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Il romanzo

I libri di Jakub, mandare in frantumi la visione della Polonia prima delle spartizioni

Francesco M. Cataluccio

Il premio Nobel per la letteratura, Olga Tokarczuk, fa un viaggio verso la luce nell’ebraismo del centro Europa

A quasi dieci anni dalla sua pubblicazione in polacco (2014), e dopo quattro di faticoso lavoro per ottenere una bella e affidabile traduzione italiana (a cura di Ludmila Ryba e Barbara Delfino), esce da Bompiani il capolavoro, costato sette anni di ricerche e scrittura, del premio Nobel per la letteratura Olga Tokarczuk (1962): I libri di Jakub (Księgi jakubowe). Un ponderoso romanzo-mondo di 1.118 pagine, divise in 31 capitoli, numerate all'incontrario (“la numerazione inversa delle pagine è un tributo ai libri scritti in ebraico, ma vuole anche ricordarci che ogni ordine è questione di abitudine”). Un grande viaggio con decine di personaggi e storie, un po’ vere e un po’ inventate, scritto con una maestria, una documentazione e un’acutezza sorprendenti, “attraverso sette confini, cinque lingue e tre grandi religioni, senza contare le piccole” (come recita il sottotitolo). Con questo libro infarcito di inserti epistolari, Olga Tokarczuk realizza la sua aspirazione a una letteratura in movimento, necessaria perché “ciò che non si muove è soggetto alla disintegrazione, alla degenerazione e a ridursi in cenere, mentre ciò che si muove potrebbe durare addirittura per sempre”. Infatti, in uno dei suoi migliori romanzi, Bieguni (2007; I vagabondi, Bompiani 2019), la scrittrice polacca parlava di una specie di setta di mistici vagabondi convinti che il Male aggredisse gli uomini nel momento che stavano fermi. La salvezza consisteva nel muoversi incessantemente. Tokarczuk sostiene però di non scrivere romanzi storici perché il romanzo storico non esiste: “La finzione è in qualche modo più forte della realtà, e i suoi personaggi più veri di quelli vivi. Questo è il grande segreto della letteratura”. 

I libri di Jakob fa riferimento a un episodio importante e controverso della storia ebraica, e non solo, nel centro Europa, legato all’eresia di Jakob Joseph Frank (nato Jakub Lejbowicz: 1726-1791). Frank si considerava la reincarnazione dell’autoproclamatosi Messia, il mistico e qabbalista ebreo ottomano Sabbatai Zevi, sul quale Gershon Scholem, nel 1957, scrisse un fondamentale studio: Šabbetay Sevi: il messia mistico 1626-1676 (a cura di Michele Ranchetti, Einaudi 2001). Lo pseudomessia Zevi (nato a Smirne nel 1626 e morto a Dulcigno nel 1676) già in gioventù si formò a poco a poco la convinzione di essere l’atteso Messia, il cui avvento era da molti sperato per l’anno 1648, poi nel 1666 si convertì, forse perché minacciato di morte, all’islamismo. I suoi seguaci più fedeli, per superare lo choc, elaborarono una dottrina per cui questa apostasia confermava la sua qualità messianica: essa era un’apostasia necessaria perché il Messia doveva salvare il mondo attraverso l’errore, gettandosi a capofitto dentro l’impurità da redimere. Centinaia dei suoi seguaci lo imitarono, convertendosi in massa all’islam, o al cattolicesimo, restando però interiormente ebrei. Nel mondo della diaspora, soprattutto orientale, questa confusione dottrinale provocò un diffuso disorientamento, che non arrestò però la fascinazione verso il messianismo. 

Nel secolo successivo, Jakub Frank (Karolivka, Ucraina, 1726- Offenbach am Main, 1791) sostenne di essere la reincarnazione di Zevi e anche del Re David. La sua predicazione rigettava la Torah e considerava validi solo gli insegnamenti della Qabbalah e dello Zohar, anche perché non in contraddizione con la dottrina cristiana della Trinità. Nel 1756, la corte rabbinica di Satanów condannò lui e i suoi seguaci per esser andati contro le leggi della morale ebraica e il congresso dei rabbini, tenutosi a Brody, promulgò una scomunica per eresia. Presentatosi come un perseguitato dagli ebrei, Frank ottenne l’appoggio di alcuni ambienti delle gerarchie cattoliche polacche e arrivò a farsi battezzare a Leopoli il 17 settembre del 1759, e di nuovo a Varsavia, il giorno successivo, con il re Augusto III come padrino. Poi Frank finì i suoi giorni sotto l’ala protettrice dell’Impero Asburgico e a stretto contatto con gli ambienti massonici, che lo introdurranno, assieme alla figlia Ewa, presso l’imperatore Giuseppe II interessato come la madre Maria Teresa ad “assimilare” gli ebrei. I “franchisti” hanno avuto comunque una notevole importanza anche nei secoli successivi, contribuendo all’emancipazione ebraica e alla assimilazione di una parte di loro, più benestante. Invece, dalla delusione per gli esiti del movimento frankista nacque, tra le classi ebraiche più povere, un ben più diffuso movimento di rinnovamento spirituale dell'ebraismo ortodosso, il Chassidismo, per opera del taumaturgo e kabbalista Yisrāēl ben Ĕlīezer (meglio conosciuto come il Ba’al Shëm Töv).

Il libro è ambientato nell’est della Polonia, nella Podolia (oggi parte dell’Ucraina), nel periodo finale della Confederazione polacco-lituana che, dal 1569 al 1795, vide unite in uno stato sovrano Polonia e Lituania: un mondo nel quale cattolici, ebrei e musulmani convivevano, pur non senza conflitti e che fu spazzato via dall’alleanza tra l’Impero russo e quello austriaco. Accanto all’eretico Frank nel romanzo compaiono una serie di personaggi storici come: la poetessa barocca Elżbieta Drużbacka; la politica aristocratica Katarzyna Kossakowska (protettrice di Frank e i suoi seguaci); il benedettino Benedykt Chmielowski (1700-1763), autore di una delle prime enciclopedie polacche (Nowe Ateny albo Akademia wszelkiej scjencji pełna, Leopoli 1754–1756), e l’avventuroso poeta e polemista religioso Antoni “Moliwda” Kossakowski. Nella parte finale, ambientata in Austria, entrano in gioco anche Mozart, Kant, Haydn, Moses Mendelsshon e Casanova.

Tokarczuk mostra bene come il filone del messianismo ebraico di quel tempo fu attraversato da una forte vena esoterica, secondo la quale il mondo terrestre non è creato dal “Dio vivo e buono”, ma da una potenza del Male, che ha imprigionato le scintille divine nella prigione maligna della materia. Per questo “Dio può essere amato anche con l’impulso malvagio” (Mishnah, Berakhot, IX, 5). La “discesa” (soprattutto sotto forma di sfrenatezza sessuale) era necessaria all’ascesa. La missione del Messia sarebbe proprio quella di liberare le scintille divine dalla materia. Jakob Frank, il protagonista del romanzo, viene raccontato attraverso i rabbini che lo avversarono, i cattolici che guardarono a lui con curiosità, ma soprattutto i suoi seguaci: ebrei che cercavano risposte e certezze nella confusione e nel disorientamento di quel tempo, nel quale altrove trionfavano le idee illuministiche con le loro contraddizioni: “Ciò che è ben illuminato getta un’ombra. (...) L’Illuminismo inizia quando l’uomo perde la fede nella bontà nell’ordine del mondo. L’Illuminismo è un’espressione di sfiducia”. Questi ebrei orientali sono persone insoddisfatte della religione tradizionale dei rabbini che invitano a sopportare le violenze e le discriminazioni avendo fiducia nella venuta futura del Messia trionfante: “Dio ci ha creato con gli occhi davanti e non dietro la testa. Il che significa che l'uomo deve occuparsi di quel che sarà e non di quello che è stato”. I shabbtaizeviani e i frankisti credono invece in un Messia dolente, quello caduto nel basso, perché solo dall’infimo si può accedere al supremo: “Credono nel Messia straccione, già arrivato quasi cent’anni fa. Il mondo è già stato salvato anche se a prima vista forse non si nota, ma coloro che lo sanno si richiamano a Isaia. Ignorano lo Shabbat e si danno all’adulterio”. Molto drammatico è il momento quando Frank e i suoi seguaci verranno condannati, una delle molte volte, dalle gerarchie rabbiniche nella Sinagoga di Leopoli dal rabbino Rapaport. Tra i seguaci di Jakub Frank c’era un rapporto strettissimo, quasi una fusione continua e rinnovata: “Li lega la saliva e il seme, non solo il sangue”. Come in tutte le sette che si rispettino, Jukub è un assatanato circondato da donne con le quali ha svariati rapporti sessuali (“quelle che sono state con lui affermano che Jakub ha due peni...”). 

I libri di Jacob manda in frantumi la visione idealizzata della Polonia prima delle spartizioni: “La Polonia è un paese dove la libertà religiosa e l’odio religioso s’incontrano in egual misura. Da un canto gli ebrei possono praticare la loro religione come vogliono, hanno certe libertà e una giurisdizione propria. Dall’altro invece l’odio nei loro confronti è così grande che la parola stessa ebreo è tenuta in spregio e i buoni cristiani l’adoperano come un'imprecazione”. Dell’epidemia di peste, ad esempio, vengono naturalmente accusati gli ebrei. Quegli ebrei che non sono più soltanto dei poveri errabondi, oppure sapienti medici e religiosi, ma stanno dando vita a una diffusa classe media: “Ormai è pieno di ebrei ovunque, manca poco e ci mangeranno crudi. I signori nobili non hanno voglia di lavorare e di prendersi cura delle proprie tenute, allora le danno in affitto agli ebrei, mentre loro fanno la bella vita nella capitale. Qui c’è un ebreo esperto di ponti, lì ce n’è uno che amministra terreni, là un altro che cuce scarpe e vestiti, l’intero artigianato è in mano a loro”. I libro è sembrato a molti una sorta di “anti Sienkiewicz” (l’autore del retorico e celebre romanzo nazionale Quo Vadis e della patriottica Trilogia). Per questo è stato acclamato da critici e lettori, ma è stato violentemente attaccato da alcuni circoli nazionalisti polacchi e Olga Tokarczuk è diventata l’obiettivo di una campagna di odio sui social.

Iniziando con la ricerca di libri eretici, tra continui colpi di scena, disquisizioni erudite sulla religione ebraica e i suoi diversi interpreti e manipolatori, cocenti delusioni, conversioni più o meno opportunistiche, si arriva senza fatica alle conclusioni che riassumono perfettamente il senso di tutta l’opera: “Non c’è alcun dubbio che il mondo è costruito di oscurità. Ora ci troviamo dalla parte dell’oscurità. E’ scritto tuttavia che chi si affaccia sulle questioni dei Messia, sia pure di quelli falliti – anche soltanto per raccontare la loro storia – sarà trattato come colui che studia gli eterni misteri della luce”.

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