Italo Calvino nel 1979 (foto Ansa)

a 100 anni dalla nascita

In Marcovaldo Italo Calvino "lottava" già contro l'ambientalismo nostalgico

Enrico Veronese

Nel libro dello scrittore, pubblicato quarant'anni fa, c'è tutto l'ottimismo verso le sorti progressive dell’umanità

Gli adolescenti, a lungo svogliati davanti alla somministrazione obbligata dei Promessi Sposi al liceo (ah, quanto più provvidamente accolta sarebbe in età più avanzata!), sono gli stessi bambini che pochi anni prima si entusiasmavano quando, tra le letture per le vacanze, la maestra assegnava Marcovaldo. Semplice di prosa e divertente, anzi buffo, il novellario di Italo Calvino non era stato in realtà concepito verso l’infanzia in età scolare: eppure funzionava e funziona, in un età indefinita tra la scuola primaria e i primi anni delle vecchie medie, quale livello iniziale della conoscenza verso l’opera dello scrittore oggi centenario, prima delle Città Invisibili e delle Lezioni Americane.

A rileggerlo tuttavia da adulti, a sessant’anni dall’uscita, Marcovaldo rivela ben più di quanto innocentemente assorbito tra i banchi di allora: pubblicato per undici anni entro le capienti pagine dell’Unità, destinato quindi ai genitori più che ai pionieri, la sua leggerezza tornava comunque meno impattante di Gianni Rodari nella panoplia culturale in dotazione al bambino comunista, la “magnifica ossessione” di cui scriveva Graziella Falconi a proposito della vocazione pedagogica del Pci. Proprio conoscendo il lettorato di riferimento, e sapendo di poter essere ascoltato, l’autore non certo estraneo alla nomenklatura (magistrale tra gli altri il suo reportage da Mosca per la finale della Coppa sovietica di calcio, 1952) intendeva accreditarsi per rivolgere buffetti tutt’altro che innocui.

Servendosi dell’espediente tipizzazione letteraria, quanto mai credibile perché concreta e osservata, Calvino infatti indicava ai comunisti una via, in tempo reale e non certo dolorosamente postuma: come rimanere sostenibili – per dirla con parole odierne – nel nuovo contesto metropolitano. Il partito, pare asserire, doveva preoccuparsi dei “grigi muri, le cose di tutti i giorni spigolose e ostili” (e quindi, di quale città abitassero i suoi elettori) e curarsi non già del mero ventisette del mese, ma di evitare la patente atomizzazione dei nuclei familiari, la competizione cui gli inurbati non erano usi. Dalla stessa autoprefazione alle fortunate edizioni Einaudi, era lo scrittore stesso – la penna più lungimirante e avvenirista tra coloro che non discettavano di fantascienza – a mettere in guardia dal non fare di Marcovaldo uno strumento nostalgico dell’età rurale.

Sono sue le istruzioni per l’uso: “Una lettura in questa chiave, comune a tanta parte della letteratura contemporanea che condanna la disumanità della civiltà industriale in nome di un vagheggiamento del passato, è certamente la più facile. Ma qui essa si accompagna a una altrettanto decisa critica a ogni sogno d’un paradiso perduto. Non solo non è possibile un ritorno indietro nella storia, ma anche quell’indietro non è mai esistito, è un’illusione. L’amore per la natura di Marcovaldo è quello che può nascere solo in un uomo di città”. Nessun “idillico mondo perduto” nelle capanne senza servizi né fognature, al freddo e al gelo: spiegatelo agli spatriati dall’agro veneto o lucano, quanto poetica potesse essere la fatica senza orari, l’esposizione ai venti e alle gelate, l’assenza di una prospettiva migliore per l’indomani (fosse il sol dell’avvenire). Forse solo in un film di Rossellini, Lizzani o De Sica, dalla comoda poltrona di un cinema del centro.

Chiamare in causa le stesse disattenzioni pan-industrialiste del Pci e del sindacato nella tardiva formazione di una coscienza ecologica contemporanea, già negli anni Cinquanta e Sessanta legata alla prevenzione delle malattie professionali e alla tutela dell’ambiente urbano, fa trasparire in Italo Calvino non solo la distanza da forme di fondamentalismo verde ante litteram, bensì evoca continue affermazioni di positivismo, se non addirittura di ottimismo verso le sorti progressive dell’umanità: ancorché non sempre magnifiche. Onorando così nel più efficace dei modi, ossia quello eterodosso e del dubbio, anche il ruolo di intellettuale organico che la militanza partigiana e la trasformazione in classe dirigente gli avevano attribuito sul campo. Ulteriori riconoscimenti da appuntargli in un panciotto già glorioso di mille medaglie fantastiche, epiche, miliari e resistenti nel tempo.

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