Inondazione a Moret, Alfred Sisley

la mostra

Da Monet a Matisse: lo sguardo americano sulla specificità dell'arte europea

Giacomo Giossi

A Padova Palazzo Zabarella ospita una cinquantina di opere di artisti moderni francesi tutte provenienti dal Brooklyn Museum. Una vivida rappresentazione di come è maturato il rapporto e il gusto americano

Una Padova ancora assonnata e infreddolita accoglie i visitatori di Palazzo Zabarella. Si è alle prese con il carnevale fatto di frittelle e cróstoli troneggianti sui banchi delle pasticcerie dove “con crema, zabaione o mele?” diviene la domanda imperante. Ancora lontana dalla frenesia universitaria, la città rivela una tranquillità provinciale rara e accomodante che porta con leggerezza verso le stanze dell’esposizione “Da Monet a Matisse” ospitata a Palazzo Zabarella.

La mostra con circa una cinquantina di opere è misurata e ben congegnata. E’ tutt’altro che un’esposizione minore, ma anzi uno sguardo inedito attorno allo spesso sfruttato campo degli artisti moderni francesi. Uno sguardo doppio perché le opere provenendo interamente dalla collezione del Brooklyn Museum rappresentano una vivida rappresentazione di come è maturato il rapporto e il gusto americano. Le opere in mostra rappresentano per buona parte quel nucleo che grazie all’intuizione dei collezionisti dei curatori americani permise agli Stati Uniti di cogliere per la prima volta la specificità culturale dell’arte europea e in particolare di quella francese. Un incontro che generò e produsse un’inedita visione culturale che tracciò poi le linee che portano direttamente al XXI secolo.

Quello che dunque si può cogliere tra le quattro sezioni che compongono la mostra non è tanto o almeno non soltanto, l’opportunità di vedere e rivedere alcuni dei più importanti maestri dell’arte moderna francese, ma cogliere quell’interpretazione che venne elaborata oltre oceano tramite la loro prima visione. Ritrovare dunque nella modernità una contemporaneità che prenderà forma da lì a pochi anni, complici due guerre mondiali devastanti per l’Europa e la trasformazione degli Stati Uniti in paese di riferimento a livello economico e anche culturale. Un superamento che non si sviluppò solo all’interno di dinamiche competitive, ma in una capacità di riconoscimento ed elaborazione che ridusse le distanze fino ad allora ancora molto forti tra l’Europa – la vecchia Europa – e quello che ancora veniva definito il nuovo mondo.

Forse la sezione più interessante è proprio quella dedicata al paesaggio dove svetta la tela del 1865, “Ville-d’Avray” di Corot. Un’opera capace di connettere letteralmente più mondi. Rappresentazione di un passaggio estetico che contiene l’energia avviluppante di Courbet, ma preannuncia anche la forza visionaria (prima che questo aggettivo venisse così spesso abusato) del “Palazzo del Parlamento” del 1903 di Claude Monet. Opera notissima quella di Monet che vale da sola la visita (anche) semplicemente per la sua sostanziale impossibilità ad essere degnamente riprodotta a video quanto a stampa. Un quadro che obbliga una presenza fisica e che offre un’irriducibilità assoluta alla riproducibilità tecnica, creando quella frattura tra moderno e contemporaneo che va ben al di là di una logica di superamento, ma più che altro di vera e propria mutazione. Un’abitudine allo sguardo che ogni visitatore deve necessariamente riconquistare per poter accedere al senso di un’arte oggi più facile da rivedere che da vedere per davvero e che offre un’accessibilità maggiore lontano dai grossi eventi che diventano molte volte più che altro macchine di una contemporaneità auto riferita. Tra le nebbie che si affacciano attorno al centro di Padova, la città si mischia con la campagna riportando in un certo senso verso casa Courbet e Monet, Matisse e Corot e con loro chi decide di darsi l’opportunità di perdersi tra i loro lavori. 

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