(Foto Ansa)

Killing orders

Parla Taner Akçam, lo storico turco che ha trovato le prove del genocidio armeno

Alberto Fraccacreta

Il docente della Clark University nel Massachusetts ha scritto un saggio basato sull’imponente schedario del sacerdote cattolico Krikor Guerguerian: uno sterminio pianificato con lo scopo di una sistemica, seriale confutazione da parte delle autorità, perché “il negazionismo è una struttura politica”

Franz Werfel aveva raccontato il genocidio armeno ne I quaranta giorni del Mussa Dagh. È il 1915, gli abitanti di sette villaggi posti ai piedi della Montagna di Mosè resistono all’avanzata ottomana, fino a quando sono tratti in salvo da un incrociatore francese che pattuglia il golfo di Antiochia. Anche un poeta americano, Peter Balakian, con la silloge Ozon Journal allude allo scavo dei resti delle vittime nel deserto siriano. Il prozio di Peter è Grigoris Balakian, vescovo della Chiesa apostolica armena e memorialista scampato alla strage. Padre Grigoris è citato nel saggio di Taner Akçam, Killing orders. I telegrammi di Talat Pasha e il Genocidio armeno (a cura di Antonia Arslan, traduzione di Vittorio Robiati Bendaud e Alice Zanzottera, Guerini e Associati, 312 pp., 25 euro).  

Taner Akçam, lo storico turco che ha trovato le prove del genocidio armeno (Wikimedia commons) 

Docente alla Clark University nel Massachusetts, definito lo “Sherlock Holmes del genocidio armeno”, Akçam è il primo storico turco che ha parlato apertamente dello sterminio. Lo Spazio San Giorgio che ospita l’incontro con l’intellettuale e Siobhan Nash-Marshall, all’interno della ventiduesima edizione di Pordenonelegge che s’è chiusa domenica, è percorso da un sole inquieto. Il professor Akçam è affabile, l’espressione vagamente requisitoria à la Porfirij Petrovicč. La sua piccola e corporatura lo rende adatto al lavoro di ricognizione, condito da una sentenza memorabile: “La verità ha la cattiva abitudine di venir fuori alla fine”. Verso mezzogiorno si era presentato in sala stampa a Palazzo Klefisch. “In primavera Biden ha riconosciuto ufficialmente il massacro, grazie alla scrupolosa attività di ricerca accademica”, ha chiosato con garbo. Passano poche ore ed eccolo incorniciato nel totem giallo della rassegna, più combattivo e inflessibile.

 

Killing orders si basa sull’imponente schedario del sacerdote cattolico Krikor Guerguerian, il quale aveva raccolto una massa informe di dati in vista della tesi dottorale mai portata a termine, benché “vi abbia dedicato il resto della sua esistenza”. Il nipote Edmund ha fornito ad Akçam il frutto delle ricerche, rinvenuto nel 2015. “Questo libro – scrive lo studioso classe ’53 – contiene, insieme ad alcuni documenti annessi, le memorie di un burocrate ottomano di nome Naim Efendi, che lavorò nell’Ufficio per la Deportazione di Aleppo negli anni 1915-1916”. C’è posto per “i cablogrammi inviati dal ministro dell’Interno ottomano Talat Pasha in cui si ordina l’annientamento degli armeni”. Grazie a indagini parallele su testi cifrati dell’archivio di Istanbul (messi a disposizione per errore dal governo turco), Akçam ha potuto verificare la stretta rispondenza di informazioni. 

 

Per quale motivo è necessario, dopo oltre un secolo, esibire carte bollate? “I telegrammi di Talat Pasha giocano un ruolo cruciale nel produrre una prova di tutto ciò”. L’insidia più grande nel genocidio armeno, sottolinea Akçam, è di esser stato pianificato con lo scopo di una sistemica, seriale confutazione da parte delle autorità (“il negazionismo è una struttura politica”), in quanto “la realtà viene sempre determinata dal potere”. Questo atteggiamento prosegue ancora oggi, ma il faldone di Guerguerian è considerato la “pistola fumante” che regola i conti. O forse la “metanoia”, il cambiamento radicale di pensiero evocato da Nash-Marshall.

Di più su questi argomenti: