Una scena dal film di Aleksey German del 2013 che adatta "E' difficile essere un dio"

il libro

La fantascienza dei fratelli Strugackij narra il dolore di chi sbatte contro la storia

Nicola Contarini

In "È difficile essere un dio", oggi per la prima volta tradotto dall'originale russo per Marcos y Marcos, i due scrittori sovietici seguono un esploratore terrestre su un pianeta lontano, dove una grigia dittatura perseguita intellettuali e artisti. Un'amara parabola su tirannia e progresso

Di che colore è la tirannia? Arkadij e Boris Strugackij rispondono: grigio. Lo raccontano in E’ difficile essere un dio, il romanzo di fantascienza che i due fratelli pubblicano in Unione sovietica nel 1964 e che oggi si può leggere tradotto per la prima volta dall’originale russo da Diletta Bacci con la cura di Paolo Nori per Marcos y Marcos – risale all’89 la prima edizione italiana, ma era la traduzione di una traduzione. Il dio in questione è Anton/Don Rumata, esploratore proveniente da una Terra futura dove il comunismo si è realizzato e ha instaurato la pace universale. E’ in missione su un pianeta lontano la cui società è ferma al medioevo dal punto di vista socio-economico. Diremmo anche dal punto di vista culturale, se credessimo alla favola del medioevo (quello storico) come età dell’oscurantismo. Tanto falso per quanto riguarda la nostra storia, questo giudizio però è vero per il pianeta Arkanar, organizzato in un feudalesimo brutale, scosso da una caccia agli intellettuali, ai poeti, agli scienziati: I “mangiatori di libri”. Anton è in incognito, i panni di Don Rumata sono quelli di un nobile dedito a duelli e spacconate varie. Indossa un cerchietto d’oro, la gemma nasconde una telecamera che trasmette immagini alla terra.

La missione a cui Anton prende parte è di pura osservazione: guai a interferire con il naturale corso della storia sociale e politica di Arkanar. E sì che lui ne avrebbe una gran voglia: la miseria, il terrore, la violenza in cui vivono gli abitanti gli risulta insopportabile. Con la tecnologia in suo possesso, ma soprattutto con il supposto progresso morale di cui è portatore, potrebbe aiutarli a uscire dal pantano. E a liberarsi delle Camicie grigie, gli squadristi al servizio del ducetto locale. Poco importa che ci sia sotto una trama per sostituirle con le Camicie nere in una “notte dei lunghi coltelli”: è un risvolto da parte degli Strugackij che suona come dovuto. Dopotutto pubblicano in Unione sovietica, i cattivi devono essere i fascisti: “In fondo c’era da immaginarselo, pensò Rumata. Là dove il grigiore trionfa, al potere vanno sempre i neri”. In quei primi anni 60, i fratelli scrittori non erano ancora stati attenzionati dalla censura che in seguito avrebbe impedito integralmente la pubblicazione di diversi loro romanzi – il celebre Picnic sul ciglio della strada da cui Tarkovskij ha tratto Stalker è stato ripubblicato senza tagli solo dopo la caduta dell’Urss. Eppure, se E’ difficile essere un dio fu inizialmente ideato come un’avventura sullo stile dei Tre moschettieri (il gusto picaresco è ciò che rende la sua lettura un gran piacere), prese la forma definitiva solo dopo “l’affare del Maneggio”: Kruscev, visitata una mostra d’arte al Maneggio di Mosca, era rimasto disgustato dalla sua “decadenza” e aveva avviato una campagna per aumentare la stretta del Partito comunista su artisti e intellettuali.

Ma il vero affondo contro il mondo sovietico è più sottile della semplice allegoria, tutto sommato valida ancora oggi in una Russia che impazzisce per il rosa Barbie mentre il presidente Vladimir Putin la vorrebbe grigia. Gli Strugackij lanciano questo affondo, chissà quanto consapevolmente, mettendo in scena la tragedia personale di Anton/Rumata: quella di un essere superiore incredulo di fronte ai rivolgimenti senza senso della storia. La citazione di prima prosegue infatti: “Oh, voi storici, vi infilzerei dal primo all’ultimo…”. Al diavolo la dialettica hegelo-marxiana, su Arkanar: vaglielo a spiegare, alla storia, che sta passando dal feudalesimo al totalitarismo di stampo novecentesco senza attraversare prima la rivoluzione industriale e quella borghese. Che poi è esattamente ciò che accadde in Russia, dove l’industrializzazione la portò il comunismo, con buona pace delle “contraddizioni interne” al sistema capitalistico. La storia va per conto suo e non può che urtare dolorosamente con chi crede alle magnifiche sorti e progressive. Quando Anton/Rumata apre gli occhi sulle masse schiave e dannate di Arkanar, lo fa su quelle sballottate dai rivolgimenti sociali e politici di ogni tempo, che i tiranni più capaci sanno accecare con la favola del progresso illimitato.

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