(foto da Wikipedia)

in libreria

L'inquietudine dolcissima di Grossman sul desiderio di eternità e libertà

Giovanni Maddalena

Comprendere e analizzare il particolare realismo dell’autore di “Vita e destino”. Un saggio

Pubblichiamo un estratto de “Il pensiero di Vasilij Grossman”, il saggio di Giovanni Maddalena edito Rosenberg e Sellier (110 pagine, 16 euro)


Quali sono l’origine e il fine della libertà? L’opuscolo del matto di Dio Ikonnikov, inserito in Vita e  destino, risponde a questa domanda amplificando la differenza  fra il piano trascendentale e quello dell’uomo e della natura. Con tratti certo non estranei alla cultura russa, nella quale è stata forte  l’influenza dell’idealismo tedesco in generale e di Schelling in  particolare,  Grossman coinvolge tutto il cosmo nel medesimo  problema della libertà. Qui l’autore ammette di avere un tempo  creduto che la natura fosse esente dal male, che esso riguardasse  solo l’uomo. Invece non c’è parte della natura che non sia pervasa  dalla stessa sete di autoaffermazione che nell’imporsi conduce  anche alla violenta oppressione dell’altro. L’origine della libertà  deve quindi essere rintracciata nei singoli individui, a qualsiasi  genere essi appartengano, e deve risalire al momento precedente  a questa caduta che fa sì che le esigenze inestinguibili e cosmiche  dell’individuo corrano il rischio di rovesciarsi nella necessità della  cancellazione dell’altro. La domanda precedente va precisata nel  seguente modo: qual è l’origine della libertà, anche se essa poi  si volge in male? Oppure, più esistenzialmente, come fa l’uomo  a sperare con davanti il male dei campi di sterminio creati da  una libertà uguale alla sua? 
La risposta di Grossman è inequivocabile, anche se a essa  possono essere mosse molte critiche: l’origine della libertà è la  vita, che ha la propria fonte e il proprio emblema nella maternità. E’ la vita l’ultima e unica spiegazione del bene. La bontà  che nasce nel singolo è il riconoscimento del fatto che la vita  è bene perché c’è, o meglio perché vive. “Vivi, vivi, vivi… per  sempre” è l’urlo della madre di Štrum nel romanzo, l’immaginaria rappresentazione della madre dello stesso autore. 

 

Si potrebbero fare molte osservazioni su questo vitalismo  collocato individualisticamente. Come ogni vitalismo esso rischia  di scivolare nell’odiato razzismo (di qualunque genere esso sia)  o nell’irrazionalismo. Ma è la connotazione individualistica a  tenere Grossman fuori da queste strade teoriche: il singolo è  bene, chiunque sia, qualunque cosa sia, perché esiste, perché  vive. Come ha spiegato Adriano Dell’Asta, è l’esperienza che  Grossman contrappone all’ideologia, non un’altra idea, nemmeno  l’idea “giusta” dell’individuo.  L’obiezione seria che si può avanzare nasce da un altro punto  di vista e colpisce il “per sempre” della celebre lettera della madre:  che cosa succede quando l’uomo muore? Come fa a vivere per  sempre? Qui il vitalismo di Grosmann finisce in scacco.  “Quando l’uomo muore, con la vita finisce anche la libertà. L’uomo  muore e passa dal mondo della libertà al regno della schiavitù. La  vita è la libertà e perciò morire è l’annientamento progressivo della  libertà” (Vita e destino).
 
Eppure rimane il fatto che tale libertà è unica, irripetibile e che  in qualche modo la sua incidenza rimane per sempre. “Il riflesso dell’universo nella coscienza di un uomo è il fondamento  della potenza umana, ma la vita si trasforma in felicità, libertà, valore  supremo, solo se egli, l’uomo, esiste come mondo, persona mai e  da nessuno ripetibile nei tempi che non hanno fine” (Vita e destino).  Il singolo muore con la sua libertà, eppure tutto grida che quella  libertà debba “vivere per sempre”. E’ un’inquietudine bellissima  e dolcissima che testimonia quanto questo desiderio di eternità  sia profondo e come costituisca l’essenza stessa della vita, anche  se in Grossman è e rimane un desiderio che non ha risposta: quando la vita del singolo muore, l’universo si spegne; la libertà,  fatta per il tutto, finisce nel nulla” (Vita e destino). 
 

Grossman è quindi un nichilista? La risposta teoretica sembrerebbe affermativa: si tratterebbe allora di un nichilismo cosmico  nel quale essere umano e natura subiscono il medesimo destino  di annichilimento di vita e libertà. Tuttavia, la passione per il  singolo individuo spinge Grossman oltre se stesso, o meglio gli  fa sottolineare una direzione del pensiero che non è quella del  destino nichilista. Del resto, leggendo Vita e destino, mentre per mane l’amarezza dell’insoddisfazione che il paradigma umanista  non placa, nemmeno nella sua accettazione di trascendentali  metafisici, non rimane affatto la cupa ombra del nulla o, su  un piano morale, dell’inutilità dell’esistente. Amaro ma non al  punto da spegnere il gusto. Triste ma non disperato. Il fatto è che Grossman, sebbene teoreticamente convinto che  il singolo si spenga per sempre con la morte e che l’universo  in qualche modo partecipi della stessa fine, si concentra non  tanto su questo destino quanto sull’origine. Egli persiste nel  sottolineare la singola esistenza e lo stupore per la sua presenza  così da affermare il valore trascendentale della libertà assoluta,  con i suoi desideri di compimento, mentre lascia indeterminata  la fine e il fine dell’uomo. In altre parole: sull’esito Grossman  non riesce a dire niente, ma sull’origine sì: l’origine è un atto  libero, come testimonia la positività perenne del rapporto con  la madre e l’esistenza stessa di atti liberi. Tra l’origine e il fine  si instaura un’apparente contraddizione. 

 

Tant’è che muore il singolo e il suo universo eppure, allo  stesso tempo, Grossman è convinto che l’esperienza della libertà  vissuta, quella che l’uomo sperimenta in tutti i suoi gradi e in  tutte le sue tonalità, in qualche modo rimanga proprio in forza  di quella esigenza inesausta che l’ha sempre mossa in vita, così  vitale da non fare accettare nemmeno la logica soluzione che  tutto si spenga. Questo, del resto, è l’unico senso che si può  ascrivere alla “memoria” che emerge nelle due lettere postume  alla madre. E’ in questa memoria che anche il dramma del “dire  la verità”, ideale a sua volta impossibile, trova la sua pace.  “Con te sarò onesto e ti racconterò tutto ciò che provo, ma può darsi  che questa non sia la verità completa sul mio conto, perché dopotutto  nei miei pensieri avverto non solo ciò che è vero, ma probabilmente  molto altro che è falso e sciocco. […] Oggi ti penso proprio come  se fossi viva, viva come quando ci siamo visti per l’ultima volta e  come quando da piccolo ti ascoltavo mentre leggevi ad alta voce. E  sento che il mio amore per te e questa terribile agonia sono ancora  oggi uguali e rimarranno con me fino alla fine dei miei giorni.  Piango sulle tue lettere perché in esse vedo la tua bontà, la purezza  del tuo cuore, il tuo destino terribile e amaro, la tua onestà e generosità, il tuo amore per me, la tua attenzione nei confronti del  prossimo e la tua splendida intelligenza. Non ho timore di nulla,  perché il tuo amore è con me e perché il mio amore rimarrà con  te per sempre” (Le ossa di Berdicev. La vita e il destino di Vasilij Grossman).

Di più su questi argomenti: