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Anni di ossessione

La mostra su Proust che fa d'antidoto ai luoghi comuni sulla memorialistica

Antonio Gurrado

Alla "Fabrique de l’oeuvre” della Bibliothèque Nationale de France, il visitatore può leggere infinite variazioni a cui la Recherche è stata sottoposta. È proprio nella riscrittura che si cela il segreto del parigino: mentre tutti sanno dell’accumulo sulla lunga distanza, dimenticano che invece era bravissimo a tagliare

Pensate se avesse scritto: “Al tempo di quella mattinata di cui voglio fissare, non so perché, il ricordo, ero già malato, stavo sveglio tutta la notte, mi coricavo al mattino e dormivo di giorno. Ma allora mi era ancora molto vicino un tempo che speravo di veder tornare, e che oggi mi sembra essere stato vissuto da un’altra persona, in cui mi mettevo a letto alle dieci di sera e, con qualche breve risveglio, dormivo fino all’indomani mattina”.  Oppure: “Negli ultimi mesi che passai a Parigi prima di andare a vivere all’estero, il medico mi fece condurre una vita riposante. Coricato di buonora, talvolta mi addormentavo velocemente”. O anche: “Durante gli ultimi mesi che passai nella periferia di Parigi, prima di andare a vivere all’estero, il medico mi fece condurre una vita riposante. La sera, mi coricavo di buonora”.

Sono gli incipit di tre Recherche alternative, e li potete leggere nella mostra Marcel Proust. La fabrique de l’oeuvre” alla Bibliothèque Nationale de France. Tre di infinite versioni possibili, che il visitatore può inseguire scrutando sulla mole di manoscritti (grazie alle trascrizioni: la grafia di Proust è degna di una famiglia di medici) le capillari variazioni a cui il più grande romanzo francese è stato sottoposto in anni di ossessione. Affiancati su una teca ad altezza d’uomo, tre giri di bozze mostrano la penna di Proust insinuarsi ora per assestare un sinonimo, ora per aggiungere una digressione; dai manoscritti calano, dispiegati per un metro abbondante, i paperoles incollati dove germinano sempre nuove riflessioni; smilzi quadernetti larghi poco più di tre dita grondano inchiostro che qua e là sbava a causa dell’abitudine di scrivere a letto; fa quasi tenerezza vedere, in questo lavorio interminabile, la mano del genio emendare l’occasionale refuso che deturpa la messa in pagina.

Più che su Proust – della cui morte il 18 novembre ricorre il centenario – la mostra parigina è dedicata alla riscrittura: un’azione continuativa senza la quale la Recherche sarebbe stata un romanzo qualsiasi, magari premiato (Proust insisté coi giurati per vincere il Goncourt, quando era a meno di metà dell’opera), ma non un capolavoro in cui notare ogni volta qualcosa di nuovo e di più bello. E’ una mostra che riesce a tenere insieme la divulgazione per il principiante e le spigolature per lo specialista, e che può essere vista come libretto d’istruzioni per aspiranti scrittori, come antidoto all’autofiction più piatta. La riscrittura viene presentata infatti come operazione che non si limita al ribaltamento delle parole ma contempla soprattutto la capacità di includere nel testo riferimenti stratificati. La colonna sonora, i quadri, gli abiti, le noterelle sulla scienza o sulla mitologia sottolineano con discrezione che a fare grande la Recherche non è il fatto che il protagonista dica “io” ma che attorno a quel pronome fiorisca un caleidoscopio (ce n’è anche esposto uno) di dettagli rilevanti di per sé, non perché destinati a colorire un’autobiografia vera o fittizia. Ritenuto ombelicale dai superficiali, Proust sa invece inglobare nel romanzo una miriade di elementi esterni imprevisti, da un profumo sorprendente allo scoppio della grande guerra. 

Inoltre, a riprova del fatto che non si scrive mai per sé, ogni singola sala della mostra, ciascuna dedicata a un volume dell’opera, presenta il piano della Recherche com’era in quel momento. Ne emerge che all’inizio Proust progettava una trilogia, certo, e che ogni successiva variazione strutturale è stata concordata con gli editori allo scopo di incollare il lettore al capolavoro, non di sbrodolare a piacimento. Ed è nella riscrittura che si cela il segreto della bravura di Proust: mentre tutti sono distratti dalla sua abilità nell’accumulo e sulla lunga distanza, dimenticano che invece era bravissimo a tagliare, sfrondando dei pesi morti le tremila pagine della Recherche. Perciò quei goffi incipit tentati sui manoscritti, alla fine, si riducono all’essenziale: “Per molto tempo, mi sono coricato di buonora”.

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