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Non c'è da stupirsi se un grande libro come quello di Piero Trellini passa quasi inosservato

Giuseppe Scaraffia

"L’Affaire. Tutti gli uomini del caso Dreyfus" racconta il processo al capitano ebreo a partire da tutte le personalità che presero una posizione, contro o a favore. Un viaggio tra innocentisti e colpevolisti, da Zola a Proust, da Cézanne a Marinetti

E’ del tutto normale che un libro straordinario come questo di Piero Trellini, L’Affaire. Tutti gli uomini del caso Dreyfus (Bompiani, 1.371 pp., €30 euro) sia passato sostanzialmente inosservato. Siamo talmente abituati a una saggistica esile o imbarazzante, che un libro del genere può solo turbare. Una grande conoscenza dei fatti e una grande capacità di raccontarli sono una tale rarità che è meglio fare finta che sia uno dei tanti studi sul caso che divise drammaticamente in due la Francia per molti anni. Invece ci troviamo davanti a un affresco in cui ognuno dei molti personaggi ha il giusto rilievo. La storia del capitano ebreo ingiustamente condannato per spionaggio diventa così la chiave di una grandiosa visione panoramica.

 

Fu in quei frangenti che la parola “intellettuale” assunse un significato etico più chiaro, generando l’intellettuale engagé, pronto a mettere in gioco la sua vita per difendere la verità. Una figura destinata purtroppo a un progressivo, inarrestabile tramonto finendo per definire gli intellettuali asserviti al potere. Non solo la Francia intera, persino le famiglie si dividevano. Se il padre di Colette era innocentista e la madre colpevolista, nella famiglia di Marcel Proust accadeva il contrario.  

 

La più grande attrice dell’epoca, Sarah Bernhardt, non aveva esitato a schierarsi per Dreyfus a costo di litigare con l’amatissimo figlio che se ne era andato sbattendo la porta. Quando, il giorno dell’uscita del “J’accuse”, con cui Zola denunciava l’ingiustizia commessa ai danni di Dreyfus, una folla turbolenta si era radunata sotto la sua casa, minacciandolo di morte, l’attrice, in visita allo scrittore, si era facciata alla finestra, calmando i malintenzionati fino all’arrivo della polizia.

 

Ben diversa era la posizione di Oscar Wilde, in esilio a Parigi dopo la clamorosa detenzione per omosessualità. Ostile a Zola che non aveva firmato un appello in suo favore, aveva incontrato Esterházy, “un tipo stupefacente” e la sua amante, una prostituta chiamata Margherita Quattro Dita, “una donna affascinante, bellissima e intelligente”. Lo affascinava in quell’avventuriero, autore del falso che accusava Dreyfus, la spregiudicatezza con cui ammetteva l’innocenza del capitano. “Quello dell’innocente è un ruolo povero e banale, uno dei più squallidi. La cosa più interessante è essere colpevoli e portare come un’aureola la seduzione del peccato”.

 

Amicizie pluriennali che avevano resistito a ogni prova, come quella di Cézanne e Zola, si sgretolavano irrimediabilmente, mentre Degas rompeva sistematicamente con i dreyfusardi. Nel terremoto sociale prodotto dall’Affaire si verificavano impensabili ascese sociali. Come quella della contessa de Loynes, nome d’acquisto di una dinamica cortigiana d’alto bordo, Jeanne de Tourbey, detta la Signora delle Violette. Ansiosa di schierarsi con i perbenisti, cancellando definitivamente il suo passato, la contessa si schierò con i conservatori che vedevano nella condanna di Dreyfus una diga contro ogni innovazione sociale. Fu un ottima scelta per Jeanne, sia perché morì prima che risaltasse l’innocenza di Dreyfus, sia perché nell’ardore dello scontro riuscì a trasformare il suo salotto in una roccaforte patriottica, frequentata da persone che prima non l’avrebbero neanche salutata.

 

Proust non aveva esitato a mettere a repentaglio la sua carriera mondana, una miniera per il suo libro, pur di schierarsi dalla parte giusta. Per seguire il processo Dreyfus aveva, con uno sforzo estremo, rivoluzionato le sue abitudini alzandosi al mattino per presenziare alle udienze, portandosi dietro dei panini per non perdere un istante. Certo, doveva ammettere che i suoi eroi non avevano “le physique du role”. Il colonello Picquart, incarcerato per la sua difesa di Dreyfus, era molto diverso da come se l’era immaginato. Calmo ed elegante, sotto il lucido cilindro, non sembrava essere uscito dalla prigione. Invece Dreyfus aveva innegabilmente l’aria del colpevole, al punto che una signora mondana, delusa dalla sua apparenza, aveva commentato: “Ma non si potrebbe cambiare innocente?”

 

Nel 1908 le braci di quella che sembrava una contesa dimenticata si erano riaccese alla traslazione delle ceneri di Zola al Panthéon e tra le grida di una folla di destra un attentatore sparò a Dreyfus. Nella confusione, Marinetti tentò di arringare la gente: “Voi che siete contro Zola, dimenticate che è stato un grande scrittore italiano, anzi veneziano!”.

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