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Vaccinarsi contro il virus fascista. Lezioni dal passato nell'ultimo libro di Cazzullo (con un punto da approfondire)

Giuseppe Bedeschi

La fascinazione della piccola borghesia per Mussolini. All’origine del fascismo ci sono stati gravissimi errori dei socialisti massimalisti, senza i quali esso non si sarebbe affermato

"Cent’anni fa, in questi stessi giorni, la nostra patria cadeva nelle mani di una banda di delinquenti, guidata da un uomo spietato e cattivo”. Con queste parole si apre l’ultimo libro di Aldo Cazzullo, “Mussolini il capobanda. Perché dovremmo vergognarci del fascismo” (Mondadori, pp. 349, euro 19). Un libro che elenca e descrive le malefatte di Mussolini e del regime da lui instaurato: la soppressione delle libertà sindacali e politiche, la persecuzione (spesso fino alla morte) degli avversari politici (Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Carlo e Nello Rosselli, sono solo i nomi più illustri), le infami leggi razziali, i crimini contro altri popoli (in Libia, in Etiopia), le aggressioni alla Francia, alla Grecia, alla Russia. Per più di 300 pagine Cazzullo dà una ricostruzione accurata di tutti questi crimini e misfatti.

 

C’è un punto, però, che Cazzullo sfiora appena: il vasto consenso di cui il regime fascista godette, almeno fino alla guerra di Etiopia. Questo consenso è stato riconosciuto da tutti gli storici seri che si sono occupati del fascismo: da ultimo Renzo De Felice, ma assai prima di lui Federico Chabod, che nelle sue lezioni alla Sorbona (1950) sull’Italia contemporanea disse: “Bisogna aggiungere che la coercizione non basta da sola a spiegare il fenomeno fascista. Certamente la violenza è all’origine del successo del fascismo e del suo definitivo affermarsi… [ma] sin dal principio c’erano stati dei consensi. Il regime è ora stabilito e solidamente consolidato, e tutte le previsioni azzardate sul suo conto, ancora nel 1925, si rivelano erronee”.

 

Io credo che questo aspetto del fascismo debba essere studiato attentamente, a meno che non si voglia sostenere (cosa che certamente Cazzullo non intende fare) che la maggioranza del popolo italiano improvvisamente impazzì, e si diede a una banda di delinquenti. D’altro canto, è ben noto che eminenti personalità della cultura italiana accolsero il fascismo con grande favore. Giovanni Amendola, poi martire antifascista, ancora ai primi del 1922, dunque alla vigilia della marcia su Roma, dichiarò che, dopo l’occupazione delle fabbriche, cioè dopo “il più grande tentativo rivoluzionario mai messo in atto da parte comunista in Italia”, il fascismo aveva avuto il merito fondamentale di risparmiare alla nostra patria “l’esperienza mortale del leninismo”.

 

Benedetto Croce, in una intervista al Corriere italiano del febbraio 1924, dichiarò che il centro vitale del fascismo era “l’amore alla patria italiana”, era “il sentimento della sua salvezza, della salvezza dello stato”. E aggiunse: “Stimo un così grande beneficio la cura a cui il fascismo ha sottoposto l’Italia, che mi do pensiero piuttosto che la convalescente non si levi troppo presto di letto, a rischio di qualche grave ricaduta”. Croce, poi, votò la fiducia a Mussolini, in Senato, anche dopo il delitto Matteotti. Certo, il filosofo napoletano passò poi all’antifascismo dopo la soppressione delle libertà democratiche, e nel 1925 scrisse il “Manifesto degli intellettuali antifascisti”.

 

Ma nella sua “Storia d’Italia dal 1871 al 1915”, pubblicata nel 1928, egli si espresse ancora in termini lusinghieri su Mussolini, e sia pure sul Mussolini socialista (“era sorto in quel tempo un uomo di schietto temperamento rivoluzionario, quali non erano i socialisti italiani, e di acume conforme, il Mussolini, che riprese l’intransigenza del rigido marxismo, ma non si provò nella vana impresa di riportare semplicemente il socialismo alla sua forma primitiva, sì invece, aperto come giovane che era alle correnti contemporanee, procurò d’infondergli una nuova anima, adoperando la teoria della violenza del Sorel, l’intuizionismo del Bergson, il prammatismo, il misticismo dell’azione, tutto il volontarismo che da più anni era nell’aere intellettuale e che pareva a molti idealismo, onde anch’egli fu detto e si disse volentieri ‘idealista’”. E così via, con molti elogi alla “logica” e all’“oratoria” di Mussolini).

 

Come spiegare tutto ciò? Io credo che l’analisi del nostro grande storico liberale Federico Chabod sia tuttora valida. Fu solo verso la fine del 1920, dopo l’occupazione delle fabbriche, che il fascismo si sviluppò e straripò, reclutando rapidamente 300 mila iscritti con  duemila sezioni. Poi esso si spostò nelle campagne, dove i proprietari fondiari erano desiderosi di vendicarsi dell’occupazione delle terre. Anche gli industriali appoggiarono il fascismo. Ma decisivo fu l’appoggio della piccola borghesia. Sebbene dopo il settembre 1920 lo slancio rivoluzionario fosse ormai in declino, gli scioperi continuarono e si registrarono ancora disordini, sommosse, violenze rosse.

 

“Il piccolo impiegato, l’avvocato che deve recarsi in ufficio e trova tutti gli autobus e i tram fermi, si chiede perché lo stato non intervenga per porre fine a tale perpetuo stato di disordine”. Inoltre la piccola borghesia non può tollerare l’irrisione verso la patria italiana, e gli oltraggi fatti agli ufficiali che hanno combattuto nella Grande guerra. Il fascismo utilizzò abilmente questi stati d’animo; esso fece senza dubbio gli interessi della grande industria e della grande proprietà fondiaria, ma ebbe una netta “accentuazione” piccolo-borghese.
Perché è importante questa analisi di Chabod? Perché essa ci mostra che all’origine del fascismo ci sono stati gravissimi errori dei socialisti massimalisti, senza i quali esso non si sarebbe affermato. Questa è la grande lezione che dobbiamo trarre dallo studio del fascismo; solo così potremo vaccinarci contro il suo pestifero virus.

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