Susan Sontag - Foto LaPresse

L'intervista

Susan Sontag, un monumento del Novecento che in pochi hanno davvero capito

Giacomo Giossi

"Sontag è sempre più attuale. Il legame che lei offre, tra la tradizione culturale classica e il mondo contemporaneo, è più urgente che mai”. Parla Benjamin Moser, biografo dell'intellettuale americana

Sapere ciò che è esterno e ciò che è interno e poi riconoscerlo, questo potrebbe essere in estrema sintesi il movimento del pensiero di Susan Sontag. Un’elaborazione che la coinvolge sempre in prima persona. Una comprensione di sé e del mondo ad alto rischio e con la finalità sempre esplicitata di una continua e radicale auto trasformazione. Susan Sontag è il corpo della cultura del secondo Novecento, quando gli Stati Uniti hanno ribaltato il campo e New York diviene (anche grazie a lei) il luogo primario della produzione, del consumo, ma soprattutto dell’elaborazione culturale, intesa ancora come un’azione critica capace di restituire senso e vitalità a sé stessi e alla società. Un corpo culturale ora profondamente indagato dal premio Pulitzer Benjamin Moser con una biografia, "Sontag. Una vita (Rizzoli, 704 pp., 32 euro)" che mette dei punti fermi attorno alla vicenda esistenziale della grande scrittrice e intellettuale newyorchese che arriva ora in Italia per la traduzione di Rosa Prencipe e Lucilla Rodinò. Il volume, oltre settecento pagine, è anche un accurato affresco di una società americana in forte trasformazione. Susan Sontag anticipa e accompagna questo cambiamento con il suo assiduo lavoro culturale divenendo una componente vitale di New York. La città vive in quegli anni una drammatica crisi economica e sociale, ma al tempo stesso ospita alcuni dei più importanti pensatori, artisti e performer del secondo Novecento. Le relazioni sono esplicitamente relazioni culturali dove il termine culturale può ancora contenere di tutto: sesso, lavoro, amicizia, come anche dure divisioni e fratture insanabili. Alla base di tutto regna l’attività critica come auto trasformazione e come elemento fondante di ogni visione: si nasce critici e si diventa artisti. Susan Sontag è oggi un simbolo di New York, un simbolo in parte trasfigurato di una città (e di una società globale) che sembra confondere la propria cultura con il proprio stile, la durezza del lavoro culturale con la vacua ambizione diretta a un esclusivo quieto vivere. 

Abbiamo posto a Benjamin Moser qualche domanda. Prima di tutto, oggi Susan Sontag è ancora veramente attuale: “Sì e lo è sempre più. Il legame che lei offre, tra la tradizione culturale classica e il mondo contemporaneo, è più urgente che mai”. Ma il suo essere un “modello” quanto la rende realmente comprensibile? “Sfortunatamente il modello che Susan Sontag rappresenta – quello dell’intrepida intellettuale femminile –  spesso non è accompagnato da una profonda comprensione del suo pensiero. Spero in tal senso che il mio libro conduca le persone un po’ più lontano dalla sua immagine e un po’ più dentro il suo lavoro”. Susan Sontag come un’equilibrista riesce a offrire una sintesi inedita tra lavoro accademico e lavoro divulgativo, una via originale che oggi sconta da parte di molti autori e autrici derive che al contrario di migliorare la comprensione della complessità spesso la banalizzano. Cosa intende Sontag quando parla di “lettore serio”? “Innanzitutto intende un lettore che è stato educato – o, più propriamente, che si è educato – nella tradizione culturale. In secondo luogo, un lettore che trae certi valori da quella tradizione, ad esempio la dignità dell’individuo. O in particolare il dovere del libero cittadino di sostenere quei valori applicandoli alla propria vita: un dovere verso gli altri e verso la società. In terzo luogo, una persona che tenta di utilizzare la letteratura per esaminare i propri pregiudizi, nazionali o religiosi, per poi emergere da essi. E infine – e questo per Sontag è forse l’elemento più importante – il ‘lettore serio’ è colui che comprende la necessaria connessione tra estetica e morale”. Una connessione che rappresenta appieno anche il senso di una biografia che rivela una separazione tra l’intellettuale e la persona

Una separazione quasi impercettibile in Susan Sontag e che è possibile cogliere nei bellissimi diari (in via di traduzione da Nottetempo), ma che al tempo stesso definisce fortemente la sua vita relazionale e affettiva. Susan Sontag appare spesso insensibile rispetto all’affetto delle persone che la circondano, una sorta di velo che la fa apparire distante: “In effetti, molte persone con cui ho parlato hanno detto che non riusciva a ‘sentire’ l’arte tanto quanto le altre persone. Susan Sontag era gravata dal testo, dall’intelletto, dai grandi sistemi del suo tempo che promettevano di decifrare tutto come il freudismo e il marxismo. In Contro l’interpretazione lei scrive del suo continuo tentativo di  ‘vedere di più, ascoltare di più, sentire di più’ e ci è riuscita in larga misura. Ma nella sua vita personale era spesso sorprendentemente insensibile a ciò che provavano gli altri”. E’ vero come ha scritto Vivian Gornick in un’entusiasta recensione alla sua biografia che in fondo lei non ama Susan Sontag? “In inglese distinguiamo tra liking e loving. Amavo Susan, ma non mi è sempre piaciuta”. 

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