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FACCE DISPARI

Claudia Losi: “L'ecologia s'impara dall'immaginario medievale”

Francesco Palmieri

L'artista e antropologa piacentina bordeggia gli spazi dove la realtà incontra la finzione. Intervista sul borgesiano “Libro degli esseri immaginari”

Ignoriamo il senso del drago, scrisse Borges, ma il drago appare a tutti gli uomini in epoche e latitudini diverse per un comune clic dell’immaginazione. Né più né meno del senso della balena, rincorso nel delirio etimologico di Melville, che fa del cetaceo – proprio come il drago – una creatura di confine tra la realtà e la mente, tra l’umano e l’animale. Lo sapevano i redattori dei bestiari medievali, i demonologi che compilavano i grimori, lo spiegava Giambattista Della Porta nella “Fisionomia dell’uomo” e i favolisti che raccontarono di donne volpi, sapienti serpenti, gatti scaltri e ragionanti. Claudia Losi, artista e antropologa piacentina, bordeggia gli spazi dispari dove l’immaginario e la realtà s’incontrano e s’interrogano nelle forme plastiche perché, nel verbo della contemporaneità, difficilmente possono farlo più solo con le parole.

Sculture di balene, pangolini e bestie arcaiche su cui s’innestano elementi umani. Un borgesiano “Libro degli esseri immaginari” dove ogni installazione è una pagina?

Uso l’arte come riflessione sulle possibili forme del vivente e sulle loro combinazioni. Sul rapporto arcano che persiste tra uomini e animali a dispetto degli ultimi duecento anni, in cui lo spazio immaginario è sotto assedio perché i desideri vengono indirizzati al semplice possesso delle cose, che possiamo prendere ma in cui non ci riusciamo più a specchiare.

A quali culture si richiamano i suoi allestimenti?

All’immaginario che ha per millenni accomunato oriente e occidente. Nel 2016 alla Triennale di Hangzhou realizzai figure che si riferivano al bestiario cinese, ai viaggiatori che attraversando terre incognite s’imbattevano in creature con elementi umani e animali dal significato metaforico leggibile sotto ogni latitudine. E poi m’ispiro ai bestiari occidentali, nei quali per esempio si credeva che le orse non partorissero piccoli già completamente formati, ma li plasmassero dopo la nascita con la lingua.

Con quali materiali lavora?

Ora sono soprattutto tessili. Nella prossima mostra, dal 30 ottobre al 10 gennaio 2023, esporrò nello spazio dei fratelli Gori a Calenzano, vicino a Firenze, trentacinque elementi cuciti con sete di vario tipo secondo la tradizione del riciclo di tessuti degli opifici pratesi. Questa “Arte in fabbrica” presenterà la mia mitologia fantastica in una stanza delle meraviglie dove trovano posto anche opere ispirate ai celacanti: pesci preistorici che non hanno dovuto mutarsi nel corso dell’evoluzione e hanno vinto la lotta contro l’estinzione grazie al perfetto adattamento a una nicchia ambientale.

L’attuale tensione ecologica esprime un recupero del rapporto immaginale con la natura o ne propizia un’ulteriore compressione?

Ne favorisce il recupero quando è calata nell’esperienza personale. Per capire un bosco bisogna passeggiarci. Non basta la consapevolezza intellettuale o statistica, ma occorre un corpo pensante per conseguire l’idea della natura. Le risposte sono già lì, il problema è come viene formulata la domanda. In questo periodo c’è molta voglia di urlare più forte. Però non basta.

Gettare il pomodoro su un Van Gogh richiama, nel bene o nel male, l’attenzione del mondo.

C’è un desiderio di assertività, una violenza del pensiero tipica di una fase di cambiamenti radicali. Non è questo il mio linguaggio. Preferisco invitare gli altri a riflettere per proporre la decifrazione di un senso ultimo.

La sensibilità contemporanea ritiene assurdi i bestiari medievali ma li sopravanza con l’antropomorfizzazione di cani e gatti, quasi fossero bambini. Forse è preferibile pensare che l’orsa modelli i figli con la lingua.

La proiezione dell’aspetto umano sugli animali è una forma di violenza che spinta all’eccesso disgusta. Al contrario, nelle figure dei bestiari c’era un riconoscimento dell’alterità delle specie: potevano aggredirti o proteggerti in uno spazio fisico e mentale che ampliava il corpo animale invece di ridurlo o annullarlo in un pet. O in una bistecchina.

Nel 2002 lei avviò un “Balena Project” realizzando una balenottera in tessuto di dimensioni reali. Ci ha scritto un libro, ha organizzato mostre, eventi. Vent’anni dopo è uscita dal ventre del mostro?

La balena è un incubo e un progetto che non ho mai abbandonato, lasciando che si modificasse con gli incontri e le iniziative che si sono succedute come se avesse una vita biologica interna. Ho seguito nel tempo la sua linea d’acqua: un’opera artistica può procere al di là dell’installazione originaria in varie forme espressive. La balena è un innesco archetipale che genera cose incredibili.

Dov’è il suo luogo naturale?

Probabilmente in un bosco. Ti siedi e guardi attorno sapendo di essere guardato ma non giudicato. Il luogo naturale è dove non senti più bisogno di essere altrove. Non devi per forza andarci: certe volte penso di camminare sull’Appennino anche nella mia casa di Piacenza.

Quali libri ha già portato o porterebbe sotto il suo albero?

Le poesie di Seamus Heaney, l’“Edda” e un volume di Carl Safina: “Al di là delle parole”.

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