La premier Giorgia Meloni e il ministro Piantedosi davanti ai giornalisti (LaPresse) 

un dialogo

Il dominio del quotidiano, che divora l'importante nella politica e nei giornali

Sabino Cassese

Un incidente, un matrimonio vip, l'ultima trovata di un “influencer” attirano più attenzione di problemi che sono lì da tanto tempo. Le notizie sono troppo effimere nei media, lamenta lo storico. L’informazione non può avere un ruolo politico, ribatte il giornalista

Il quotidiano divora l’importante nella politica e nei giornali. Un incidente stradale. Un matrimonio tra due persone in vista. L’uscita di un “influencer”.  Questi attirano più attenzione di problemi che sono lì da tanto tempo. Eventi e racconti effimeri prendono il posto di problemi importanti. Sentiamo che ne pensano un giornalista e uno storico.

   
Giornalista. I media fanno il loro mestiere. La parola giornale viene da giorno.

 
Storico. Ma vi sono problemi che stanno lì da tempo, sono accaduti e continuano ad accadere e sono più importanti. Ad esempio, si parla tanto delle nomine nelle partecipate, ma chi si chiede quante sono le partecipate, perché le nomine debbono essere fatte a scadenza così ravvicinata, quale potere viene così esercitato fuori di ogni controllo, se è proprio necessario che lo Stato continui a partecipare in tante società, quante persone debbono essere nominate dal governo, quali sono i criteri per le nomine? Possibile che i media abbiano prestato attenzione soltanto alle nomine dei presidenti e degli amministratori delegati e non alle 610 persone che fanno parte degli organi sociali delle partecipate centrali? C’è qualcuno che ha valutato il numero degli addetti, che sono 908.571, delle partecipate, che sono 7.969?

 
Giornalista. Ma questo è compito dello storico, perché è una funzione in qualche modo retrospettiva.

 
Storico. Il fatto che le partecipate stiano lì da tanto tempo e che, in generale, vi siano fatti che sono accaduti da tempo, non toglie che siano meno quotidiani.


Giornalista. La notizia per il giornalista è quella che è cominciata ad accadere nel giorno precedente o in epoca vicina.


Storico. Tutti hanno sott’occhio la scarsa capacità dello Stato. Ci si lamenta di essa ogni giorno. E’ il fatto quotidiano. Le cause non lo sono. Il fatto porta con sé le cause, che sono antiche, e che vanno indagate.

 
Giornalista. I giornalisti riferiscono, non analizzano.


Storico. Prendo un altro esempio: la scuola. Gli uomini dei media hanno anche loro figli. Possono quindi accorgersi della desertificazione delle competenze, della perdita di qualità e di prestigio della scuola, degli effetti di questo sui loro più giovani colleghi. Queste non sono anche esse notizie?


Giornalista. Il giornalista è al seguito della politica; è questa che detta i temi, stabilisce le priorità. Il giornalista segue temi ed attualità.


Storico. Questo rende i media puri seguaci. Si differenziano non per la scelta dei temi, ma solo per gli atteggiamenti che prendono rispetto ai temi. Il “la” lo dà la politica, e, se questa non vede o non sa vedere, così anche i media non vedono e non sanno vedere.


Giornalista. I media sono lo specchio della società e della politica, che cosa possono fare se non rispecchiare la società e la politica?


Storico. Ma i media sono gli strumenti dell’opinione pubblica. Riconosco che questa espressione è terribilmente vaga. Ma bisogna tener conto della fine dei partiti politici come educatori collettivi e come tramite tre società e Stato. Questo vuoto richiede un impegno proprio dei media.


Giornalista. Così vuol dare una funzione salvifica ai media, farli diventare essi stessi mediatori tra la società e lo Stato.


Storico. Non voglio dire che sono i soli. Vi sono i sondaggi, che fanno conoscere e trasmettono messaggi. C’è il web che rende autonomo il pubblico dei mediatori. Ma proprio il web ha, paradossalmente, bisogno di mediatori, perché la massa di notizie che ivi si scarica ha bisogno di interpreti e gli interpreti sono proprio gli uomini dei media.


Giornalista. E’ proprio il rapporto “many to many” che disintermedia i giornali, la radio e la televisione, rendendoli superflui o mettendoli in un angolo.
Storico. Proprio questo dovrebbe preoccupare e spingere i media a riscoprire un ruolo “educativo”, riportando l’attenzione sui problemi di fondo.
Giornalista. E come potrebbero farlo?


Storico. Faccio qualche esempio. Il populismo spinge a un ruolo più importante del popolo, ma è ormai è chiaro che questo ruolo può essere giocato solo da una società più istruita. Quindi bisogna vedere l’istruzione come mezzo di “people’s empowerment”.


Giornalista. Un tipico ruolo politico.


Storico. Perché, crede che i giornali, anche con il loro silenzio sui problemi di fondo, non giochino un ruolo politico?


Giornalista. E gli altri esempi?


Storico. La sanità. Sapevamo che il tallone d’Achille era la rete di base, la cosiddetta sanità territoriale. Ora, con la pandemia, l’abbiamo toccato con mano. Il ministero della Salute ha progetti in proposito. Perché non se ne discute?


Giornalista. Ma questo non è responsabilità del ministero che non sottopone a pubblico dibattito diagnosi e prognosi?


Storico. Sì, in parte lo è. Ma, se i media prendessero l’iniziativa, forse si uscirebbe dalle segrete stanze. E lo stesso vale per la protezione sociale.


Giornalista. Perché? Non è un tema già abbastanza dibattuto?


Storico. Sono discussi solo gli aspetti di superficie. Non si discute il problema di fondo, lo squilibrio storico: la protezione sociale è forte per gli anziani, debolissima per i giovani. Questo diventa più urgente per le giovani, in una fase di drammatica denatalità.


Giornalista. Ora vedo la connessione tra notizia quotidiana (sempre meno culle) e il problema storico (non si aiutano le famiglie di giovani e specialmente le madri).


Storico. Continuo con un ultimo tema, che mi sta a cuore, e che è legato a quello precedente. La popolazione giovanile diminuisce, vi sono sempre meno studenti, il fabbisogno di personale addetto ad alcuni servizi è minore. Invece di roboanti annunci di migliaia di nuove assunzioni, dovunque, ma specialmente nella scuola, non si potrebbero “girare” le relative risorse agli attuali addetti, a partire dagli insegnanti, in modo che siano meglio retribuiti e che i loro posti ridiventino attrattivi?


Giornalista. Questo è il tema di un vigorosa azione di governo.


Storico. Sì, ma prima è il tema di un dibattito pubblico suscitato dai media, se questi non vogliono andare sempre a rimorchio.


Giornalista. Lei come configurerebbe le iniziative dei media?


Storico. Chiedere a uno o due giornalisti di dedicare al tema un articolo. Poi sentire altre voci, quelle degli esperti, degli addetti ai lavori. Successivamente, far parlare la burocrazia (se ne parla sempre male, ma anche lì vi sono persone eccellenti). Quindi, convincere e spingere i politici a interessarsene.


Giornalista. Dove sono i partiti, in questo disegno? Non dovrebbero essere loro i proponenti?


Storico. Ho scarsa fiducia. Ma, se l’opinione pubblica si muove, capiranno. Penso al ruolo di utopisti come il Marx del 1848 o il Beveridge del 1942, o il Roosevelt di quegli stessi anni. Sono loro che hanno configurato le grandi realtà e idealità del nostro tempo, donando possibilità di istruzione gratuita a tutti e almeno 20 anni di vita agli esseri umani, grazie a quella che veniva chiamata la libertà dal bisogno o l’eguaglianza in senso sostanziale.


Giornalista. Questo richiede anche una migliore preparazione culturale della classe politica.


Storico. Alla fine si giunge a questo; se si presta attenzione a questi problemi oggi, può darsi che tra vent’anni vi sia una classe politica anche più idonea alla sua funzione.


Giornalista. Ma la politica, intesa come tattiche e alleanze, oscura le politiche, intese come indirizzi. Nello spazio pubblico sono pochi quelli che riescono a decifrare gli orientamenti pubblici che riguardino l’intervento nell’economia, la sanità, la scuola. L’hanno osservato alcuni anni fa tre sociologi, tra cui Luigi Bobbio, in un articolo proprio intitolato “Quando la politica oscura le politiche”, pubblicato nel 2015 su “Stato e mercato”. Essi osservavano: “Sappiamo che gli avvenimenti legati alla politica godono di un’ampissima copertura mediatica. Ma possiamo dire lo stesso dell’informazione sulle politiche? Un cittadino che desiderasse tenersi informato attraverso i media è in grado di capire quali misure sono in discussione, vengono adottate e attuate, e quali effetti producono?”


Storico. E qui veniamo a un’altra responsabilità, specialmente dell’informazione primaria. Questa non sa attingere alle fonti principali. Faccio qualche esempio. Quanti giornalisti dei media o delle agenzie di stampa leggono sistematicamente i rapporti della commissione parlamentare per la legislazione, gli studi dell’Istituto nazionale di statistica, le relazioni della Corte dei conti, i dati della Ragioneria generale dello Stato, oppure consultano sistematicamente il sito della presidenza del Consiglio dei ministri o dei principali ministeri? C’è un grande iato tra l’enorme quantità di notizie fornite dei poteri pubblici in forme scientificamente controllate e la capacità di lettura e interpretazione da parte degli addetti ai media. Di conseguenza, tra i media spesso circolano informazioni sbagliate. Inoltre, proprio i media potrebbero essere un fattore di stimolo nei confronti della produzione di dati da parte dei poteri pubblici, perché questi migliorino il loro “output”. Faccio un esempio: dai media dovrebbe venire lo stimolo alla Ragioneria generale dello Stato perché raccolga dati più analitici sui dipendenti pubblici. Conosciamo il loro genere, ma non sappiamo molto sulla loro provenienza territoriale e sulla loro formazione. Se ci fosse una maggiore attenzione da parte dei media per i dati ufficiali che vengono comunicati a tutti dai poteri pubblici, si potrebbero anche migliorare, cioè arricchire, le informazioni che vengono sistematicamente raccolte e distribuite. 

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