New York cancella Thomas Jefferson: "Aveva degli schiavi"

Giulio Meotti

Da due secoli la statua del presidente che ha scritto la Dichiarazione di Indipendenza si trovava nel municipio. Ma perché fermarsi lì? Abbattiamo il resto

Impacchettata e rimossa. Il destino della statua di Thomas Jefferson dopo che una commissione del sindaco di New York ha votato per bandire i monumenti al terzo presidente degli Stati Uniti dal municipio dove si trovava da quasi due secoli. Jefferson avrà anche scritto la Dichiarazione di Indipendenza, ma possedeva degli schiavi.

   

      

Un professore di Georgetown, Samuel Goodman, sulla newsletter “Common Sense” di Bari Weiss aveva giorni fa sollevato il caso in un articolo intitolato "Cosa perdiamo quando perdiamo Thomas Jefferson". “A differenza dei monumenti ai leader confederati che li mostrano in piena gloria militare, Jefferson è raffigurato come uno scrittore”, ha scritto Goodman. “Tenendo una penna in una mano e la Dichiarazione di Indipendenza nell'altra, è chiaramente onorato per aver composto un argomento immortale per la libertà e l'uguaglianza”. 

    

Ma ora non c'è tempo da perdere. La scrittrice australiana Lionel Shriver scrive sul Times che, dopo aver abbattuto la statua di Jefferson di New York, non ci si può certo fermare con la damnatio memoriae. “Diversi Padri fondatori possedevano schiavi, come James Madison, James Monroe, Benjamin Franklin e George Washington. Alexander Hamilton si è sposato in una grande famiglia di proprietari di schiavi. Si deve chiudere la principale attrazione turistica che è la casa di Jefferson a Monticello, in Virginia, e arare l'imponente memoriale di Jefferson a Washington. Ovviamente, dobbiamo bombardare il Monte Rushmore. Dobbiamo poi rinominare la capitale federale e ribattezzare lo stato di Seattle. Madison, nel Wisconsin, ha bisogno di un rebranding, così come le numerose città chiamate Jefferson, nel Maine, nel New Hampshire, nella Carolina del Nord e del Sud, a New York, in Colorado, nel Wisconsin e nel Massachusetts. I nomi delle strade e degli edifici come 'Franklin Street' e 'Monroe House' in tutta la nazione dovrebbero essere cancellati”.

    

Malcelata ironia, quella di Lionel Shriver, ma qualche funzionario della “cancel culture” potrebbe anche prenderla sul serio

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.