Critica del progresso

Non scomodate Marx: sono le destre che vincono a dover cambiare

Alfonso Berardinelli

Perché i riferimenti al "Capitale" (o alle opere di Lenin) stanno generando un grande malinteso. Oggi sono i partiti di governo a dover fare quello che le sinistre sconfitte non possono fare

Con una copertina trionfalistica, molto più compiaciuta che spiritosa, il penultimo numero di Internazionale spara l’immagine di Karl Marx in camicetta green con tanto di distintivo militante, a maniche rimboccate (è un operaio?) e avambracci tatuati di multicolori biomorfismi vegetali e la scritta Das Kapital, tanto per ricordare che quel gioviale, esuberante barbone è anche l’autore di una celebre opera di teoria sociale che dall’Ottocento al Novecento ha cambiato la cultura e la politica del mondo. Perché questo? Ma per farci sapere che “aveva ragione Marx” e non i suoi critici e detrattori: infatti (sottotitolo) “il capitalismo funziona male e i suoi problemi peggiorano con la crisi climatica”. Ma non basta: anche i difensori del capitalismo propongono riforme che si ispirano a Marx. Insomma, Marx è stato un maestro di ecologismo e va riscoperto per questo.

 

Non c’è male come minaccia rivolta ai signori del capitalismo mondiale che se ne fregano dei problemi ambientali e della distruzione della natura terrestre, aria, acqua e terra. Sembra che quei signori non riescano proprio a capire che la pretesa di far sempre crescere produzione, consumi e profitti è invece, oltre che un’illusione, un disastro a causa dei suoi inevitabili effetti. Nel mondo reale non esiste niente che non abbia limiti reali e da rispettare; chi lo ignora, consapevole o no, inclina al crimine. Un’economia, per essere sana, deve illimitatamente crescere? La crescita deve essere il nostro primo imperativo economico? Si rendono conto i nostri politici del linguaggio che usano e della logica che esso esprime? Finora la crescita del capitalismo che uso ha fatto della ricchezza accumulata? Ha liberato con il suo “progresso” il genere umano dalla fame, dalla disoccupazione, dalla mortalità infantile? Non ha fatto crescere, parallelamente, anche la distruzione della biosfera terrestre?

 

Tutte cose che ormai tutti sanno senza doverle imparare da alcuni tardi e marginali scritti di Marx. La direzione di Internazionale, forse pensando a una rinascita del Pd come partito neomarxista, non si è forse resa conto che per Marx era molto importante la liberazione delle “forze produttive” dai “rapporti sociali di produzione” che ne limitavano le potenzialità. Dopo mezzo secolo di ecologismi radicali o moderati (che i marxisti hanno spesso denigrato, se non deriso) e dopo un secolo e mezzo di socialismo riformistico, non c’era bisogno di “tornare a Marx”. Ho perfino sentito dire che Gianni Cuperlo, ora candidato a dirigere il nuovo Pd, si è messo a rileggere Lenin. Un gesto simbolico? Pubblicitario? Inconsulto? Dissennato? Per farsi coraggio, per darsi forza si ingoiano degli eccitanti. Ma è eccitante o deprimente una presunta riscoperta di Marx e Lenin?

 

In realtà l’ecologismo fa parte del buon senso comune di sinistra e ormai anche di destra. Sono i russi, i cinesi e gli islamici a ignorarlo, in sintonia con Trump e Bolsonaro. La lotta non è per un comunismo marx-lenin-heideggeriano, quanto invece perché i nostri figli e nipoti possano abitare in futuro il nostro pianeta in condizioni relativamente, accettabilmente sicure. Tutto è partito, a quanto pare, dal best seller di un giovane filosofo giapponese che ha studiato Marx a Berlino, scoprendo così quello che Papa Bergoglio ripete da anni ispirandosi a san Francesco. Senza dubbio Marx è un grande classico ottocentesco della sociologia critica, colui che ha speso metà della vita a studiare col massimo di scientificità, ispirato da Darwin, struttura e storia della nuova società borghese fondata sul capitale. Da quella scienza ha spremuto per deduzioni teoriche e per giusto umanitarismo l’idea di una rivoluzionaria lotta di classe proletaria che avrebbe fatto finalmente coincidere società e stato. Quello che ne è praticamente venuto fuori in Russia e in Cina è abbastanza noto. E qui mi fermerei.

 

L’interessante articolo di Internazionale, dopo essersi annunciato con l’icona carnevalesca del povero Marx, si dedica a diffondere qualche utile informazione. Accanto al giovane neomarxista giapponese Kohei Saito, diversi altri studiosi nel mondo si dedicano a elaborare virtuosi piani di riforma del capitalismo, praticabili (si dice) a breve termine. I loro nomi (cercare in rete) sono quelli di Adam Tooze, Mariana Mazzucato (definita dal Times “l’economista più temibile al mondo”), Robert Habeck, Tim Jackson, Robert Solow, Daniel Freitag, Eva von Redecker, Minouche Shafik: tutti d’accordo sul semplice fatto che, benché non da solo, “il capitalismo distrugge la vita” se non viene corretto con “nuove regole e riforme pensate a partire dalle persone e non dal mercato”. Senza dimenticare quello che si leggeva fin dal 1972 nel famoso manifesto del Club di Roma, “I limiti dello sviluppo”. 

 

In teoria niente di nuovo. Come al solito, difficile è la pratica. Per esempio: dov’è il “soggetto sociale” di questa trasformazione? Quello che per Marx un secolo e mezzo fa era il proletariato operaio… La sconfitta politica di questa classe, accompagnata dalla sua quasi dissoluzione sociale in una nuova piccola borghesia, nonché dal rapido declino culturale dei suoi partiti, ha portato negli ultimi decenni del Novecento a un madornale malinteso. La fine della lotta di classe per il socialismo e il comunismo è stata diffusamente interpretata come fine dell’anticapitalismo. Sembrò che il capitalismo non potesse più essere oggetto di critica, dato che un’alternativa rivoluzionaria era sia impraticabile sia temibile per tutti. Se i partiti socialdemocratici non si fossero indeboliti fino a crollare, si poteva ancora parlare di quella evoluzione positivamente riformatrice odiata dalla sinistra radicale perché “complice del sistema”.

 

Ma le grandi migrazioni e l’allarme che hanno provocato nelle popolazioni dell’occidente più ricco, hanno spostato a destra gli elettori. Oggi, dato che le destre tendono a vincere più che in passato, sono le destre a dover cambiare. Dovranno frenare le spinte antisociali e antidemocratiche nel capitalismo e far funzionare meglio lo stato per avvicinarlo ai cittadini delusi dalle politiche di governo, spaventati dal futuro del mondo e maltrattati da ogni tipo di problemi economici. In una liberaldemocrazia, le destre di governo hanno il dovere di fare anche ciò che le sinistre sconfitte non possono fare. Mettiamo Marx fra due parentesi: la tradizione ebraico-cristiana e la Costituzione repubblicana.