Una mostra su Dante all'Interno della Biblioteca Classense di Ravenna (Getty Images) 

Le case dei libri non sono di carta - 4

La Biblioteca Classense di Ravenna è uno spazio di socialità tra libri e chiostri

Gaia Manzini

Contiene l’unico manoscritto con le commedie di Aristofane, la più completa collezione di prime edizioni dantesche: un tesoro salvato dai monaci. La Biblioteca è un convento di mezzo millennio fa che ora viene usata per le esigenze della popolazione

“Illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta”. E’ la “Biblioteca di Babele” per Borges. Per il Foglio, le biblioteche sono luoghi da scoprire, sono la storia e la cultura di chi le ha edificate e di chi le vive ogni giorno. Abbiamo affidato ai nostri scrittori un viaggio del cuore alla scoperta delle più belle biblioteche italiane. Il 13 luglio abbiamo pubblicato “Leggere nella casa di vetro” di Claudio Giunta, il 20 luglio “Il granaio delle Scienze” di Marco Archetti, il 27 luglio “La tessera numero 54 sono io” di Paolo Nori.


 

Sapevamo che Santino era lì, sapevamo che avremmo dovuto fare attenzione. In Biblioteca Classense ci sono stata solo una volta, ci sono andata insieme a mia figlia su invito dell’allora direttore Maurizio Tarantino (oggi la direttrice è Silvia Masi). Erano giorni che visitavamo incantate i luoghi unici dei mosaici bizantini, facendoci largo tra file di turisti e stilando classifiche: per me San Vitale, con Giustiniano e Teodora, è il più bello; Ma che dici? Sopra tutto c’è il Battistero neoniano! Ma non scherzate neanche… Vuoi mettere il mausoleo di Galla Placidia? Perché a vedere i mosaici ci vai esclusivamente in gita scolastica e quello che ti ricordi è solo l’oro, ma se poi ci torni ti riappropri di una meraviglia che avevi dimenticato. Nel bel mezzo di tanta estasi bizantina, l’invito in una biblioteca c’è subito sembrato come un’inaspettata variazione. 

 

Chi fosse Santino, Maurizio Tarantino non ce lo aveva spiegato. Probabilmente si trattava di un custode. Mi immaginavo un monaco, di quelli che solo Umberto Eco avrebbe saputo inventare. D’altronde la biblioteca è nata come convento mezzo millennio fa. Nel 1512 i monaci Camaldolesi se ne stavano a Sant’Apollinare in Classe (altro sito imperdibile di mosaici). Guardavano preoccupati l’orizzonte che si faceva polveroso e pieno di minacce. Nei pressi del fiume Ronco si erano dati appuntamento tutti i più famosi condottieri dell’epoca, uomini d’arme con nomi straordinari che sembrano usciti da un poema epico: l’esploratore Francisco de Carvajal, e poi Fernando d’Avalos, Fanfulla da Lodi. E ancora, Gaston de Foix, il “Baiardo”, Yves d’Alegre, Guy de La Motte… Ci vorrebbe Raymond Queneau per tessere un romanzo degno dei Fiori blu che intrecci ad arte questi nomi. I francesi di Luigi XII si sarebbero scontrati con la Lega Santa, formata dagli eserciti congiunti di Stato pontificio, Impero spagnolo, Repubblica di Venezia, per l’egemonia nel nord della penisola. 

 

I monaci erano preoccupati. Gli abitanti dei paesi vicini scappavano, chiedevano asilo al monastero, ma i monaci sapevano che in quel momento l’abbazia non era un luogo sicuro. Temevano per la loro vita e per i loro manoscritti, tanto più che l’accampamento della Lega Santa si trovava a pochi chilometri da Sant’Apollinare. L’abate confidava che tutto si potesse risolvere con un duello: si diceva che Gaston de Foix, giovane generale francese, fosse pieno di ardimento e soluzioni creative. Voleva risolvere parte della battaglia imminente sfidando a duello il Cardona, generale della Lega Santa. Opzione che venne sdegnosamente rifiutata dall’esercito avversario.
I monaci, prima che la battaglia infuocasse, scapparono di notte con i loro manoscritti più preziosi e si rifugiarono dentro le mura di Ravenna. Fondarono la nuova Abbazia Classense, e la relativa biblioteca, sopra all’ospedale di Santa Maria della Misericordia. Da monastica, nell’Ottocento, la Biblioteca Classense è diventata la biblioteca civica di Ravenna. Una biblioteca che scampa a una battaglia, che sa rinascere. Mi è subito sembrata un’ottima premessa. Chissà che cosa avrebbe detto Santino a tal proposito.

 

Maurizio Tarantino ci è venuto a prendere all’ingresso. La biblioteca è enorme, trentamila metri quadrati, tre chiostri, sale e sale di lettura: un labirinto dove perdersi sicuramente. Ci apprestavamo a fare una visita clandestina – probabilmente Santino non avrebbe approvato – nell’Aula Magna (che a breve riaprirà a pubblico) e nei luoghi dove sono custoditi i fondi più preziosi: il cuore della biblioteca. Anche per chi non si occupa di manoscritti, quando i luoghi più protetti di una biblioteca ti vengono aperti, è come quando qualcuno inaspettatamente si confessa con te, ti mostra i recessi più velati della sua anima. E’ come se con quel luogo prezioso s’instaurasse un sussurro, una conversazione all’orecchio. 

 

In Biblioteca Classense è conservato l’unico manoscritto che contiene le commedie di Aristofane. Ci sono tutte, compresa la seconda versione delle Nuvole che il commediografo greco riscrisse per andare incontro ai gusti del pubblico e non venne mai messa in scena quando era in vita. Il manoscritto risale al X secolo, arrivato in Italia nel 1423 grazie a Giovanni Aurispa, umanista che si era trasferito in Grecia ed era poi scappato quando la caduta di Costantinopoli era imminente. Un manoscritto dalle mille peripezie, sparizioni e ricomparse – a Urbino, a Pisa, infine a Ravenna. Qui c’è la Raccolta Dantesca formata dal grande bibliofilo Leo S. Olschki e venduta alla biblioteca nel 1909: la più completa collezione di prime e rare edizioni dedicata all’opera di Dante Alighieri. E poi i cimeli danteschi – ora trasferiti a Casa Dante, seppur sempre di proprietà della Classense – che testimoniano il vero e proprio culto cresciuto intorno alla tomba di Dante. La cassetta dove sono state custodite le ossa, i frammenti delle bombe cadute vicino alla tomba ma incapaci di distruggerla, l’atto con cui il Comune di Firenze si impegna a portare ogni anno l’olio che arde nella tomba…

 

E poi da Dante alla contemporaneità, con una raccolta notevolissima di grafica e di fotografie. C’è anche il fondo di Arrigo Dolcini, un fotografo “da spiaggia”. Dolcini che tra gli anni 40 e gli anni 70 solca la spiaggia di Marina di Ravenna con la sua macchina fotografica: le persone lo fermano e si fanno ritrarre sul bagnasciuga, sotto l’ombrellone o sul pattino; cappelli, costumi da bagno, occhiali da sole e le facce che cambiano a seconda del decennio e del più o meno diffuso benessere. Dolcini che con le sue venticinquemila fotografie ha fatto un ritratto degli italiani lungo trent’anni.

 

Quando si visita una biblioteca si visitano i tesori di una città e di una nazione, eppure c’è qualcosa che a volte non torna. Nella mia esperienza di vita ci sono due tipi di biblioteche. Quelle come la Braidense (la biblioteca che si trova dentro l’Accademia di Brera, voluta da Maria Teresa d’Austria) dove ho studiato oltre un anno per la mia tesi, compulsando dizionari dialettali che potevo trovare solo lì. Biblioteche che sono luoghi preziosi: luoghi che esibiscono la loro ricchezza e la esprimono negli stucchi, negli scaffali intagliati, nei grandi quadri o affreschi; e generalmente sono luoghi di pace, poco frequentati, totalmente isolati da quello che accade all’esterno. Oppure le biblioteche comunali, come quelle frequentatissime di Roma: le biblioteche di quartiere che intercettano la vita di quello spicchio di città. Dove gli studenti vengono a preparare gli esami, gli anziani a leggere il giornale; dove arrivano i bambini usciti da scuola, dove non trovi quasi mai un posto a sedere. 

 

Una volta mi hanno invitato alla Biblioteca Pier Paolo Pasolini, che a Roma si trova a Spinaceto: il quartiere è trasformato da Moretti in Caro Diario nel paradigma della periferia della capitale. La Biblioteca PPP era aperta fino alle dieci di sera; alla mia presentazione c’erano lettori e lettrici della zona. Giovani e meno giovani, felici che la loro biblioteca offrisse loro la possibilità di una serata diversa. Lì ho capito che ci sono biblioteche che danno sì in prestito libri e dvd, ma soprattutto assomigliano ad avamposti, roccaforti di valori condivisi, non necessariamente simbolo di una cultura per studiosi o esperti, ma strumenti di democrazia attiva, tangibile. Cosa dovrebbe essere una biblioteca? Che tipo di biblioteca è la Classense?

 

Maurizio Tarantino è un uomo colto, ma è anche il direttore di biblioteca più rock che abbia mai conosciuto, dalle notevoli doti empatiche e comunicative. Sapevo che da lui sarebbe arrivata la risposta che cercavo. La Classense è un luogo grandissimo, come una cittadella nel cuore della città, dove giovani e adulti si danno appuntamento. Negli ultimi anni è diventata non soltanto una biblioteca dove si viene a fare ricerca o a prendere in prestito i libri, ma uno spazio di socialità. (Pare che il famigerato Santino sia l’unico davvero poco convinto di tanto via vai, ma tant’è). Ci sono gli spazi espositivi dove la biblioteca si trasforma in mostra continua: mostre documentarie, con i libri del patrimonio; mostre di grafiche, fumetti, illustrazioni; nel salone del mosaico (un mosaico portato via da Classe nell’Ottocento e qui ricomposto) viene ospitata a ogni cambio di stagione un’opera di un grande artista contemporaneo. Anche se poi il vero orgoglio di una biblioteca così preziosa è la Holden: lo spazio pensato e voluto per gli adolescenti e gestito da Luca, bravissimo a entrare in contatto con i ragazzi. “Verso la metà degli anni Duemila abbiamo aperto le porte” dice Tarantino quando gli chiedo cosa intende quando parla di coinvolgimento dei ragazzi. Prima, nella piazza a pochi passi dalla biblioteca, gruppi di giovani si riunivano, qualcuno fumava, qualcuno spacciava. La biblioteca ha offerto un’alternativa: i bibliotecari sono usciti in piazza per parlare con i ragazzi, per descrivere le attività che si potevano fare lì dentro, per raccontare un nuovo scenario possibile. Qualcosa di simile a quello che faceva Luciano Bianciardi da direttore della Biblioteca Chelliana a Grosseto, quando prendeva il Bibliobus e arrivava dove i libri di solito non arrivavano mai, tra i contadini e i minatori, perché intendeva il suo lavoro come impegno civile.

 

I ragazzi, entrando negli spazi a loro dedicati, trovavano – e trovano – un luogo ideale: chiostri dove chiacchierare, grandi poltrone dove sedersi a leggere un libro o un fumetto, strumenti musicali a loro disposizione, giochi da tavolo, giochi di ruolo, in un’atmosfera protetta ma non controllata. Qui le pareti sono colorate, ci sono graffiti e installazioni che pendono dai soffitti. Mia figlia di dieci anni, che ci aveva seguiti fin lì non proprio convinta, è rimasta incantata. “Se a Pavia ci fosse un posto così ci andrei ogni giorno”, ha detto. Il piano terra della Classense è uno spazio libero che ha influenzato positivamente la città.

 

“Ora è venuto il momento di conoscere Santino” ha detto in conclusione della nostra visita Maurizio Tarantino. Non sapevo se essere spaventata o no. Dovevamo andare nel terzo chiostro. Era lì che il monaco custode ci aspettava, forse era lì ad aspettare da cinquecento anni. Il terzo chiostro racchiude un prato e qualche pianta. Tarantino ci ha invitate a oltrepassare il cancello che dà accesso al piccolo prato. Una volta entrato, ha sbattuto i piedi sul terreno un paio di volte. Ho visto qualcosa muoversi da sotto un cespuglio, qualcosa di piccolo, non certo la sagoma di un monaco. Eccolo arrivare in tutta fretta, Santino: la tartaruga più veloce che abbia mai visto. Un ottuagenario feroce, cattivissimo nonostante il nome: all’ex direttore ha subito dato una beccata sulle scarpe. Cattivissimo e misogino (ha fatto fuori tutte le compagne che i bibliotecari gli hanno affiancato negli anni per fargli compagnia e sono convinta mi abbia lanciato uno sguardo assassino). Santino, in onore di Santi Muratore storico direttore della Classense. Ultimo esemplare rimasto di frequentatore asociale della biblioteca. O forse solo cavaliere difensore dei suoi tesori.

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