincere gli altri delle loro ottime e totalitarie convinzioni.
E questo indipendentemente da Vasco Rossi.
Perché Vasco Rossi è un tipo interessante. Molto interessante. Uno che cantava “Una vita spericolata” e la vita spericolata ce l’ha avuta davvero. Una vita piena, forse colma, di cose, di convinzioni e di parole e di musica. E può pure non piacerti la sua musica, o magari non idolatrarla come succede a tanti, ed è anche per questo che poi le divisioni su Vasco si incancreniscono, ma viene difficile voler male a uno come Vasco Rossi, perché di cose ne ha da dire e pure tante e quasi mai sono minchiate.
Ecco perché ci si dovrebbe prendere qualche ora per mettersi davanti a uno schermo e vedere “Vasco Rossi: Il supervissuto”, che è sia una docuserie con lui e su di lui, sia una videobiografia, un grande romanzo per immagini e parole. E’ soprattutto una docuserie per nulla assolutoria o consolatoria o esaltatoria, ma che ti butta in faccia Vasco e Vasco Rossi, il suo mondo, le sue idee, la sua vita e riesce a scombussolare un po’ il pregiudizio che si ha o aveva su di lui. Perché in fondo con Vasco a contare era, è, soprattutto il pregiudizio, l’idea che in un modo o nell’altro si doveva appartenere, almeno in un certo periodo della nostra vita, a uno dei due mondi possibili.
E viene fuori a fine visione, almeno in chi non ha mai tenuto a Vasco Rossi, che c’è più Vasco Rossi in noi di quello che pensavamo ci fosse. Perché in fondo Vasco è nazionalpopolare non per successo o per dischi venduti, ma per modo di essere. E’ il bravo scrittore di testi – perché va detto, indipendentemente dai gusti musicali, che ci sa fare a scrivere le canzoni, le sue canzoni, perché lo si capisce subito quando una canzone è di Vasco –, il musicista, soprattutto è come quel tizio al bar o all’osteria che lo si sta sempre a sentire perché sa raccontare una storia, che c’ha il dono del racconto. Vasco è quel personaggio lì, quello che entra spesso in libri o film, e che molte volte ha ispirato molti libri e molti film. Solo che si è messo in proprio, ha creato il suo mondo, lo ha reso comprensibile a tutti ed è adorato da molti. Lo ha fatto vivendo da rockstar in Italia. Prima e dopo di lui non c’è riuscito nessuno.
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