Il viaggio in America di Maria Romana De Gasperi

Jacopo Strapparava

È morta mercoledì scorso nella sua casa di Roma, a 99 anni

"Non intenderà salire sull’apparecchio con quella gonna, vero, signorina?".

 

La ragazza – 23 anni, ormai quasi 24, bruna, alta, quasi imponente, ma non per questo meno aggraziata – rimase per un attimo interdetta, alle parole del comandante. Tra tutte le incombenze della partenza – le valigie, gli abiti per i ricevimenti, i documenti del padre – non aveva pensato che le sarebbero serviti indumenti maschili. Ma lo spaesamento durò solo qualche istante. "Posso fare una telefonata a casa?" chiese, e si appartò per un momento. George Bria, l’inviato della Associated Press che, indiscretamente, aveva assistito alla scena, non seppe mai dire quali furono le esatte parole scambiate dalla ragazza con la mamma, che la ascoltava dall’altro capo del filo. Fatto sta che, quando tornò sulla pista, Maria Romana poté rispondere al comandante senza accenni di timidezza: "Va bene. I pantaloni ci saranno. E saranno indossati secondo il regolamento". Si vedeva subito che era una ragazza di carattere.

 

Era venerdì 3 gennaio 1947 e il sole era sorto da poco sull’aeroporto di Ciampino. L’apparecchio, un Douglas C-54 dell’Air Transport Command americano, aveva a disposizione 40 posti, oltre ai cinque riservati all’equipaggio, ma quella volta – trattandosi di una traversata transatlantica – poteva portare al massimo 26 persone, a causa del sovraccarico di carburante. Oltre al Presidente del Consiglio, presero posto a bordo il ministro del Commercio Estero on. Pietro Campilli, il direttore generale degli Affari politici della Farnesina dott. Vittorio Zoppi, il presidente dell’Istituto italiano dei Cambi dott. Guido Carli, il direttore generale della Banca d’Italia dott. Donato Menichella, il segretario personale del Presidente dott. Paolo Canali e, eccola lì, la dottoressa Maria Romana De Gasperi, la maggiore delle quattro figlie del Presidente, che gli faceva da assistente. C’erano poi i cinque uomini dell’equipaggio e tre giornalisti, due stranieri e uno italiano. Prima del decollo, avvenuto alle ore 8.44, la delegazione fu salutata dal presidente della Repubblica on. De Nicola, che si recò personalmente a Ciampino per abbracciare il Presidente del Consiglio. Dopotutto, era la prima volta, dalla fine della guerra, che un capo di governo straniero veniva ricevuto alla Casa Bianca.

  

La missione recava con sé due grosse valigie, del peso di trenta chili ciascuna, piene di documenti dettagliatissimi. Bisognava discutere questioni molto importanti. La stesura definitiva del Trattato di pace. La deficienza nei trasporti tra Italia e America, il traffico delle navi passeggeri essendosi ridotto del 32% rispetto all’anteguerra. La ricostruzione delle case. La necessità di un tasso di cambio più favorevole tra lira e dollaro. La situazione economico-finanziaria dell’Italia e la bilancia dei pagamenti. E certo, era vero, che il Corriere della Sera, quella la mattina, aveva scritto: "Tutti hanno fiducia, oltre che nell’abilità del Capo del Governo, nella bontà della nostra causa". Ma il Presidente aveva notato benissimo l’ammonimento riservatogli sull’Unità: "Non si dimentichi, a Washington, che fine supremo della nostra politica estera deve essere la difesa della nostra indipendenza. Non ceda alla tentazione di venderla per un piatto di lenticchie".

  

Il viaggio, ad ogni modo, procedette senza intoppi. Il Douglas C-54 atterrò sulla zona americana dell’aeroporto di Orly, a Parigi, alle 12.50. Picchetto d’onore. Visita all’ambasciata italiana. Pranzo al ristorante Le cochon de lait. Nuovo decollo alle 16.30. Il comandante puntò su Washington, seguendo la rotta che passa sull’isola di Terranova, non erano previsti ulteriori scali. Durante il volo, il Presidente preparò personalmente una dichiarazione da leggere appena sceso dalla scaletta. Non poteva immaginare che, il pomeriggio seguente, mentre avrebbe rivolto "il suo saluto al popolo americano" esprimendo "la fiducia nell’accoglimento delle sue richieste", i cronisti si sarebbero accalcati attorno alla figlia.

La faccenda dei pantaloni fatti recapitare d’urgenza a Ciampino aveva colpito molto la stampa americana. La storia, in effetti, era bellissima. E poco importa se, qualche giorno dopo, la stessa Maria Romana smentì tutto, bollando la notizia come "non vera". Può essere – come usava all’epoca – che George Bria, l’inviato della Associated Press, avesse abbellito le sue cronache con un pizzico di fantasia, chissà. Ma sicuramente, come solo i bravi inviati sanno fare, era riuscito a cogliere qualcosa di autentico della personalità della ragazza. La quale, infatti, davanti all’assalto dei giornalisti, superò brillantemente l’attimo di smarrimento. Per tutti ebbe un sorriso cordiale, una risposta pronta, una battuta efficace. Suscitando subito un’incredibile simpatia.

Lasciato l’aeroporto, Maria Romana e il padre salirono su un’automobile messa a disposizione dal Dipartimento di Stato e, scortati da un reparto in motocicletta della polizia di Washington, raggiunsero la Blair House, al numero 1651 di Pennsylvania Avenue, costruita nel 1824, facciata bianca, persiane scure, portico grazioso, esattamente di fronte al brutto palazzaccio del Dipartimento di Stato, a due passi dalla Casa Bianca. Le delegazioni straniere in visita negli Stati Uniti vengono alloggiate lì. L’edificio era composto di quattro piani: il primo, con salotti e sala da pranzo, fu destinato alle riunioni di lavoro; al secondo, in due camere distinte, con letti a baldacchino, si sistemarono il Presidente e Maria Romana; al terzo e al quarto, trovarono alloggio Zoppi, Campili, Menichella, Carli e Canali. La signora Victoria Geaney, da tempi immemori governante della casa, a un giornalista che le chiedeva se per gli ospiti italiani avesse fatto comprare degli "spaghetti veri", rispose che non tutti gli italiani amano gli spaghetti e che, per abitudine, non lei proponeva mai nulla ma chiedeva sempre ai suoi ospiti che cosa preferissero.

La missione fu un successo. Da ogni parte d’America, gli emigrati italiani mandano fasci di telegrammi. Al Campidoglio, il Presidente parlò davanti ai 700 membri del Congresso. Al Dipartimento di Stato, ottenne la promessa che, per il mese di febbraio, l’America avrebbe fornito all’Italia 225 mila tonnellate di grano e farina e che gli Stati Uniti non avrebbero usato il loro diritto di incamerare i beni italiani come riparazione di guerra. All’albergo Mayflower, durante un pranzo ufficiale, il segretario di Stato Byrnes rese omaggio al Presidente: "Egli è stato uno dei primi a cadere in disgrazia presso Mussolini. Il nostro ospite fu messo in carcere, la sua casa incendiata, i suoi averi distrutti. Ora si trova di fronte ad estremisti di destra e di sinistra. Suo compito è di mettere d’accordo gli uni e gli altri e acconsentire che il suo governo firmi il Trattato di pace. La situazione richiede un uomo di grande coraggio. Se egli non può farlo, nessun altro potrebbe". Dopo il banchetto, il caffè fu servito "alla maniera italiana". All’ambasciata d’Italia, il Presidente e la figlia rimasero fianco a fianco per un’ora e mezza mentre, davanti a loro sfilavano gli alti papaveri della città (alla fine, lui accusava la stanchezza, lei – un semplice vestito di seta nera, scarpine bianche, giacca di velluto con appuntata una spilla d’oro in forma di fiore – era fresca come una rosa).

È facile che immaginare che Maria Romana si sia divertita un mondo. Fece subito amicizia con la signorina Truman, un anno più giovane di lei (i giornalisti si sdilinquirono in paragoni tra le due ragazze, l’una bionda e nordica, l’altra bruna e latina).

Ballò in tutti i ricevimenti, tutti i tipi di danze, ma non il boogie woogie, perché - venne a sapere con stupore - non era in voga nell’alta società e addirittura in ribasso tra gli americani in genere.

Rilasciò trenta interviste, in totale.

Rimase molto colpita dai grattacieli e dai grandi magazzini. Comprò una sciarpa e qualche bel vestito per la madre e, per le sorelline, una stilografica a testa. "Desideravano tanto una stilografica senza pennino, ma a piazza Colonna costavano troppo caro". Qualcuno scrisse - e chissà se anche qui c’entra la fantasia di qualche cronista - che il Presidente emise un grido di meraviglia nel notare che la figlia si era comprata un grande cappello bianco, di feltro, ornato da piume di struzzo.

Un pomeriggio, a New York, non accompagnò il padre nei ricevimenti e ne approfittò per visitare i negozi. I reporters la braccarono anche lì, rivolgendole anche domande "del tipo che in Europa si considerano indiscrete": è fidanzata? quali progetti ha per l’avvenire? Lei, magnificamente, rispose con cortesia, dicendo di non avere impegni sentimentali e di avere intenzione di condurre la vita adatta a una ragazza della sua età. Eppure, quando un giornalista, F. S. Murray, si offrì di accompagnarla in una breve visita per i magazzini di Cleveland, si diffuse lo stesso la voce che vi fosse un fidanzamento imminente - altra cosa non vera, essendo il Murray sposato e con due figli.

Maria Romana, infine, rimase molto sorpresa dalle donne americane. "Lavorano tutte, anche quelle maritate e con figli. Molte possiedono un’automobile, che non rappresenta per loro un lusso, ma una necessità". Notò che nessuna di loro si interessava alla politica. Le piacque molto la loro eleganza, il fatto che si laccassero il viso di trucco e usassero tutte il rossetto e, sentendosi smunta e malata in confronto, decise che avrebbe iniziato a farlo anche lei (papà non si sarebbe dispiaciuto, in fondo, di una cosa così innocente). Rimase tuttavia molto perplessa nel vedere signore cinquantenni andare a scuola di lavori a maglia nei grandi magazzini. "Non mi spiego come non abbiano avuto una nonnina che abbia insegnato loro, prima di quell’età, l’uso dei ferri da maglia".

Durante il viaggio di ritorno, a un certo punto, volle provare a pilotare lei l’aereo. E venerdì 17 gennaio 1947, quando, sull’aeroporto di Ciampino, Maria Romana scese dalla scaletta del Douglas C-54 che la riportava in patria, tutti notarono due cose. Le sue labbra erano scarlatte. E, in testa, sfoggiava un grande cappello bianco, di feltro, ornato da piume di struzzo.

Quel pomeriggio, un giornalista del Corriere della Sera andò a intervistarla.

Quale visione l’ha colpita maggiormente nel suo viaggio? "Il brulichio delle luci, come uno sterminato esercito di lucciole, sopra Nuova York".

E qual è stato l’episodio più toccante? "Le festose accoglienze, a Chicago, dei figli degli italo-americani, che mi vennero incontro con le braccia colme di fiori".

Che regali ha portato per le sue sorelle? "Penne stilografiche".

Costose? "Affatto, sono tutti regali che ho ricevuto, come quel cappello".

A proposito, quel famoso cappello? "Purtroppo se n’è parlato talmente tanto di quel cappello, che non potrò metterlo più. Mi riconoscerebbero tutti subito".

"Ma insomma, qualcosa, avrà pur comprato anche per sé...", insinuò il cronista, abituato a non fidarsi troppo neanche delle brave ragazze, e ricordandosi che, quella mattina, a Ciampino, aveva visto scaricare dall’aereo cinque scatole con il suo nome stampato sopra. Lei divagò, sorridendo, ma senza rispondere.

"È stata un’esperienza straordinaria della mia vita" concluse la ragazza, prima di salutare il giornalista. Quindi, con la consapevolezza che provano tutti i giovani quando hanno gustato qualche giorno di ebrezza ma si rendono pur conto che quei momenti non possono durare per sempre, aggiunse una nota di rammarico: "Non ho potuto dare che un breve sguardo alla bellezza delle Azzorre e delle Bermuda. Abbiamo attraversato il mondo troppo in fretta".

(Maria Romana De Gasperi è morta mercoledì scorso nella sua casa di Roma. Aveva compiuto 99 anni da una decina di giorni).

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