letture e riflessioni

Morte e invidia, malattie del nostro tempo rilette con critica saggezza

Lucetta Scaraffia

La letteratura spirituale è in crisi, ma per fortuna ci sono le donne. Due libri: "Come un chiarore furtivo" di Catherine Chalier e "Morire di invidia o vivere d’amore?" di Catherine Aubin

Per valutare il ruolo delle donne nella Chiesa, e più in generale nella vita cattolica, il criterio utilizzato più spesso, cioè quello di verificare la presenza delle donne in ruoli considerati apicali, non è significativo. E non solo perché si tratta sempre di presenze sporadiche – e in genere scelte in base alla loro sicura obbedienza – in un mondo di uomini per lo più appartenenti al clero, ma perché la voce femminile si fa sentire oggi soprattutto nel campo culturale. In questo ambito, infatti, supera spesso, per profondità e chiarezza, la qualità degli autori maschi.
 

Le scrittrici di sesso femminile, infatti, portano indubbie novità soprattutto in un settore, quello della spiritualità, che sta traversando una forte crisi. Una prova ce la offre la casa editrice Queriniana, che ha appena pubblicato due libri veramente degni di nota: “Come un chiarore furtivo” della filosofa francese Catherine Chalier, allieva di Lévinas, e “Morire di invidia o vivere d’amore?” della domenicana Catherine Aubin, anche lei francese, che ha dedicato una breve ma potente meditazione a questo peccato capitale.
 

Da molto tempo non si parlava di invidia e di gelosia in modo critico. Si tace infatti finché queste emozioni non assumono dimensioni così intense da diventare paralizzanti per chi ne è vittima, e questo per un motivo evidente: il consumismo, cioè il modello di vita in cui siamo immersi, prospera fra pubblicità continue e influencer. In altre parole, si basa proprio sull’invidia. Anzi, sulla sollecitazione dell’invidia. Aubin analizza la causa di questa passione negativa sia nella storia di Caino e Abele che nella sofferenza del figlio maggiore raccontata da Gesù nella parabola del figlio prodigo, sottolineando come, a differenza di tutte le altre malattie spirituali, l’invidia è l’unica che non dà alcun piacere a chi la prova.
 

Ma allora, come mai è così diffusa? Come mai il fascino del possesso di tutto ci fa dimenticare quello che già c’è? A tutti – scrive Aubin – è chiesto di attraversare “questo aspetto di finitudine e di apparente ingiustizia” per farci capire che il mondo non gira intorno a noi, per fare in modo che la presenza degli altri non ci divenga insopportabile. Superare l’invidia vuol dire capire che agli occhi di Dio tutti siamo ugualmente amabili, amati senza alcun merito. Ripercorrendo testi dell’Antico e del Nuovo Testamento, della letteratura ebraica e parole di sante da lei amate e ben conosciute, Aubin traccia un cammino di uscita dalla gabbia dell’invidia, che può degenerare in gelosia: una via che porta a sostituire allo sguardo cattivo dell’invidioso quello luminoso di chi ha ritrovato sé stesso nella profondità dell’anima.
 

Alla tradizione ebraica soprattutto ricorre Chalier per affiancare alla meditazione sulla morte quella sulla nascita: “Il sonno profondo che ci attende dopo la morte – scrive – assomiglia al nulla che è per noi il periodo di eternità che ha preceduto la nostra nascita”. E si domanda se i due nulla non siano piuttosto due luci, e se “una certa eternità attraversi tutte le vite, quelle di oggi e quelle di ieri”, e se essa “oltrepassi la finitudine degli uni e degli altri”, o se piuttosto non “la abiti”. La vita quindi ci attraversa senza appartenerci, come un bene eterno.
 

Riscoprire questo infinito è dunque il compito umano per eccellenza, quello che permette di pensare la creatura non ontologicamente separata dalla sua sorgente e che a essa può tornare. Sostenere questa unità della vita e della morte – così ben esemplificata nel modo in cui gli antichi denominavano gli umani, “i mortali” – consente di affrontare il tema della finitudine di ogni essere umano, e al tempo stesso quello della unicità di ciascuno. Sono due profonde riflessioni, opera di queste autrici, che ci invitano a rileggere criticamente due malattie del nostro tempo: la volontà di impadronirsi della morte attraverso l’eutanasia, e quella di ergere l’invidia a sistema fondante del sistema economico e sociale dal quale siamo pervasi e dominati.

Di più su questi argomenti: